Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole - Pagina 3 di 4

Racconti

Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole

Suzanne Lenglen e Helen Wills furono forse le due tenniste più grandi di un’epoca magica ma si incontrarono una volta sola. Opposte in tutto tranne che nella coscienza della propria grandezza, lasciarono il loro sangue sul rosso campo di terra battuta incastonato in uno degli angoli più incantevoli della terra. Quel ricordo non morirà mai

Pubblicato

il

 

In quella sciagurata giornata di Forest Hills 1921 una ragazza di sedici anni sedeva fra il pubblico accompagnata dalla inseparabile madre, che lei chiamava “Cassie”. Il viso attraente e ben modellato era nascosto per metà dall’ombra di una visiera di sua invenzione che la riparava dal sole. Lei non poteva saperlo ma i suoi glaciali occhi blu stavano guardando il futuro che l’attendeva. Helen Newington Wills nacque il 6 ottobre 1905 a Centerville, una piccola cittadina a sud-est di San Francisco. La California è un paradiso, lei nasce in una famiglia agiata, il padre Clarence è un medico, la madre Catherine un’insegnante e in un certo senso la sua parabola è una prova del celebre aforisma di Feuerbach per il quale “L’uomo è ciò che mangia”. Passa un’infanzia spensierata all’aria aperta per rafforzare il fisico gracile e una volta a casa è accolta dall’amore dei genitori che la crescono in base a solidi principi. Sarà sempre un’ottima studente fino alla laurea conseguita in belle arti a Berkeley. Si diverte a cavalcare e scalare alberi e non disdegna la caccia alla quaglia, in cui mette in mostra una mira eccezionale. Ma certo sono le sue stesse parole, rilasciate al New York Tribune il 25 ottobre 1938 verso il termine della carriera, a descrivere nitidamente il suo essere. “I say ‘I am going to have a game of tennis’ but what i really meant is ‘I am going to have a wonderful time under the sky, in the sun’. I am going to rush around, feeling the motion of the air and the movement of my body trough space… For a While, for me, the world don’t exist. I shall lose myself in the fun of the game, in competition wich seems real but is not important. I am going to play”. L’amore per la vita all’aria aperta e per il gioco fine a sé stesso dunque, perché la competizione non è nulla a fronte del godimento provato nell’attività fisica. Ebbe istintiva la convinzione che la vita non si potesse risolvere in una sola attività, per quanto di successo. Sarà questo il vero segreto della sua imperturbabilità in campo. C’era molto di più e di meglio da esplorare ed assaporare nel corso dell’esistenza. Nella sua lunghissima vita fu anche una stimata e quotata pittrice nonché acuta corrispondente giornalistica, trovando pure il tempo di sposarsi due volte.

In California is always june” dicono gli americani per sottolineare il fatto che le attività sportive laggiù possono essere praticate nel corso dell’intero anno. Il clima impediva la costruzione di campi in erba, la cui manutenzione sarebbe costata troppo con quel caldo, per questo motivo si utilizzava il cemento, duraturo e poco costoso da mantenere. Erano numerosissimi gli impianti pubblici nei quali, semplicemente aspettando il proprio turno, chiunque fosse munito di racchetta poteva imparare liberamente. Questa democrazia del gioco farà in breve della California la culla del miglior tennis statunitense. Il numero di praticanti sempre più elevato, la possibilità di allenarsi continuamente e la dura competizione partorirono presto i primi campioni, i quali furono volano per l’esplosione definitiva.

Anche nel caso di Helen è il padre a spingerla al tennis, con il semplice e onesto proposito di proporre alla figlia un’attività fisica regolare. E così a otto anni Helen cominciò a colpire la pallina, impugnando una racchetta dal manico troppo grande per lei e curandosi inizialmente ben poco delle linee di gesso che delimitavano il campo. Era solo un gioco e per qualche anno fu così, fino a che il dottor Clarence Wills portò la figlia undicenne a Pasadena, dove si esibivano le più grandi star californiane del tempo. E un esempio vale mille parole. Vede con i suoi occhi il gioco veloce di May Sutton, la più forte di quattro sorelle e prima americana a vincere Wimbledon nel 1905, e il fenomenale dritto in top-spin di Billy Johnston. Quel che non riesce a scorgere sono i cannon-ball in battuta di Maurice Mc Laughlin, The american Comet, ma “ricordo distintamente il suono del colpo, simile ad un colpo di fucile” dirà in seguito. Da quel momento il suo interesse verso il tennis cresce in modo esponenziale e non è un caso, forse, che il suo stile si sia ispirato alle migliori qualità di quei modelli. Il suo metodo era semplice: osservazione, concentrazione ed imitazione. Cominciò a frequentare quotidianamente i campi del Live Oak Park, colpendo continuamente sussurrava il suo mantra “io sono Johnston, io sono Johnston” e in uno dei lunghi pomeriggi di pratica venne notata da William “Pop” Fuller, responsabile del Berkeley Tennis Club, il quale suggerì immediatamente al padre di iscriverla al suo programma. Fuller aveva un metodo di insegnamento per certi versi geniale. Allenava senza racchetta, non voleva che i ragazzi imitassero il suo gioco, voleva che trovassero il loro swing naturale e così si comportò anche con Helen. Teneva un cesto con 120 palline e inizialmente si limitava a farla ribattere senza soluzione di continuità migliaia di volte al giorno, lasciando che trovasse la sua via. Non corresse mai la posizione troppo frontale del dritto o l’appoggio sulla gamba sbagliata nel rovescio. Attese semplicemente con pazienza che, come in un mosaico, le tante tessere insignificanti e imperfette di per sé si completassero poi in un’immagine abbacinante. Ciò che sorprendeva in quella ragazzina con le trecce era la volontà ferrea di andare sempre a tutto braccio, non c’era finezza agli albori del suo gioco e la potenza unita alla sconfinata fiducia in sé stessa saranno sempre la caratteristica dominante del suo stile.

Helen Wills nel 1932

Helen Wills nel 1932

Anna Harper, di tre anni maggiore e classificata fra le cinque migliori tenniste americane degli anni ’20, ricordava in un’intervista che Helen “…colpiva così forte che la palla sembrava fatta in cemento e il contraccolpo ti arrivava fino alla schiena. I fendenti fischiavano uno dopo l’altro ed entro metà set potevano succedere due cose: o distruggeva la tua fiducia oppure ti rompeva il braccio”. Il secondo incontro fondamentale per la sua carriera giunse nella primavera del 1920 quando conobbe Hazel Hotchkiss Wightman, una delle più grandi giocatrici statunitensi della generazione precedente la sua, che ora viveva sulla costa Est ma tornava ogni due anni a far visita ai parenti nella natìa California. Hazel era una maestra di tattica, strategia, gioco di volo e… bon ton. Trasmise tutto questo ad Helen, allenandola per tre ore al giorno e quattro giorni la settimana. Trovò qualche debolezza nel suo gioco di gambe e il suo incitamento “run, Helen, run” risuonava a decine di metri di distanza. Fu lei a dare le ultime pennellate al capolavoro, insistette particolarmente sulle buone maniere in campo e la volle addirittura come compagna di doppio. La coppia Wills-Wightman non venne mai battuta.

Helen sembrava fuori posto nei fiammeggianti anni ’20. La sua calma posata, la freddezza e il distacco che mostrava in ogni occasione la facevano apparire come una donna del 1800 e furono inizialmente scambiati per arroganza, tanto da spingere l’allora giornalista Ed Sullivan, in seguito superstar della tv, a coniare il celebre soprannome di “Little Poker Face”, che lei non amò mai, preferendo di gran lunga quello di “Queen Helen”.

Un busto di Queen Helen

Un busto di Queen Helen

Tempo dopo le venne chiesto il vero motivo della sua mancanza di emozioni in campo e lei ebbe lo humour di rispondere che era per evitare la formazione di rughe. Era bellissima, Paul Gallico scrisse che per lui una delle immagini simbolo di quegli anni era “…il fascino negli occhi di Helen Wills mentre lanciava in alto la pallina per il servizio e il delizioso profilo del suo collo”.

Helen cresce fino al metro e settanta, ora il fisico è in grado di assecondare il suo stile mascolino e nel 1923, non ancora diciottenne, è già una campionessa quando distrugge in finale a Forest Hills l’eterna detentrice Molla Mallory. Il titolo statunitense sarà suo altre sei volte. Al momento di salire sul treno della Overland Limited che la riporta a casa dopo la vittoria un giornalista le chiese se era pronta per affrontare Suzanne Lenglen, lei rispose che il suo programma immediato era l’ingresso all’università. “E quale lingua straniera studierà?” – insistette il cronista – “certamente il francese” rispose lei con una luce battagliera negli occhi. L’anno dopo perde contro l’inglese Kitty Mc Kane una finale di Wimbledon largamente alla sua portata ma subito dopo vince l’oro alle Olimpiadi di Parigi sia in singolo che in doppio con la cara Hazel. Sotto gli occhi della Divina Suzanne, che però trova sempre il modo di non essere presente in tribuna al momento delle sue vittorie. Gli anglosassoni chiamano “Ballyhoo” la sfrenata pubblicità per un evento e l’anno di grazia 1925 fu precisamente questo. Lenglen si era rimessa in testa la corona di Wimbledon, la sesta e ultima, perdendo una manciata di giochi in tutto il torneo a dimostrazione della riaffermata superiorità in Europa, Wills aveva fatto altrettanto confermandosi per la terza volta a Forest Hills. Ormai i tempi erano maturi, l’opinione pubblica dei due mondi era abilmente rinfocolata dai rispettivi giornali e spingeva per l’incontro del secolo. E questa volta si sarebbe giocato in Francia, il feudo della Divina.

Pagine: 1 2 3 4

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement