Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole - Pagina 4 di 4

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Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole

Suzanne Lenglen e Helen Wills furono forse le due tenniste più grandi di un’epoca magica ma si incontrarono una volta sola. Opposte in tutto tranne che nella coscienza della propria grandezza, lasciarono il loro sangue sul rosso campo di terra battuta incastonato in uno degli angoli più incantevoli della terra. Quel ricordo non morirà mai

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Nelle rispettive famiglie l’atmosfera era differente. Clarence Wills non vedeva l’utilità di un così lungo viaggio a scapito dello studio universitario ma le donne della famiglia ebbero la meglio. Un soggiorno nella patria d’elezione delle arti figurative – lo blandirono – sarebbe valso ben di più del tempo perso a Berkeley. Era vero ma solo in piccola parte. Il 16 gennaio del 1925, quando le Wills sbarcarono nel vecchio continente i giornalisti notarono che Helen non aveva tele né pennelli con sé. Solo una grande borsa con diciotto racchette dentro. Nel lusso di Villa Ariem a Nizza il clima era invece tempestoso. Papà Charles era decisamente contrario a che la figlia accettasse la sfida. Era in ballo l’aura di invincibilità di Suzanne, sulla quale posava la privilegiata condizione della famiglia. La posta in palio era troppo alta per lui ma da qualche tempo la sua influenza sulle decisioni di Suzanne si era indebolita. Le sue condizioni di salute peggioravano e allo stesso tempo l’instabilità nervosa della figlia la allontanavano da lui. Ma ormai il dado era tratto, la sfidante era lì a pochi chilometri di distanza, la stampa impazzita. Ebbe così inizio un lungo balletto, fatto di lievi sfioramenti e allontanamenti. Il luogo deputato allo storico incontro sarebbe stata la Riviera con i suoi numerosi tornei ma per qualche tempo le due si evitarono. Le quote degli scommettitori davano la Divina favorita per 10-1 ma quando sembrò che lei stesse fuggendo lo scontro per paura di fare la stessa fine del 1921 crollarono a 4-1. Il momento non potè più essere rimandato e fu l’Hotel Carltona di Cannes ad accaparrarsi l’onore, l’onere (e il guadagno) di vedere iscritte le due contendenti al proprio torneo. Alla notizia le migliori penne del giornalismo mondiale si unirono alla folla di chi poteva permettersi il lusso di assistere a “The Match of the Century”. C’erano John Tunis del Boston Globe e Wallys Myers del Daily Telegraph. Arrivarono anche il celebre vignettista James Thurber e Grantland Rice dall’elegante prosa. Il famoso romanziere spagnolo Blasco Ibanez, che non sapeva nulla di tennis, venne profumatamente pagato per un resoconto del match.

Sont arrivés les americains” commentavano a mezza bocca gli altezzosi francesi mentre osservavano la loro esclusiva enclave invasa da un pacifico esercito di yankees chiassosi, colorati e con le tasche piene di dollari. “Gli americani sono degenerati e marci, moralmente e fisicamente. Offendono i nostri occhi, le nostre orecchie e le nostre narici” scrisse Paris-Midi e il sentire comune poco si discostava. C’era da respingere un attacco in piena regola, sarebbe stata una guerra. I turni preliminari non fecero altro che alzare al massimo il livello della tensione e come previsto la Dea e la Giovane Regina arrivarono alla finale, in programma per il 16 febbraio 1926, martedì grasso.

Poco prima del Match del Secolo

Poco prima del Match del Secolo

La sera precedente l’evento Helen Wills cenò tranquillamente con Cassie, bistecca, patatine e gelato. Poi a letto, per un tranquillo sonno senza sogni. Lo stesso non accadde a casa Lenglen. I passanti sotto le finestre di Villa Ariem non potevano esimersi dal sostare ascoltando le urla provenienti dalla casa. In salotto era il dramma. Charles Lenglen urlava il suo disappunto in faccia alla figlia, spalleggiato dalla moglie Anais. Suzanne in lacrime lo supplicava di affiancarla ancora una volta nella battaglia decisiva ma il suo rifiuto fu netto e spietato. Suzanne non dormì un minuto quella notte, come del resto le capitava da giorni a sentire il cerimoniere Ted Tinling. La mattina del match dovette appesantire più del solito il trucco per coprire le profonde occhiaie e il pallore del viso. Le migliaia di spettatori, molti dei quali arrampicati sugli alberi circostanti il campo e accalcati persino sui tetti della club house, non erano interessati alla salute della loro campionessa. Volevano il sangue.

Il bianco e nero sgranato dei filmati d’epoca non riesce a celare la magia unica di quei momenti. Suzanne entra in campo fra ali di folla, solo la banda sgargiante che le trattiene i capelli stacca sul bianco del suo abbigliamento. Helen la segue modestamente di qualche passo ma sotto la visiera gli occhi sono d’acciaio tagliente. Il coté donné è fantastico ma le due tigri non se ne accorgono neppure, quando la sfida inizia sono da poco passate le undici del mattino. Helen mette lunghi i primi quattro colpi del match in risposta ma pareggia e brekka per il 2-1 in suo favore. La Divina risorge con tre giochi consecutivi, due dei quali a zero. Ora vede e colpisce continuamente l’immaginario fazzoletto di campo sul rovescio dell’avversaria, si issa al 5-3 e un lungo game ai vantaggi le consegna un primo set dominato per 30 punti a 17. Suzanne esce rafforzata ma la futura regina è pienamente in gioco e sale 3-1 nel secondo. Suzanne comincia a tossire nervosamente, si porta sempre più spesso una mano al petto finché beve una lunga sorsata dalla fida fiaschetta d’argento e ristorata recupera. Adesso si lotta allo stremo per ogni singolo quindici e sul punteggio di 4-3 Wills servizio Lenglen il giudice di linea Cyril Tolley, un famoso ex campione di golf, giudica dentro una palla visibilmente lunga di Suzanne che avrebbe potuto portare al break per l’americana. Forse per la sola volta in vita sua Helen perde la calma, mentre il pubblico rumoreggia contro la decisione chiede a Tolley perché non abbia chiamato l’out.“The ball was in” replica lui testardamente mentre i suoi occhi guardano altrove. La regina sale comunque 5-4 ma qui commette uno dei pochi errori di giudizio della sua carriera. Improvvisamente smette di colpire a tutta, confidando negli errori dell’avversaria che però non arrivano. Pochi minuti dopo perde il servizio e Suzanne sembra azzannare il match quando batte sul 6-5 e scappa sul 40-15. Lo scambio seguente è lungo e nervoso, l’elettricità crepita accompagnando traiettorie assassine quando Wills colpisce un gran dritto che centra il pieno la riga di fondo. La chiamata “Out” risuona nell’arena, il pubblico festante invade il campo, gli inservienti del Carlton entrano portando enormi bouquet di fiori  per la vincitrice ma un distinto signore in completo a tre pezzi e lobbia si apre la strada con ampi gesti verso il giudice arbitro, che altri non poteva essere se non il comandante George Hillyard, fino all’anno prima segretario generale dell’All England Tennis and Croquet club. L’uomo è lord Charles Hope, la parte di campo in questione è di sua competenza e lui non ha aperto bocca. La palla era buona. Sotto il pesante strato di trucco che si sta disfacendo nella lotta Suzanne avvampa, mormora in modo udibile un osceno motto francese ma si rialza pronta a lottare. Quando il gioco ricomincia qualche petalo è rimasto sulla terra rossa del campo. Wills è sopravvissuta, annulla i match point e pareggia a sei. Il momento è drammatico. Papà non è a bordocampo ma ad un tratto Suzanne sente la sua voce ferma e fiduciosa “Courage, ma petite…”. Sa di avere ancora poco da spendere, il terzo set sarebbe certo una tomba per lei e allora nei i due giochi seguenti aggredisce la palla con tutto quel che le rimane, spinge il rischio al limite e quello paga. Sono le parole della stessa Wills a darci la giusta interpretazione dello storico 8-6 che chiuse il match del secolo. “Mlle. Lenglen remained calm. This incident, better than any, shows that she was a truly splendid match player. No one has yet equaled her mastery and skill”.

Helen confidava che avrebbe avuto altre occasioni per rifarsi, come era accaduto contro Molla Mallory, ma le Parche che presiedono al destino umano tagliarono il filo per sempre. Un improvviso attacco di appendicite la toglie di mezzo per oltre un anno, al termine del quale Suzanne era passata professionista scomparendo dalle cronache ufficiali. Entro pochi anni, troppo pochi, gli dei l’avrebbero chiamata a sé. Helen ne raccolse lo scettro, vinse otto volte il titolo di Wimbledon, poi cercò conforto all’irrequietezza del suo cuore dipingendo e scrivendo ma trovò pace solo alla fine di una lunga vita, quando sedeva mirando le onde dell’Oceano dalla scogliera della sua casa di Carmel on the Sea. Dopo il secondo divorzio dal giocatore di polo Aidan Roark visse sola e sola morì serena il primo gennaio 1998.

È così che amano andarsene le Grandi Regine, in silenzio e senza clamore.

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