L’insostenibile leggerezza dell’assenza di Roger Federer

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L’insostenibile leggerezza dell’assenza di Roger Federer

Si arriva tutti alla festa, pur sapendo che il protagonista non ci sarà. Come se Roger Federer potesse sbucare da un momento all’altro. Anche se consapevoli che non lo farà. Questa l’atmosfera che si respira a Basilea

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Avete presente quando da piccolini ci si presentava, accompagnati da un genitore annoiato, sul posto di una festa di compleanno, magari con altri bambini, e il festeggiato ancora non c’era? Si creava una sorta di imbarazzo giocoso, fino all’arrivo del tanto atteso protagonista, che puntualmente veniva preso in giro e poi ci si dimenticava tutto tra cappellini a cono e torte che non arrivavano mai. La parte più bella, comunque, era il “regalino” alla fine della serata, che poi era un pomeriggio, ma si era così giovani che si tornava a casa stremati come fosse l’alba. E i nostri genitori ancora più di noi, che si guardavano in silenzio aspettando che qualcuno richiamasse il proprio figlio per andar via, così da approfittarne e fare lo stesso.

Immaginate di essere in un enorme sala, che ogni anno viene adibita per una festa. Di essere presenti insieme ad altre migliaia di persone, perché ogni anno la festa è più bella ed emozionante, anche quella volta in cui sembrava potesse essere l’ultima. Per strada campeggiano cartelloni con il viso del festeggiato, sui tram ci sono addirittura videomessaggi in loop. Il nome e il luogo dell’appuntamento sono ad ogni angolo, tutti sanno dove e quando, e si preparano per partecipare con il massimo dell’entusiasmo e del coinvolgimento. Solo che quest’anno lui non verrà in ritardo. Non verrà e basta. E ogni invitato sa benissimo che non vedrà la persona per cui aveva risposto di sì all’invito, chiunque passi a fare gli auguri è al corrente dell’assenza, ma ci va comunque: per educazione, per abitudine, o solo per dire di aver comunque avuto la possibilità di entrare nel luogo che da dieci anni ospita l’evento più atteso in città. Sono tutti consapevoli, eppure fino all’ultimo momento si respira una sorta di malinconica voglia di non rassegnarsi, come se per una volta potesse essere il festeggiato a sbucare da sotto una sedia e gridare “sorpresa!”, e tutti potessero fare finta di non aspettarselo.

C’è un istantaneo ma palpabile fremito nella folla di convitati quando lo speaker della festa annuncia che sta per entrare Roger… Brenwald, il padrone di casa quello vero, quello che mette a disposizione la casa, e fa la spesa, e sceglie la musica. Non basta, peraltro, una splendida selezione di brani di vario genere per aumentare la temperatura in pista: restano tutti seduti, come da bambini appunto, magari maschietti da un lato e femminucce dall’altro, ad aspettare che la svolta impossibile possa accadere. Il posto è splendido, per carità, c’è la luce giusta e ha tutti i canoni di una festa seria, si parlano lingue diverse, scorrono fiumi di bollicine e si mangia bene. Ma quest’anno non è lo stesso, non c’è nulla da fare. E non è come è capitato un paio di volte in passato, con il Roger, quello esatto, che magari salutava all’ingresso nel suo impeccabile outfit estremamente elegante ma mai pacchiano, e poi però era costretto a defilarsi perché succedeva qualcosa di imprevisto. Stavolta sono tutti davanti al tavolo con la torta e lo spumante, ma a tagliare e stappare lui non c’è: è valsa comunque la pena arrivare fino a qui e segnare il proprio nome sulla lista, perché l’appuntamento è mondano e soprattutto non si è parlato d’altro per mesi.

Finché viene annunciato che a fare il discorso di ringraziamento sarà quell’altro, quello che tutti conoscono e che è a tratti è pure simpatico, che è molto amico di quello che tutti avrebbero voluto vedere ma che non è qui. E sì, le parole sono anche belle, alla fine sapevano tutti che avrebbe parlato il numero due e in fondo non si erano certo preparati a chissà cosa. Diventa tutto un sorridere costretto, un applauso ritmato ma blando e non convinto, un incrocio di sguardi con mente corrugata e labbra increspate che sembrano dire “eh vabè, è andata così”, mentre si butta giù l’ennesimo calice come per dimenticare che i presupposti, ad inizio anno quando si iniziava a scegliere cosa indossare e con chi andare, erano ben altri. Ce ne si va quindi con la sensazione che l’assenza della star della serata sia troppo incolmabile per essere rilevante, perché altrimenti davvero la festa non si sarebbe mai potuta tenere. E quando si rientra in casa, cravatta slacciata e tacchi in mano, ci si ricorda che “piacevole, davvero. Ma gli anni scorsi era meglio”. Senza neanche il regalino, perché la cioccolata svizzera è stata mangiata tutta pur di pensare ad altro.


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