Seppi, la rivincita più bella del re delle maratone (Crivelli). Seppi "mister 5 set" manda a casa Kyrgios (Semeraro). Seppi e le belle storie del tennis (Giua). Seppi, un’impresa attesa da due anni (Arcobelli)

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Seppi, la rivincita più bella del re delle maratone (Crivelli). Seppi “mister 5 set” manda a casa Kyrgios (Semeraro). Seppi e le belle storie del tennis (Giua). Seppi, un’impresa attesa da due anni (Arcobelli)

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Seppi, la rivincita più bella del re delle maratone (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

La vendetta è un piatto che va servito con un dritto lungolinea fulminante che inchioda il Monello d’Australia a tre metri dalla riga di fondo e modifica definitivamente il corso della piccola storia di una partita che in tre ore cambia più volte padrone, umori e sensazioni, consegnandosi finalmente alla solida regolarità del maratoneta di Caldaro, al secolo Andreas Seppi, il mago del quinto set. La nemesi perfetta: due anni fa, alle stesse latitudini e sullo stesso campo (l’Hisense), ottavi di finale, Kyrgios il terribile recuperò due set al biondo, che si era appena preso lo scalpo nobile di Federer, gli annullò un match point e finì per piegarne la resistenza con una rimonta bruciante.

Un film che si ripete, ma stavolta il copione muta e finisce per regalare una delle gioie più memorabili a un giocatore che non sarà mai stato un fior di talento, ma ha saputo trarre forza dalle sue debolezze con l’etica del lavoro e una costante tensione al miglioramento e che soprattutto riesce ad esaltarsi quando il match si complica, si ingarbuglia, si incarta. Per la 36a volta in carriera, Andreas approda al quinto set, e per la 2a volta vince lui: ma se si resta nel perimetro degli Slam, il record è 18-11. Ecco perché quel lampo sull’8-7 3040 che spegne le speranze del numero 13 del mondo in un’arena tutta per lui nonostante il solito atteggiamento da schiaffi, sarà tra le prodezze da portarsi ora e per sempre nel libro dei ricordi: «E pensare che quest’inverno in allenamento di dritti così ne avrò sbagliati 100 — ammette Seppi sorridendo — però quando arrivi a tre ore di gioco di un match così non è che stai tanto a pensare, e tiri più forte che puoi». Nei suoi pellegrinaggi al quinto, l’altoatesino non era mai arrivato a 18 game nel parziale decisivo (dopo 3 ore e 9 minuti), ma quel che conta è che non si è mai sentito battuto, nemmeno dopo un inizio in cui il servizio di Kyrgios, la sua pressione da fondo, le discese a rete a finalizzare il dominio che gli scaturiva dalla battuta sembravano aver scavato un solco insormontabile: «Dopo i primi due set ho pensato che ho quasi 33 anni e non mi ricapiterà più tante volte di giocare in uno stadio così grande, davanti a tanta gente, con questa atmosfera. E allora mi sono detto di non mollare, di provarci fino in fondo. Altrimenti non ha senso allenarsi tanto a casa sotto un tendone… Questa vittoria mi fa capire che sto lavorando bene e posso ancora prendermi qualche soddisfazione dopo un anno difficile».

Ma il numero 89 che ancora si accompagna alla sua classifica è menzognero: Andreas vale di più, perché quando sta bene fornisce un rendimento sicuro, magari senza picchi però con intelligenza e applicazione. Alla soglia dei 33 anni, ha cambiato programmazione e per la prima volta in carriera ha saltato i tornei di preparazione per presentarsi direttamente agli Australian Open, riempiendo un mese completo di preparazione, che adesso gli servirà per recuperare in vista di un terzo turno ghiotto, per essere uno Slam: gli tocca infatti il belga Darcis, numero 71, anche lui reduce da stagioni tribolate e con il quale l’unico precedente è un Challenger a Mons nel 2011. Soprattutto Seppio, come lo chiamano i colleghi, è rimasto con la testa dentro il match, malgrado il solito Kyrgios irritante, che gioca colpi sotto le gambe anche con l’altro in piena rimonta e perfino a un passo dal break. Così, mentre Nick continua a convivere con i suoi fantasmi («Lo psicologo? Ci sto andando, e va benissimo. Piuttosto, sono l’unico giocatore tra i primi 100 senza allenatore, ed è una situazione sulla quale devo riflettere molto, dovevo essere più serio nella preparazione, sono un cattivo ragazzo ma lui ha meritato»), Andreas la formichina aggiunge un’altra giornata di sole alla suo Slam degli antipodi dopo il trionfo su Federer di due anni fa: «Ma è diverso, quella fu una vittoria contro un mito, questa è stata semplicemente una bella rimonta (…)

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Seppi “mister 5 set” manda a casa Kyrgios (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

«Dopo aver perso i primi due set mi sono detto: Andreas, hai trentatré anni. Non ti ricapiterà tante volte di giocare in uno stadio come questo. Non mollare, provaci fino alla fine». E ci è riuscito, Andreas Seppi. Perché ogni lasciata è persa e perché le vendette più belle, come dice il proverbio, sono quelle servite a freddo. Nel circuito Andy è famoso per le sue doti di maratoneta: 21 vittorie su 36 incontri giocati al quinto set nei tornei del Grande Slam e in Coppa Davis. Mala vittoria di ieri in rimonta nell’immensità della Hisense Arena, davanti al local hero Nick Kyrgios, che ha i 1 anni e 76 posizioni in meno nel ranking mondiale (13 contro 89), ha un sapore particolare. Due anni fa era stato proprio Nick il selvaggio a stoppare negli ottavi degli Australian Open la corsa di Seppi, che al turno precedente ave- «Persi i primi due mi sono detto che difficilmente avrei rigiocato in uno stadio del genere» va battuto Roger Federer Allora era toccato ad Andreas trovarsi avanti di due set e sprecare un match-point, ieri la beffa si è ribaltata. In vantaggio 6-17-6, lo smanierato Kyrgios, convinto forse di aver già vieto, ha cominciato a giochicchiare alla sua maniera, indolente e irritante, concedendosi anche un “tweener” tanto irridente quanto inutile. Da piccolo, aveva spiegato Kyrgios alla vigilia, Andreas era uno dei suoi tennisti preferiti. Non deve aver imparato moltissimo. A inizio terzo set Nick si è fatto breakkare, e ha iniziato a sbroccare pesantemente, insultando il suo angolo (dove peraltro non siete un coach, ma solo amici e fisio), tirando racchette, beccandosi in-. sulti dalle tribune («Sei una disgrazia! Almeno cerca di perdere con dignità…») e un warning dal giudice di sedia.

Davanti a un avversario sconcertante, a tratti immobile, ma capace di accendersi all’improvviso, Seppi ha vin- solito Nick: un richiamo arbitrale, i fischi dei fan e una dura polemica con McEnroe to il terzo e il quarto set. Nel quinto è andato perla prima volta a servire per il match sul 6-5 ma si è fatto riprendere; sull’8-7 per Kyrgios ha cancellato un matchpoint con un diritto a tutto braccia, quindi ha chiuso sul 10-8 con tutta la Hisense che lo acclamava, subissando nel contempo di fischi Kyrgios. «A ricordarmi la partita di due anni fa ci aveva pensato stamattina il mio coach Massimo Sartori – ha scherzato Seppi, che ora incontrerà il belga Steve Darcis, n. 71 Atp – Kyrgios? Nessuno ci capisce nulla. Comunque non faccio paragoni, nel 2015 avevo battuto un mito come Federer questa è solo una bella rimonta. Però mi fa capire che posso ancora togliermi delle soddisfazioni».

Per la gioia della moglie Michaela – i due si sono sposati a settembre – che ha seguito in match in tribuna. Acidissimo il post partita di Kyrgios, che peraltro si è molto complimentato con Seppi Alla vigilia aveva ironizzato sul sensato giudizio di Federer («Forte, ma non pronto a vincere uno Slam»), stavolta se l’è presa con il suo “avo moccioso” John McEnroe che in tv lo ha definito «un occhio nero sul volto dello sport», ammettendo però di avere maledettamente bisogno di un coach. In campo si è lamentato con il suo staff per averlo mandato in campo con un dolore al ginocchio (…)

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Seppi e le belle storie del tennis (Claudio Giua, repubblica.it)

E adesso chi avrà più il coraggio di definire “vecchietto” (l’ho fatto io l’altroieri) Andreas Seppi, 33 anni tra un mese esatto, che manda a casa mogi mogi gli australiani che gremiscono la Hisense Arena? Al termine di uno dei migliori match mai giocati dall’ex numero 1 italiano, reduce da un 2016 deludente e di sofferenza, Nicholas Hilmy “Nick” Kyrgios, greco-malese-australiano di 21 anni, già pronosticato dai media locali come probabile semifinalista, deve lasciare il campo a testa bassa. Una dura lezione, per lui.

A dire il vero, dopo mezz’ora sembra che il Giovin Arrogante abbia da sistemare una pratica poco più che ordinaria. Perso malamente il primo set, Andreas comincia invece a ribattere colpo su colpo nel secondo set, che perde di misura, e poi si prende con autorevolezza il terzo e il quarto set. Mi impressiona la tranquillità con la quale l’azzurro sostiene il tifo contrario dell’intero stadio. Il quinto set è una battaglia durissima e ansiogena che sembra non finire mai, ma che l’italiano suggella vittoriosamente con uno spettacolare ace dopo 3 ore e otto minuti. Una prestazione che, oltre a proiettarlo al terzo turno, candida il sudtirolese per un posto da titolare nella nazionale che affronterà l’Argentina a Buenos Aires tra due settimane. Il risultato finale non ha bisogno di commenti: 1-6 6-7 6-4 6-2 10-8. La bella storia di Seppi continua. Il tennis racconta sempre belle storie. Eccone un’altra.

È il 2007 quando a Eric Rubin toccano le decisioni più difficili: può continuare a lasciare ogni posto di lavoro – tre in pochi anni – per stare dietro a quel figlio che già gioca a tennis meglio di lui? Come convincere amici e parenti a fargli ancora prestiti per le lezioni – 130 dollari l’ora – nella speranza che Noah diventi presto un professionista e si mantenga da sé? Può consentire che sua moglie Melanie dia gratis una mano ai circolo pur di non perdere mai d’occhio il ragazzo, 11 anni, in campo ogni giorno per ore e ore? C’è poi il problema delle racchette: ne consuma a decine e i Rubin non sanno proprio dove trovare i soldi per comprarle. Insomma, Eric non sa come tirare avanti.

In qualche modo ce la fa. Ma il prezzo è salato. Nel 2009 mandare Noah a farsi le ossa nei tornei giovanili costa 40mila dollari, metà di quanto entra – non sempre – nelle casse familiari. La pressione è troppa, Eric e Melanie non la reggono e nel 2010 divorziano. Altre spese, tensione alle stelle, i figli annichiliti. Noah però continua ad allenarsi e a fare gare, prima tra New York e Long Island, poi in giro per gli Stati Uniti. Sa che l’unico modo di restituire ai genitori l’enorme investimento economico e umano è crescere in fretta e diventare un top player. Quello stesso anno arriva in finale al Les Petits a Tarbes in Francia, dove in passato avevano trionfato Rafael Nadal e Michael Chang. È la prima svolta. A 18 anni, nel 2014, arriva il successo al torneo Junior di Wimbledon, con la finale strappata a Stefan Klozov. “Più che per me, sono felice per la soddisfazione che ho dato oggi ai miei genitori”, dice dopo la partita. È già talmente maturo da raccontare che, per tranquillizzarlo, al padre ha assicurato che “…sarò io la tua pensione”.

Nelle vicende dei Rubin, Philip Roth troverebbe spunti sufficienti per un racconto. Con quei nomi e luoghi Woody Allen potrebbe scrivere una spumeggiante sceneggiatura. Non manca nessuno degli ingredienti che entrambi usano a piene mani: la East Coast e New York, gli ebrei americani di seconda o terza generazione e la loro fissazione per lo sport, la coppia di genitori in perenne conflitto, la smania di successo. Noah Rubin nasce il 21 febbraio 1996 a Long Island, dove si sublima un certo modo d’essere newyorkesi piuttosto che americani, ebrei – osservanti o agnostici cambia poco – ma mai immigrati senza radici. È orgogliosamente ebreo. “Voglio che la gente lo sappia. Mi piace rappresentare il popolo eletto”, dice quand’è ancora un teenager. Mentre frequenta il Merrick Jewish Center lancia una raccolta di racchette da regalare ai centri di formazione per il tennis in Israele: è il suo impegno speciale per il bar mitzvah, che a 13 anni e un giorno per i maschi, a 12 anni e un giorno per le femmine celebra il momento a partire dal quale ogni individuo risponde direttamente alla legge ebraica. Con un padre che fu il miglior giocatore di tennis alla Martin Van Buren High School nel Queens e una sorella leader del tennis team della Binghamton University, frequenta da quand’è in fasce i circoli di tennis. Dotato e puntiglioso, esce presto dal gruppo. Nel 2011 John McEnroe lo definisce “il giocatore più talentuoso che abbia mai incontrato”. Giudizio interessato: Noah è il miglior allievo della sua Tennis Academy a Randall’s Island. Dopo Wimbledon, che nella precedente edizione ha visto trionfare la meteora italiana Gianluigi Quinzi, di tre settimane più giovane di lui, si trasferisce alla Wake Forest University di Winston-Salem nel North Carolina con una borsa di studio come punta di diamante della squadra di tennis. Nel 2014 calca per la prima volta il palcoscenico di uno Slam, a casa propria, Flushing Meadows. Nel 2015 sospende gli studi per dedicarsi allo sport professionistico a tempo pieno ma ottiene di poter rientrare nell’ateneo e terminarli quando vuole.

Da allora Noah vince il Challenger di Charlottesville e approda alle finali di Plantation e Stockton. Grazie al secondo turno conquistato a Melbourne, da lunedì sarà più o meno a quota 200 del ranking ATP. Da oggi può vantarsi di aver combattuto senza timori reverenziali contro il supermito del tennis contemporaneo, Roger Federer: ovviamente, nella Rod Laver Arena. A festeggiare con lui, i suoi due coach: Lawrence Kleger e, ca va sans dire, il raggiante Eric.

Sotto il metro e ottanta, secco secco, Noah è velocissimo nell’esecuzione di ogni colpo (ricorda Dolgopolov). Ha un servizio efficace perché sempre piazzato e lavorato. La caratteristica più evidente del suo gioco è il continuo cambiamento di traiettoria che imprime alle palle, così da costringere l’avversario a fare lo stantuffo. Poiché gli piace il ritmo forsennato, gli scambi sono inevitabilmente brevissimi e gli errori frequenti. Dà spettacolo con le discese a rete, talvolta avventate. Chiede sbracciandosi il sostegno del pubblico: ama il contatto quasi fisico con chi ha pagato per vederlo giocare.

La partita, finita 7-5 6-3 7-6 per lo svizzero, dura due ore e strappa decine di ovazioni. Nel terzo set Noah prende addirittura il largo fino a 2-5 dopo aver ottenuto il break, ma poi l’ex numero 1 si rifà sotto e chiude con sicurezza al tie break. Per Roger è la conferma della forma ritrovata, per Noah una consacrazione e un viatico per una carriera ancora da costruire (…)

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Seppi, un’impresa attesa da due anni (Sergio Arcobelli, Il Giornale)

Da sempre l’Australian Open è la seconda casa di Andreas Seppi. E lo ha dimostrato ancora una volta. Indimenticabile, due anni fa, il successo del 32enne di Bolzano al 3° turno contro Roger Federer, mai battuto nei dieci incontri precedenti. Questa volta, l’azzurro è stato protagonista di un’altra delle più belle imprese della carriera, battendo colui che è veramente un atleta di casa, quello scellerato e sfrontato di Nick Kyrgios. Sfrontato, per intenderci, perché capace, durante un match, di dire all’avversario (Wawrinka) che la sua ragazza aveva dormito insieme a un altro tennista. Oppure quando, nell’ultimo torneo di Shanghai, aveva buttato via di proposito il match (arrivò la squalifica di 3 settimane) beccandosi i fischi del pubblico. Insomma fa di tutto per non farsi amare. E questo atteggiamento da menefreghista dell’australiano si è rivisto nel corso del match con Seppi, tipo taciturno e riservato e che, a differenza del bad boy aussie, non va mai fuori dalle righe.

Due caratteri diversi che rispecchiano perfettamente l’andamento del match. Dopo un inizio di incontro marcato Kyrgios, in vantaggio 2 set a 0 e oramai con il successo in tasca, l’altoatesino zitto zitto ribalta l’incontro approfittando della solita schizofrenia e isteria di Kyrgios e conquistando prima il nono gioco del terzo set, poi pareggiando l’incontro e, infine, trionfando al quinto al tie-break dopo oltre tre ore di gioco. «Due anni fa ero sopra 2 set a 0 e poi lui rimontò il match. Ho pensato solo che potevo riuscirci anch’io» ha rivelato Seppi, sceso negli ultimi tempi al numero 89 del mondo, ma in grado di riprendersi la rivincita dopo la sconfitta di due anni fa degli ottavi di finale proprio contro Kyrgios (…)

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