C'era una volta un papà. Festa Federer «La mia favola per i gemellini» (Crivelli), Federer non lascia ma raddoppia (Semeraro), Federer, un anno anzi due com'è dura vincere e sparire (Lombardo), L'umana gratitudine per la bellezza (Clerici)

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C’era una volta un papà. Festa Federer «La mia favola per i gemellini» (Crivelli), Federer non lascia ma raddoppia (Semeraro), Federer, un anno anzi due com’è dura vincere e sparire (Lombardo), L’umana gratitudine per la bellezza (Clerici)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

C’era una volta un papà. Festa Federer «La mia favola per i gemellini»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 31.01.2017

 

Come sembra lontano un anno. Erano appena finiti gli Australian Open del 2016 e nella sua casa a Dubai, il buen retiro invernale del Re, Federer scrutava con sospetto il ginocchio sinistro dopo il crac che aveva sentito facendo il bagnetto alla figlie in una camera d’albergo di Melbourne qualche giorno prima. Il resto, per fortuna, è storia: menisco rotto, intervento chirurgico, rientro ad aprile a Montecarlo, ritiro preventivo dal Roland Garros, sconfitta a Wimbledon in semifinale con Raonic e nuovo dolore al ginocchio, con conseguente allontanamento dall’attività per sei mesi e tanti dubbi sul futuro. E invece il futuro è adesso, con i118 Slam in bacheca per un rientro che nessuno, lui per primo, poteva immaginare così trionfale. C’era stato, è vero, l’assaggio della Hopman Cup, ma solo a Melbourne sono arrivate le partite vere, e che partite: quattro top ten battuti e l’apoteosi in finale contro Nadal, il rivale con cui ha scritto una storia diventata leggenda. C’era di che festeggiare, e anche il buon padre di famiglia Roger, sempre così compito e devoto all’understatement, stavolta si è lasciato andare con un party in stile rock star: ‘Abbiamo iniziato tardi e la festa è andata avanti fino all’alba. E’ stato bello veder sorgere il sole su Melbourne, è stata una lunga notte di divertimento. fitti erano di buon umore, è stata una giornata speciale dopo due settimane speciali che si sono chiuse alla grande. Ho dimenticato tutto quello che ho lasciato alle spalle, le cose brutte e le cose belle e ho scacciato tutte le pressioni». DEDICA Per quello, però, gli era bastato pensare ai gemelli: «E’ il primo Slam che vinco da quando ci sono anche i maschietti (nati a maggio del 2014, ndr), è qualcosa di speciale per me e Mirka dedicare il successo a Leo e Lenny. In compenso le ragazze (Charlene Riva e Myla Rose, e primogenite, ndr) erano m 1-to eccitate quando hanno vito il trofeo. Non so se un giorno si renderanno conto di tutto q esto, ma intanto erano felici e io fossi felice». Lo hanno as t-tato a casa e si sono svegli te quando è rientrato, e o a-mente lui ha dovuto pagar il pegno di una mezz’ora tuta per loro: «In effetti — amme e Roger — è stato un morne to un po’ strano, io che apro la porta, cammino per casa e le sveglio. Ma al tempo stesso o- sì divertente ed emozionante. Non so quanto ho dormito poi, in verità, ma ho guardato qualche highlight della partita per capire quanto fosse stato difficile venirne a capo, e ho rivissuto un’altra volta le stesse emozioni. Ciò che mi ha reso davvero felice è stato vedere la mia famiglia e i miei amici còndividere la mia gioia». Non è la consueta dichiarazione di comodo: il nucleo parentale e il team sono i due pilastri su cui Federer sta costruendo la sua immortalità tecnica e di risultati. Tony Godsick, il manager che lo segue dal 2005, è chiaro in proposito: «Roger innanzitutto è una bravissima persona e un ragazzo a modo, pur conscio del suo ruolo di superstar. Ma se c’è una cosa che lo contraddistingue è la condivisione: non c’è decisione che non voglia prendere ascoltando gli altri, dalla moglie, agli amici, allo staff tecnico. Per noi che siamo nel suo entourage sarebbe facile assecondarlo su tutto, dire sempre di sì, come accade a molte altre stelle. Il fatto è che lui non vuole persone di questo genere attorno a se, lui cerca sempre il confronto costruttivo, l’analisi». FUTURO Sarà per questo che alla soglia dei 36 anni, onusto di gloria e di trionfi, persegue ancora la perfezione, e l’assenza prolungata ha finito addirittura per migliorarlo, perché lo ha liberato dalle tensioni di dover vincere per forza: «nel quinto set contro Ra fa mi sono detto di giocare libero di testa, libero nei colpi,-perché si gioca contro la pallina e non contro l’avversario. Il coraggio sarebbe stato premiato e penso fosse la decisione giusta nel momento giusto. Non posso paragonare questa vittoria a nessun’altra se non forse a quella del Roland Garros del 2009. Quella fu una vittoria attesa a lungo, avevo provato, lottato, provato ancora e fallito. Ma alla fine c’ero riuscito e adesso provo una sensazione simile». L’altro mito Rod Laver, che era in campo a premiarlo domenica, allunga la magia: «Io ho giocato fino a 38 anni: tutto era diverso, ma Iui con il suo stile potrà andare avanti ancora a lungo. Ha recuperato dall’infortunio, se rimane in forma può giocare almeno altri tre anni. – tutto il mondo vuole questo». E infatti si è spaventato quando, con la Coppa in mano, Fed ha calato il subbio che l’anno prossimo avrebbe potuto non esserci: «Tornerò, sono sicuro: era solo lo sfogo a caldo dopo una stagione molto difficile. Mi sono fermato sei mesi per questo, perché penso di poter giocare altri due anni ad alto livello. In Australia non sono mai mancato dal 1998, da quando ho giocato il torneo degli juniores, per cui l’obiettivo è assolutamente giocarci ancora. Adesso mi sento a pezzi, per cui riposerò prima del torneo di Dubai di fine febbraio, poi sarò iscritto a Indian Wells e Miami. Non ho ancora pianificato la mia stagione sulla terra, ma è certo che mi preparerò per gli Open di Francia, pur sapendo che a Wimbledon avrò più possibilità di vittoria. E penso di poter far bene anche agli Us Open, ma per ora non ci penso…. Per ora, lasciatemi vivere in questa favola».

 

Federer non lascia ma raddoppia

 

Stefano Semeraro, la stampa 31.01.2017

 

II tennis l’ha spuntata, Roger Federer ha rinnovato il contratto. Altri due anni sul circuito a costo zero (per noi) e con un massimo garantito di piacere (anche per lui). Dalla lotteria di Melbourne Park è uscito il biglietto vincente per tutti. Un passaggio sibillino del suo discorso durante la premiazione agli Australian Open dopo il successo su Nadal aveva immesso un brivido freddo nella commozione generale («Spero di tornare l’anno prossimo, se non sarà così è stato comunque bellissimo»), il giorno dopo il Genio ha corretto il tiro. «II prossimo anno tornerò di certo: mi sono fermato sei mesi proprio per allungarmi la carriera, penso di poter giocare altri due anni. Ho passato una notte divertente, tutti attorno a me erano felici e questa per me è la cosa più importante, anche più della mia stessa felicità. Fra la partita, i servizi fotografici e le danze mi ritrovo con le gambe a pezzi: ora devo pensare a dare tregua al mio corpo, poi ritornerò in campo a febbraio a Dubai. Mi preparerò al meglio per il Roland Garros, so però che le mie chance più importanti sono a Wimbledon e che anche agli Us Open posso fare bene». Respirane di sollievo. I suoi impegni già fissati e alcuni dei suoi contratti scadono nel 2018, ma è stato meglio sentirglielo dire. Caccia all’8′ meraviglia Vincendo il suo 182 Slam Federer ha mantenuto una promessa fatta nel 2009, all’epoca della nascita delle due prime gemelline: «Voglio che i miei figli mi vedano giocare e vincere». Adesso che Myla, Charlene, Leo e Lenny (gli altri due gemelli) gli hanno riempito di giochi la coppa stupendosi di quanto è grande (Papi, potremmo mangiarci dentro!»), cosa può darci, che cosa può regalarsi ancora? La risposta è facile: l’ottava meraviglia a Wimbledon. Ci è arrivato vicino in questi anni, specie nella finale persa al quinto set contro Djokovic nel 2014, i book-makers hanno già fatto sapere di crederci abbassando da 17 a 9 la quota per una sua vittoria ai prossimi Championships (il Grande Slam, se siete interessati, lo danno a 100). Pensateci: un 2017 ruggente, un 2018 dedicato ai saluti, con l’addio ufficiale a Wimbledon, il primo Slam che ha vinto, e quello degli affetti a Basilea, il torneo di casa, dove da piccolo faceva il raccattapalle e mamma Lynette si occupava della transportation. Il cerchio perfetto che si chiude. Dove si firma?

 

Federer, un anno anzi due com’è dura vincere e sparire

 

Marco Lombardo, il giornale del 31.01.2017

 

Noi abbiamo visto. Noi abbiamo vissuto un’era tennistica irripetibile, per quello che rappresenta Roger Federer e per quello che sono stati i suoi avversari. Soprattutto uno: Rafa Nadal. Noi abbiamo partecipato, con la passione che solo lo sport pub regalarti, alla partita più sentita di sempre, la conclusione di un cerchio magico che ha esaltato il campione assoluto. Noi abbiamo goduto, di uno spettacolo solo pochi giorni prima inimmaginabile. Ma adesso? Ogni volta che un campione si avvicina al tramonto il problema è sempre calcolare quando far calare il sipario. Succede a tutti, succede a molti, e non sempre il momento è in sincronia con il tempo che passa per un Alberto Tomba che chiude i suoi slalom tagliando il traguardo da vincitore, c’è un Muhammad Ali che si fa riempire di pugni mentre cerca un passato che non tornerà. Per un Valentino Rossi che riesce ancora a dare qualche sgasata in faccia ai giovani, c’è un Totti che mestamente entra a giocarsi scampoli di partita solo quando l’allenatore gioca la carta della disperazione. Vincere e sparire: non è sempre facile. Roger Federer dopo il suo diciottesimo immenso Slam aveva fatto intendere che forse poteva anche essere arrivato il momento di dire basta: «Spero di tornare a Melbourne l’anno prossimo, ma se non sarà così è stato bellissimo comunque». Parole subito corrette, perché la fatica di un match così intenso aveva rubato energie alla mente: «Mi sono fermato sei mesi proprio per aver l’opportunità di giocare ancora due anni. Mi diverto ancora. Poi, certo, c’è che non sono più tanto giovane. Ma voglio giocare: sub a Parigi ma punto a Wimbledon». Tra due anni Roger ne avrà 37, la stessa età di Ken Rosewall quando vinse sull’erba di Londra nel 1972, ma molti anni in più di tutti quelli che premono alle sue spalle. E che corrono, come se corrono. Gigi Buffon, 39 anni due giorni fa, è ancora il numero uno, ma gioca in porta, lì ci vuole tecnica e coraggio. Ma molto meno fiato. Nico Rosberg, diventato campione del mondo di Formula 1 a 31 anni, ci ha pensato poche ore per dire addio: «Ho scalato la montagna, adesso tomo a vivere». Opposti, in un mondo in cui non c’è una regola certa se non la propria. Però ci siamo anche noi, combattuti tra l’idea che Federer finisca di regalarci le emozioni che solo lui sa dare e il terrore di vederlo un giorno uscire dal campo di tennis sconfitto, acciaccato, magari umiliato. «Se non dovessi più battere i migliori, allora capirei che è arrivato il momento di lasciare» ha detto in questo caso: solo che il migliore è lui, e non è facile misurarsi con se stesso. Così magari, alla fine, il giorno giusto lo sceglierà Mirka, la moglie-guida che a Melbourne per la prima volta si è sciolta in pubblico baciando il suo Roger davanti a tutti. Deciderà per lui e soprattutto per tutti noi. Che non sappiamo dire basta a Roger Federer.

 

L’umana gratitudine per la bellezza

 

Gianni Clerici, la repubblica del 31.01.2017

 

Nella mia qualità di modesto” scriba specializzato nel tennis, ho subito, dopo l’ultima palla vincente di San Federer, ben otto interviste che mi hanno indotto a immaginare, nei sogni notturni, una pratica di canonizzazione, smentita, al risveglio, da una telefonata in Vaticano, all’ufficio competente, che mi ha escluso, nella persona di un prete tennista, che anche il Pontefice si stesse occupando della vicenda. Pur non potendo dimenticare, tra i miei generosi intervistatori, il fascino di Lia Capizzi di Sky, la competenza melbourniana di Sandro Bertellotti, preferisco riferirmi a Guido Fiorito, del Giornale di Sicilia, che compi un viaggio a Melbourne per ammirare i busti dei vincitori fusi in bronzo nel viale che conduce alla Rod Laver Arena. «Cosa farà Federer adesso?» mi ha domandato Guido. E, domanda alla quale sono più sicuro poter rispondere: «Diverrà un esempio per i tennisti del futuro?». È spiacevole accennare al denaro, insieme al futuro di un modello di umanità, quale si è ieri dimostrato Roger, ma non posso dimenticare, pur senza conoscerli nei dettagli, i contratti stipulati dall’agente americano del tennista, Tony Godsick, dopo che la moglie Mirka, pur aiutata da un gruppo di baby sitter, ha felicemente abbandonato le sue mansioni di semi-agentessa. La réclame televisiva del famoso orologio svizzero, che ci è stata proposta mille volte in televisione, è già moltiplicata da venti contratti e, dopo la vicenda di domenica, lo sarà di altri cinquanta. La nobile frase, certo sincera, di Roger «spero di esser qui l’anno prossimo» va dunque interpretata, oltre a quanto potrebbe umanamente accadere, nel senso di quanto commercialmente accadrà. Al di là di questo, chiedermi se Roger sarà in grado, a 37 anni che verranno, di mostrarci quanto abbiamo ammirato, spesso increduli ieri, meriterebbe una risposta di uno specialista esperto in medicina sportiva, come il dottor Par-ra, in arte Dottor Laser. Abbiamo sentito attribuire all’amico Ljubicic il merito dello spostamento in avanti di Roger, che non solo gli ha consentito di guadagnare campo, ma l’ha spinto al rovescio di controbalzo, con incredibile anticipo e guadagno di terreno. Sarà possibile far di più, ridurre un dialogo in un lampeggiante haiku tennistico? O basteranno gli esempi di chi, nel passato, riusci a protrarre lo sport oltre le età normalmente consentite, come Borotra, Cachet, Tilden e Rosewall? Auguriamocene, e auguriamolo a Roger. Per quanta ci ha consentito di vedere domenica, per l’umana gratitudine che ispira la bellezza.

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