"Giocare tennis di qualità": Stefanos Tsitsipas in esclusiva

Interviste

“Giocare tennis di qualità”: Stefanos Tsitsipas in esclusiva

ROTTERDAM – Il giovanissimo greco concede una lunga intervista da cui emergono la sua storia, le sue ambizioni, il suo modo di pensare e… tanta voglia di parlare

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dall’inviato a Rotterdam

“All’ultimo secondo ho scoperto di avere ricevuto wild card per il tabellone principale. Non ho trovato nessuno disposto a farmi da sparring, quindi mi sono allenato con mio padre”. Stefanos Tsitsipas è sudato ma contento, quando finalmente aggira il recinto verde pino del court 2. Ha passato le ultime due ore e mezza ad esercitare il suo “piccolo tennis antico” in un angolo del palazzetto che il pubblico del sabato mattina, quel poco interessato alle qualificazioni, non sembra ancora aver scoperto. Giusto un coetaneo – alto la metà ma con lo stesso viso da ragazzino – gli chiede un selfie, per il quale lui sorride volentieri.

Gli Tsitsipas si muovono quasi sempre in coppia, nel modo più discreto possibile, eppure li si vede lontano un miglio questo signore greco di mezza età, Apostolos, e i due metri di figlio biondo che la Adidas gli ha vestito di fluo. Salendo attraverso i tunnel non ancora riscaldati, Stefanos appare genuinamente motivato dall’idea di fare un’intervista. “Quando vuoi” ha risposto, “andiamo anche subito se ti va”. Il padre gli ricorda che devono prima iscriversi al doppio – parlottano in greco, poi spiegano in inglese di non riuscire a ricordarsi il nome del compagno – e nel loro passaggio per la stanza dell’ATP scoprono che il tabellone principale è stato appena sorteggiato. Non è andata bene, dall’urna virtuale è uscito Tsonga. La prima domanda dell’intervista sarà proprio su quello.

“Poca fortuna col sorteggio? No, non direi proprio” la interromperà, ridendo. “Giocare contro Jo-Wilfried Tsonga… whoa, sarà la più bella esperienza della mia vita!” E il risultato? Potrebbe essere pesante… “Ho poche possibilità di vincere contro chiunque qui, mi interessa fare questa esperienza. Al momento è la cosa più importante per me. E con un pizzico di fortuna e di buon tennis, magari posso anche fare una sorpresa” – che è esattamente la parola utilizzata dallo stesso Tsonga dopo l’incontro. “Al momento mi basta questo, giocare belle partite”. Il salto dai circuiti minori a quello principale è sempre molto duro per un tennista giovane: abituato ad arrivare in fondo ad ogni torneo, trovarsi eliminato nel weekend di qualificazioni ogni settimana può essere demoralizzante. Tsitsipas lo sa già bene: “Perderò un sacco di partite all’inizio, è assolutamente normale. Giocherò questi grandissimi eventi in posti incredibili, contro professionisti di ogni tipo… un altro livello, sarà tutto un altro livello”. I suoi occhi si illuminano anche se vagano spesso altrove, lo sguardo dirottato da un po’ di timidezza.

Durante la seduta di allenamento mattutino c’è stata più di un’occasione – tre almeno – in cui il padre-coach ha fermato gli esercizi e chiesto a Stefanos di ripetere il movimento di un singolo colpo, a lungo, spedendo anche cinquanta palline contro la morbida rete laterale. Sembrerebbe una punizione per la pigrizia, un tentativo drastico di introdurre un colpo nella memoria muscolare di un brocco ma il ragazzo non è né l’una né l’altra cosa. “Lavoriamo per rendere perfetto ogni colpo” spiega. “A volte mi capita di non sentire bene un colpo, a quel punto lo riproviamo a lungo in modo da poterlo utilizzare per spingere durante il match, per creare i punti. Insistiamo sulla tecnica, sul lavoro di qualità invece che di quantità. Voglio giocare tennis di qualità, è il modo in cui ci ha insegnato a lavorare il coach che ho giù a casa, Konstantinos Economidis, che è anche il miglior giocatore greco… di sempre, credo.” Non lo rimarrà molto a lungo, se continua a lavorare così su Tsitsipas.

Ma chi è dei due il responsabile del suo rovescio a una mano, che sembra stia tornando di moda tra i giovani“L’ho deciso io a otto anni, mi piaceva tantissimo. Mi chiesero di scegliere e non ebbi alcun dubbio. Penso che il rovescio a una mano sia il più fico” dice, mettendosi a ridere. “E poi è inusuale, e a me piace fare cose inusuali, diverse da tutti gli altri”. Bisogna prendersi la responsabilità di fargli notare l’unico rischio: venire bollato come baby Federer. “Ma baby Federer è già Dimitrov, io al massimo posso essere baby baby Federer” sorride. “In ogni caso non mi importa, mi focalizzo sul mio tennis. Tanto tutti diranno qualcosa di sicuro, ne hanno il diritto. La cosa migliore da fare in quei casi è non pensarci e concentrarti su te stesso”. Suonerebbe come il mental coach di sé stesso, se non fosse che un mental coach ce l’ha per davvero. Ancora una volta però si tratta di qualcuno che è rimasto “back home”, giù a casa.

Quelle due parole tornano spesso, quando Stefanos parla di sé e di chi gli è stato intorno per questi anni. La felicità di essere nel tennis che conta si vela di una vaga malinconia: “Sì, è vero. Non riesco ad avere persone attorno durante i tornei al momento. È difficile”. Forse c’era questo, dietro la voglia di farsi intervistare? La voglia di chiacchierare con qualcuno? Di sicuro se la cava bene, perché venti minuti sono passati in un attimo. “Parlare con la stampa sembra venirmi naturale. Non uso troppe parole, vorrei espandere il mio vocabolario, essere più… come si dice?” Fluente? “Esatto, fluente! Usare le parole per esprimermi con maggior precisione. Mi piace esprimermi, non solo in campo. Dire cose in cui credo, che sento essere vere per me. Se non fossi sicuro di qualcosa non te la direi mai” promette.

Se con i giornalisti finora va tutto bene, altrettanto non si può dire del rapporto di Tsitsipas con gli altri tennisti: la sua reazione ai nomi dei vari Next Gen players è un’alzata di spalle e un sospiro. “Non conosco per davvero nessuno di loro” ammette un po’ a sorpresa. “Una volta ho palleggiato con Zverev, più o meno ci conosciamo perché mia madre e i suoi genitori sono amici tra di loro, ma io e lui non ci parliamo per davvero”. Stefanos avrà tempo per farsi degli amici anche nel nuovo circuito, in ogni caso, e sembra non vedere l’ora: “Quando giri per tutti questi tornei capita di avvicinarsi a qualche persona, conoscerla meglio, magari farsi qualche amico. Ti fa capire quanto sei fortunato a fare questo sport fantastico. E poi puoi visitare paesi dove non sei mai stato e dove probabilmente non saresti mai andato senza il tennis. Lo amo davvero, questo sport”. Sempre sempre? A volte quando perdo mi sento tipo: Non mi piace questo sport. Ma dentro di me no, lo amo davvero e so perché l’ho scelto”.

Oltre a scegliere il tennis, Tsitsipas ha scelto anche la Grecia. Prendere dalla madre la cittadinanza russa avrebbe potuto essere una scelta furba, che magari lo avrebbe aiutato ad entrare in una federazione più ricca e ottenere più facilmente wild card per alcuni tornei ATP come San Pietroburgo o Mosca. Per Stefanos però non è così che si ragiona: “Non ci ho mai pensato neppure per un istante. Mi sento davvero greco, provo affetto per il mio paese, mi sento patriottico, non farei mai una cosa del genere. Non mi importa se la federazione greca non mi supporta molto, voglio soltanto competere per i miei colori e guadagnarmi l’amore e il sostegno delle persone di nuovo – back home”. “So che il tennis non è una grande passione in Grecia, ma adesso abbiamo anche Maria Sakkari con una buona classifica (è numero 90 WTA, ndr) e vedo i bambini che seguono me e lei sui social, si pongono degli obiettivi, iniziano a giocare a tennis”. Forse è anche questo il motivo per cui, in un momento di pausa nell’allenamento, Stefanos gironzolava per il campo con pallina e telefono alla ricerca della foto migliore per Instagram.

La lista delle domande è esaurita da un pezzo, l’orologio della player’s lounge semi-deserta segna l’ora di pranzo, forse è il momento di andare. Ripercorrendo gli stessi tunnel, ora riscaldati da due enormi ventole, si chiacchiera ancora qualche minuto. Dell’Italia, dove Tsitsipas ha conquistato un buon numero di tornei ITF e junior – che ricorda ed elenca uno per uno – e in particolare di Roma, dove il padre lo portava da bambino a guardare i campioni degli Internazionali. Anche gli incontri visti dagli spalti del Foro li ha ancora tutti in mente, però il suo sogno sportivo rimane un altro: “Oltre ai quattro Slam, quest’anno voglio riuscire a giocare il Queen’s” spiega sicuro. “L’erba è la mia superficie preferita, l’unica che alla fine della stagione mi manca davvero. Quando ci giochi riesci a sentire la tradizione. È iniziato tutto da lì, dall’erba. È il tennis classico”. Quello che piace a Stefanos Tsitsipas, rovescio a una mano e tanta voglia di continuare a raccontare.

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