Gilbert B. (con Jamison S.), Vincere sporco (Winning ugly), trad. it. Gibertini V., Priuli & Verlucca Editore, 2013, pagg. 313.
Di cosa parla “Vincere Sporco”? Vi racconterò una piccola storia tratta da “Open”, l’autobiografia di Agassi. Vi chiarirà le idee.
1994, torneo di Key Biscane, Andre è sceso al numero 38 ATP, crisi profonda da cui non sa risollevarsi. Ne parla con il suo amico Perry, ma una soluzione non si trova. L’amico consiglia a Andre di invitare a cena Brad Gilbert, che all’epoca stava vivendo la fase conclusiva della sua carriera (alla fine degli anni ’80 raggiungerà la posizione n.4 del ranking). Agassi è scettico. Conosce Brad. Ci ha giocato contro, di lui non ha una grande opinione, ma, in fondo, perché no, una chiacchierata non può far male. Sfondo all’appuntamento fra i tre è un ristorante italiano, il Porto Cervo. Subito dopo aver ordinato, Agassi chiede a Brad (che non conosce il motivo per cui il vincitore di Wimbledon 1992 lo abbia voluto incontrare) cosa pensa del suo gioco. Gilbert, a sua volta, dopo aver ingollato un enorme sorso di birra, chiede ad Agassi se è pronto ad ascoltare una risposta sincera. “Certo”, dice Andre, ignaro di cosa lo sta aspettando. Detto fatto. Gilbert attacca, con il suo torrenziale eloquio, un’analisi dei difetti del gioco di Agassi che, a leggerla, pare che il Kid di Las Vegas non sappia giocare a tennis. Dopo un quarto d’ora di monologo Brad chiede dov’è il bagno: “Devo pisciare”, dice. Durante la sua assenza, Andre si rivolge all’amico Perry. Dice: “È il nostro uomo”.
Sotto la guida di Gilbert, Andre Agassi vincerà 6 dei suoi 8 titoli Slam e raggiungerà il vertice del ranking. Una collaborazione vincente, verrebbe da dire… Cosa disse Gilbert a Agassi? Semplice. “Il tuo gioco”, disse, “così com’è non va. Perderai. E continuerai a perdere se ti ostini a giocare in questo modo. Vuoi sapere perché? Perché cerchi la perfezione. Ecco l’errore. Tu vuoi che ogni colpo sia perfetto, ma non c’è bisogno di questo per vincere un match. Con il tuo talento”, gli disse, “se giochi al 50% delle tue possibilità e al 95% con la testa vinci. Se invece giochi al 95% ma con la testa stai al 50% perdi, perdi e ancora perdi. Non devi ogni volta dimostrare di essere il migliore giocatore del mondo, devi solo essere meglio di un’unica persona, il tennista che sta dall’altra parte della rete che, come te, ha dei punti deboli. Quello di cui hai veramente bisogno è che ogni tuo colpo sia efficace. Ed è tutto un altro discorso…”.
Avete capito, ora, di cosa parla “Vincere Sporco” (titolo originale “Winning Ugly”)? Mentre lo leggevo (rileggevo …) ho pensato che Brad è il corrispondente tennistico di Machiavelli. Miro troppo in alto? Come si fa, obietterete, a paragonare un pilastro della storia politica e letteraria italiana a un tennista che ha avuto sì successo, ma non era certo considerato, ai tempi della sua carriera agonistica, un esempio di stile ed eleganza? E per giunta poco stimato dai più illustri colleghi (McEnroe in primis)? Be’, il paragone vale proprio per questo; qui non si parla di bello stile, di questioni estetiche, si parla di efficacia del gioco, del risultato, che è, in fondo, ciò a cui tutti, dai tennisti, agli allenatori, alle federazioni, ai giocatori di club, mirano in primis.
Machiavelli, nel “Principe”, descrive la figura del capo politico ideale e lo fa parlando in modo crudo, diretto, evitando giri di parole, senza eufemismi, elencando e analizzando le qualità che il principe dovrebbe avere per essere un eccellente capo di stato. Bandisce valori come la morale, l’onestà, la benevolenza, il buon comportamento, tutte virtù che in ogni epoca, nel sentire comune, pare siano imprescindibili per identificare una persona “di valore”. Machiavelli no. Lui pone altro al centro della propria riflessione: l’efficacia dell’azione calibrata verso un preciso obiettivo, individuato dopo una severa analisi dello stato di fatto, della realtà effettiva delle cose. Il bravo politico non è quello onesto, non è il virtuoso che opera per un “bene comune” generico, vago e più d’intenti che reale, non è il regnante generoso verso il volgo. No: il bravo politico è il politico capace, colui che pensa a ciò che è meglio per lo stato in un determinato momento, che ne analizza la situazione in cui versa e decide la strategia più adatta per raggiungere la vera meta che è, appunto, la prosperità del suo reame. E per realizzare questo obiettivo tutti i mezzi sono validi.
Chiaro, in Machiavelli c’è molto altro, non si scandalizzino gli esperti per questo paragone. Serve, tuttavia, a chiarire un tratto fondamentale di “Vincere Sporco”: chi gioca a tennis, a tutti i livelli, da quello professionistico a quello amatoriale, gioca soprattutto per vincere e Gilbert ci spiega come fare. E lo spiega alla grande. Sì, perché, attenzione attenzione, il libro di Brad è indirizzato soprattutto ai giocatori di club, non ai professionisti (che, tuttavia, dalla sua lettura ne trarrebbero ottimi consigli). Ed è già una prospettiva interessante per accostarsi a questo testo. È rivolto a noi, poveri colpitori di palline del week-end. Gilbert parte da un assunto: giocare a tennis è divertente ma ci si diverte di più quando si vince. E magari, sei stai nel circuito, si ingrossa anche il tuo conto in banca. Pragmatismo americano. Questa semplice premessa mette nero su bianco ciò che è evidente a tutti, un sentimento comune che, per fair play e per chissà quale motivo immancabilmente “politically correct”, spesso passa in secondo piano: si gioca principalmente per vincere. E in ciò non c’è nulla di male, riflette, nella stragrande maggioranza dei casi, la verità, soprattutto per uno sport crudele e spietato come il tennis, dove sul campo si è veramente soli con se stessi e con l’avversario. Chiunque vada sul campo da gioco, anche se deve affrontare l’amico fraterno nella partitella della domenica, vuole, prima di tutto, vincere, vincere, vincere. Poi, a fine match, c’è la stretta di mano, la birra alla club house e amicissimi come prima. Ma lì, nel mezzo della battaglia, vogliamo vincere.
Dall’esordio di Brad derivano molti corollari che, tutti assieme, illuminano la visione del tennis gilbertiano. Innanzitutto giocare un tennis intelligente. Cosa significa? Questo:
“1. Individua le opportunità.
2. Esamina le alternative.
3. Capitalizza le opportunità usando la migliore alternativa possibile”. (Pag. 32)
In altre parole: sul campo bisogna andarci, prima che con il fisico allenato, con la testa. Bisogna mettere in moto la materia grigia. Il tennista intelligente analizza il gioco dell’avversario, ne scova i punti forti e i punti deboli che sono, ambedue, sia tecnici sia psicologici, e fa altrettanto con il proprio gioco. Il tennista intelligente non si adagia sugli allori del successo, né dopo un incontro vinto, né durante l’incontro, quando le cose girano a proprio favore. Non si rilassa mai. Al contrario, tende a rimanere sempre in quello stato di giusta tensione e di carica adrenalinica che gli permette di avere una visione lucida di ciò che sta accadendo sul campo. È costantemente in controllo. Gilbert non fa mistero che il suo tennis non fosse tecnicamente sopraffino e di aver vinto molte partite che avrebbe dovuto perdere contro giocatori migliori di lui (Connors, Becker, McEnroe, Chang e tanti altri top players degli anni ’80, unica eccezione Ivan Lendl contro cui perse sempre), eppure riuscì a farcela. Ecco perché: “Vincevo perché avevo la capacità di attuare con successo la mia strategia di gioco. Ciò significava mettermi in condizione di tirare i colpi che prediligevo anziché quelli che non amavo. Al tempo stesso tendevo a massimizzare i difetti del mio avversario e a minimizzarne i pregi. Cercavo di costringerlo a colpi che non gli piacevano da posizioni che non amava (…) L’obiettivo del mio piano di gioco era quello di fare in modo che il gioco dell’altro gli si rivoltasse contro”. (Pag. 115)
Poco più avanti leggiamo: “Per applicare con successo il tuo piano, devi innanzitutto capire ciò che sta accadendo nel corso del match al tuo gioco, a quello dell’avversario e all’interazione tra i due. (…) Allen Fox (uno dei primi coach di Gilbert, n.d.r.) era solito ripetermi: ‘Durante una partita chiediti sempre chi fa cosa a chi’. Ciò significa sapere come e perché si vincono e perdono punti. Significa sapere che cosa sta succedendo in campo”. (Pagg. 115-116). E ancora: “Il gioco di qualsiasi tennista è come una serratura a combinazione. È difficile da aprire senza la combinazione, ma se la si conosce le cose cambiano. Sapere chi fa cosa a chi, vi fornisce la combinazione della serratura”. (pag. 116)
Segue a pagina 2: l’attitudine all’incontro e la gestione dello stesso. Le tecniche mentali