Mercoledì da leoni: Guillermo Canas tra East e West Coast - Pagina 2 di 2

Racconti

Mercoledì da leoni: Guillermo Canas tra East e West Coast

Torna la rubrica sulle imprese più o meno grandi compiute da tennisti non troppo noti. Stavolta si va da Indian Wells a Miami 2007, per raccontare di quando Federer perse l’imbattibilità contro un argentino che neppure doveva esserci

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Il 27 marzo è il “revenge day” per Federer. Nonostante un cammino sulla carta più che accidentato, Cañas ha superato Henman, Ferrero e Gasquet e ha raggiunto il n.1 negli ottavi del Sony Ericsson Open di Key Biscayne. Oggi però sarà un’altra storia, pensano i più: Roger non è al debutto, ha già superato due turni (Querrey e Almagro) e si è acclimatato al meglio.Lo svizzero ha cambiato abito e veste in rossonero, senza alcun riferimento calcistico. Qualcuno fa notare che la maglietta attillata tira un po’ sulla pancia ma sono le solite malelingue di chi non vede l’ora di mettere zizzania e trovare il complotto anche quando non c’è alcuna ragione. Federer sta benissimo e ha tanta voglia di confermarsi campione a Miami per la terza volta consecutiva. Solo che…

Solo che (e qui torniamo qualche riga sopra) non è vero che la sconfitta di Indian Wells non ha creato problemi. Perché è troppo recente per passare inosservata e perché le vittorie danno fiducia. Agli avversari. “Come in California, anche qui mi sono detto: un punto alla volta, Willy. Un punto alla volta!” Eh già, se l’hai fatto una volta, puoi farlo ancora. Cañas si prende la battuta di Federer nel terzo gioco e tiene lo svizzero a distanza fino al decimo ma, quando si tratta di chiudere la pratica del primo parziale, Roger alza il volume e pareggia (5-5). Questo è un Federer diverso da quello californiano; più motivato e reattivo, con il dritto che frutta assai di più. Ma anche Willy è diverso, non solo strenua difesa e profondità ma pure qualche sortita a rete, come quella che gli consegna il 3-0 nel tie-break poi dominato 7-2. Quanto durerà Cañas a questo livello? Il secondo set sembra suggerire la risposta. Break al terzo e settimo gioco – con alcune ciliegine come un mezzo drop di rovescio al termine di uno scambio durissimo e che si spegne laddove l’argentino non può arrivare nemmeno con il pensiero – e il 6-2 è bello che confezionato. Roger si carica per il dritto vincente che lo manda subito avanti di un break (1-0) nel terzo segmento, ha la chance del 3-0 ma Calimero è sempre lì, corre a destra e sinistra spesso inutilmente ma ben sapendo che ogni colpo in più che fai tirare al tuo avversario aumenta la possibilità che questo sbagli. Succede nel sesto gioco, quando Guillermo restituisce il break (3-3), e nell’altro momento topico, ovvero quando il numero 1 potrebbe salire 6-5 e servire per il match. Alla fine è un altro tie-break a decidere, con Roger a violentare la rete con uno schiaffo di dritto che porta Willy sul 6-4 e a bucare la risposta del 7-5.

“Non so qual è la chiave per batterlo, forse lottare su ogni punto. Due vittorie consecutive sul numero uno del mondo sono molto di più di quello che avrei potuto chiedere a questi tornei americani. Sono stato fortunato a giocare così bene per due volte di fila” afferma Cañas, uno che ha imparato a trattare quei due impostori che sono vittoria e sconfitta allo stesso modo, come vorrebbe Kipling. Laconico Federer: “Avrei dovuto vincere e non l’ho fatto. Bravo lui”. A differenza di Indian Wells, qui Willy continuerà la sua corsa fino alla finale imponendosi ad altri due top-10 (Robredo e Ljubicic) per inchinarsi solo a Djokovic. Queste le due giornate da leone dell’argentino, che giocherà la sua ultima partita ufficiale ad Amburgo, nel 2009, perdendo netto con il nostro Potito Starace. Poi si rilasserà e con lui la sua pancia, arrivando a pesare oltre 120 kg. Alla moglie Fabiana, modella brasiliana, piaceva lo stesso ma lui a un certo punto non si è più compatito così ed è tornato quasi normale. Adesso Willy vive e insegna tennis a Miami, il luogo del secondo misfatto, e ogni tanto gioca a padel a livello professionistico o prova a fare il coach di giocatori più (Gulbis e, proprio di recente, Jankovic) o meno (Odesnik) illustri, senza alcuna nostalgia per quel marzo di dieci anni fa che lo fece balzare agli onori della cronaca. “Non ho mai rivisto i video di quelle partite e ho un solo rimpianto: non essere riuscito a vincere la Davis insieme ai miei fenomenali connazionali Nalbandian, Coria e del Potro. Un vero peccato”.

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