Il tennis italiano è al buio

Editoriali del Direttore

Il tennis italiano è al buio

Charleroi non è il problema. Dove sono i ricambi? Barazzutti non osa nominarli. Tre anni forse? I 100 scomparsi di Tirrenia

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Non è certo un disonore aver perso da una squadra forte e omogenea come quella belga. Credo anzi che questa squadra possa considerarsi favorita anche contro l’Australia di Kyrgios, come ha fatto capire anche Stefano Tarantino nel suo eccellente articolo di introduzione alle semifinali di Coppa Davis che si giocheranno a settembre, anche se un pronostico oggi non può tenere conto di eventuali assenze in un team piuttosto che nell’altro. Certamente la superiorità di Goffin nei confronti dei nostri due singolaristi è stata disarmante: ha lasciato 10 game a Seppi e appena 8 a Lorenzi (e se avete letto quel che avevo scritto invitando Barazzutti a prendersi un rischio alla… Panatta, non potete dire che non  me lo aspettassi), cioè un total edi zero set e 18 games, a fronte di 6 set e 36 games. Il doppio esatto dei giochi. Quasi imbarazzante.

Come ho scritto sulle pagine di Nazione, Giorno e Resto del Carlino, il vero problema dell’Italia non è certo questa sconfitta. Lo è invece l’avvenire del nostro tennis. A breve termine e presumo anche a medio, se è vero che lo stesso Barazzutti ha parlato di 2 o 3 anni di attesa perché emergano nuovi (eventuali) talenti. Lui dice che c’è un bel gruppo alle spalle dei nostri veterani, ma due o tre anni sono una mezza eternità. Significa tre anni di sconfitte ai primi turni degli Slam, ove qualcuno di quelli che oggi sono più indietro del duecentesimo posto in classifica mondiale, riesca a qualificarsi. Onestamente è una prospettiva abbastanza triste per qualcuno che come noi di Ubitennis.com segue i grandi tornei e dovrà rassegnarsi a parlare soltanto di primi turni.

Tanti anni fa Corrado Barazzutti rivolgendosi a due “santoni” del tennis giornalistico come Rino Tommasi e Gianni Clerici, disse: “Dovete ringraziare noi tennisti se potete fare i vostri viaggi dietro al tennis”. Beh, a parte lo scarso tatto nell’esprimere quel concetto, non era così, non è stato così, non sarà così. Loro prima e il sottoscritto prima, ora e spero ancora almeno per un po’, abbiamo seguito il tennis ovunque si giocasse, a prescindere dai successi del tennis italiano che purtroppo sono stati rari e discontinui. Basti ricordare che se non fosse stato per le 4 ragazze top-ten, e purtroppo in un Paese che al tennis femminile non ha mai riservato la stessa attenzione che a quello maschile, le sole soddisfazioni negli Slam, cioè le gare che davvero contano, sono state qualche sporadico quarto di finale perso nettamente, dopo l’era Panatta-Barazzutti degli anni Settanta. Per la prima volta dopo anni, mi pare da 10 anni, non abbiamo neppure una tennista compresa fra le prime 30 del mondo. E meno male che Fognini ha raccolto punti preziosi a Miami per risalire a n.28, perché altrimenti non avevamo un solo rappresentante azzurro fra i primi 30, uomini e donne. Pur augurando tutto il bene del mondo al trentacinquenne Lorenzi, al trentatreenne Seppi, al trentunenne Bolelli non riesco ad immaginarmeli capaci di fare grandi progressi.

Ho intervistato ieri il quasi ventisettenne esordiente Giannessi, che ha finalmente colto un risultato che è pur sempre un grande traguardo e la realizzazione di un sogno. Complimenti a lui, e non solo perché è un ragazzo semplice e ben educato. Giocare in Davis, sia pure a risultato acquisito, è e resterà una bella soddisfazione che ripaga di tanti sacrifici compiuti. Giannessi è stato tanti, davvero tanti anni a Tirrenia. Più di chiunque altri. Si è visto passare accanto forse più di 100 ragazzi. Nessuno ce l’ha fatta. Diciamo la verità. Qualunque cosa dica Angelo Binaghi, il presidente della FIT dal 2000, si tratta indiscutibilmente di un grande clamoroso fallimento tecnico, che dura dal 2004 e minaccia di durare – più o meno – fino al 2020. Il fatto che ieri Corrado Barazzautti abbia preferito non fare nomi su coloro sui quali il tennis italiano pensi di poter contare (“non voglio creare illusioni e aspettative”) non è un buon segno a mio avviso. Chi è investito di un ruolo tecnico preminente dovrebbe poter dare qualche indicazione, perché diversamente dà la sensazione di navigare a vista. Altrimenti è un po’ come quando gli investigatori dicono “stiamo indagando su tutte le piste”. I nomi dei migliori giovani li so anche io, Berrettini, Quinzi, Sonego, Napolitano, Donati, ma non si può scommettere su nessuno. Oppure si può scommettere tanto quanto si poteva scommettere sui 100 desaparecidos di Tirrenia. Non si vede alcuna chiara luce in fondo al tunnel.

Eppure oggi l’inviato a Charleroi di Repubblica ha chiuso il suo articolo scrivendo: “Sognare in grande non è peccato”. Mah… resto perplesso, molto perplesso. Non sarà peccato ma lo trovo del tutto irrealistico. Anche perché quella frase era preceduta da queste altre: “Non resta che attendere fiduciosi l’agognata continuità di Fognini, la maturità di Seppi, la stabilità fisica di Bolelli, più Lorenzi che resta affidabile”. Boh, fiduciosi? Forse sarà perché sono più vecchio, ma sono più pessimista. Ma si tranquillizzi Barazzutti. Non smetterò per questo di viaggiare per seguire il grande tennis, finché avrò passione e forze sufficienti. Ci siano o non ci siano italiani protagonisti.

(in aggiornamento)

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