Amici ma non sul campo. Fognini è più creativo, a Seppi resta l’erba (Clerici). A Fognini il derby, ora c’è Wawrinka: «I giorni più belli» (Crivelli). Murray vince il derby dei piagnoni contro Klizan (Azzolini). Jabeur, l’araba felice: «Con me la Tunisia è più grande» (Crivelli)

Rassegna stampa

Amici ma non sul campo. Fognini è più creativo, a Seppi resta l’erba (Clerici). A Fognini il derby, ora c’è Wawrinka: «I giorni più belli» (Crivelli). Murray vince il derby dei piagnoni contro Klizan (Azzolini). Jabeur, l’araba felice: «Con me la Tunisia è più grande» (Crivelli)

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Amici ma non sul campo. Fognini è più creativo, a Seppi resta l’erba (Gianni Clerici, La Repubblica)

Era una giornata di qualche importanza, non solo per i cronisti italiani che sono il gruppo più numeroso dopo i padroni di casa (miracolo inspiegabile, date le tirature) ma per l’incontro tra i due più forti giocatori italiani dei quattro tennisti presenti. Cioè di Fognini e Seppi, rispettivamente n. 29 e n. 84. Vedete dal risultato che ha vinto il soprannominato Fogna in tre soli set, 6-4, 7-5, 6-3. Quello che mi interessava, visti i precedenti di De Morpurgo (n. 3 del mondo) e De Stefani (n. 8) che schiaffeggiò il suo giovane avversario per l’affronto di esserne stato battuto; Gardini e Pietrangeli (non proprio amici per l’isteria agonistica di Fausto), Panatta e Barazzutti (separazione umana cronica) era il rapporto tra Fognini e Seppi. Seguendo la partita, sul campo n.17 colmo di spettatori italiani, ho assistito a qualcosa di simile di un allenamento agonistico, con i due azzurri intenti a cancellare con la suola, come si usa, il segno di una palla controversa ritenuta buona, o a circondare con la testa della racchetta il segno di una palla out, a conferma del fuori. L’arbitro Lichtenstein, da non confondere con il pittore, non ha avuto nessun fastidio dalla partita, che è stata di una correttezza più che esemplare. Tale rapporto civile mi ha spinto a rivolgere ai due una domanda simile, scusandomi al contempo per la curiosità un pochino troppo intima. «Siete amici nella vita?» ho chiesto. Entrambi mi hanno risposto positivamente, sottolineando che il loro era un ottimo rapporto di lavoro sportivo, non tanto intimo come Fognini definiva la sua amicizia con il partner di doppio Bolelli. L’ incontro ha seguito in toto le predizioni dei bookmakers, Seppi a 3 e Fognini a 1.40, come ho letto su Ubitennis.com, il sito che riporta quotidianamente le quote. Non ho ravvisato, nel match, un solo istante che mi suggerisse un cambiamento del pronostico, perché Andreas riuscisse a penetrare negli schemi di Fabio, più creativi, con la palla maltrattata dai lift alternati ai tagli, sul rovescio. Andreas ci ha detto alla fine che spera di giocar meglio nella prossima, ahimè breve, stagione sull’erba, dove i suoi colpi penetranti lo hanno portato addirittura alla vittoria nel torneo di Eastburne, e agli ottavi di Wimbledon. Sarà forse il caso di ricordare simile giornata italiana, che ha poche possibilità di ripetersi, nonostante Fognini non parta battuto, se non per i bookmakers, contro Wawrinka, che conduce per 4-1 la serie del loro match. Il successo di Fabio risale purtroppo al 2013, sulla terra di Acapulco, e ci vorrebbe un’abilità da tuffatore-tennista per rinnovarlo. Speriamo. Mentre speriamo di vedere più spesso tennisti italiani nei tornei, non tanto del Grand Slam, ma almeno dei challengers, come ha suggerito Seppi, perché il paese non resti troppo distaccato dagli altri due vicini mediterranei, Francia e Spagna. Paesi che ci sommergono, se non con i numeri degli scribi, con quelli che contano un po’ di più, quelli dei tennisti.

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A Fognini il derby, ora c’è Wawrinka: «I giorni più belli» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Sai chi sei e cosa vuoi, conosci più a fondo te stesso e i tuoi difetti, hai ancora voglia di imparare ma riesci a oltrepassare il limite. Una ricerca inglese pubblicata lo scorso anno illustrava così le ragioni che rendono preferibili i 30 anni di età ai 20. Avessero aspettato un anno, l’ispirazione e molte risposte sarebbero arrivate dal tennis: al secondo turno maschile del Roland Garros, infatti, sono approdati trenta giocatori ultratrentenni, un record nell’Era Open. Tre di questi sono italiani, e potrebbero pure magnificare le virtù del matrimonio, visto che tutti sono convolati a nozze negli ultimi mesi. Fognini ha perfino conosciuto le gioie della paternità, e sicuramente il bebé appena arrivato gli ha dato spinta e motivazioni in aggiunta per tornare nei sedicesimi parigini dopo tre anni. Fabio batte Seppi nel derby tricolore e poi lo omaggia dei complimenti da marito a marito: «Siamo sempre stati buoni amici, ma Andreas da quando si è sposato è migliorato, è meno zuccone di prima». Lorenzi, invece, il più stagionato della compagnia (35 anni), si ferma contro il cannone di Isner malgrado regali all’americano appena 6 gratuiti: «Peccato, se fossi riuscito ad allungare il match avrei cambiato l’inerzia». La sfida tutta italiana, invece, offre poche emozioni, con Fognini che sta comunque attraversando un periodo tecnico positivo finalmente combinato, almeno fin qui, a una buona capacità di gestione dei momenti chiave (come il break e il controbreak sul 5-3 del set inziale) e l’altro che invece non riesce ad alzare il livello quando conta, pur non giocando male. Tocca così a Fognini issare una volta di più il vessillo del tennis in bianco, rosso e verde, di cui rimane l’unico portabandiera in singolare al Bois de Boulogne: «Prima di arrivare qui ho vissuto i giorni più belli della mia vita, Flavia è contenta e il bimbo sta bene. E’ tutto ok. Quando incontri un giocatore del tuo paese è sempre una partita strana, indecifrabile. Anche con Tiafoe, nel turno precedente, ero avanti di due set e un break e sono finito al quinto. Stavolta ci ho ripensato e ho cercato di non accusare passaggi a vuoto, ho giocato sempre con lucidità e ho evitato che Andreas entrasse troppo nel campo. Credo di aver fatto la differenza nei momenti chiave, è questa la soddisfazione più grande che mi porto verso il match contro Wawrinka». Già, domani lo aspetta Stan The Man, un vero animale da Slam, che dopo una stagione mica troppo brillante è atterrato a Parigi conquistando domenica il torneo di Ginevra e con il braccione tirato a lucido come nelle settimane d’oro. E se la vita comincia davvero a trent’anni, lo svizzero ne è il simbolo, se è vero che può diventare il primo giocatore della storia a vincere tre Slam (dopo il Roland Garros 2015 e gli Us Open 2016) dopo quell’età. Anche se non si fida di quell’italiano lunatico: «Fabio è un giocatore imprevedibile, ma pure molto forte, soprattutto sulla terra. Lo sto seguendo, è concentrato e presente. Certo, forse la giornata dipenderà da come si sarà svegliato, però è un match molto pericoloso per me». In attesa di sapere come scenderà dal letto, Fogna è battagliero: «E’ evidente che parto sfavorito, lui ha ritrovato la condizione e tira scaldabagni. Ma sono tranquillo, punto a sfruttare tutte le occasioni che avrò». I trentenni, si sa, del resto lo fanno meglio.

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Murray vince il derby dei piagnoni contro Klizan (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Più lamentoso di Andy c’è soltanto Martin. Di recente gli hanno chiesto che cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito a diventare tennista. «Il carcerato», è stata la risposta. Martin Klizan è uno che si lamenta a prescindere, per questo appare superiore a Murray nella speciale classifica delle lagnanze. Il resto si può immaginare: i due hanno trasformato il Centrale in una santabarbara del piagnucolio, pronta a esplodere in gemiti che manco nel tennis femminile si sono mai sentiti di eguali. Eppure, scuotendo la testa e soffrendo per ogni refolo improvviso di vento, per ogni scricchiolio di una sedia, per ogni colpo di tosse di uno del pubblico, lo slovacco ha avuto il primo set in mano e poi una concreta speranza di trascinare il numero uno al quinto. Non ce l’ha fatta, ed è ancora lì che piange. Murray continua a rischiare contro avversari che l’anno scorso non gli facevano nemmeno il solletico. Ha già perso due set, e non sono pochi. «Ma ho ritrovato il passo lungo», dice, «il quinto set non mi spaventa. La forma sta migliorando». Il tennis non tanto. Si limita a giocare di rimessa: va bene con Klizan, ma contro Del Potro, in terzo turno, dovrà cambiare registro. Sempre che ora ne abbia un altro a disposizione. Fa peggio Kyrgios. Gioca un set, lo vince, ma non è da terra rossa e non ha alcuna intenzione di diventarlo. Ci prova un po’ nel secondo, gli dice male e allora si fa da parte e lascia che Kevin Anderson dilaghi. Mistero su cosa abbia nella testa. La compagnia dei ragazzini, però, tiene botta. A un passo dagli ottavi se ne contano sette, sempre che si fissi il limite ai 24 anni, che un tempo non erano pochi. La novità è il russo Karen Khachanov, e non fate caso al nome da ragazza. Lo chiamano Djan, evidentemente si sono accorti dell’errore. Ha ventun anni, moscovita, è alto due metri, si allena a Barcellona, ed è fra i pochi che non citano Federer, quando gli chiedono chi sia il suo nume tennistico. Karen dice Del Potro, e cerca di giocare allo stesso modo. Ieri ha schiacciato Berdych (o quel che ne è rimasto) e sfiderà Isner che si è liberato di Paolo Lorenzi. Match senza grandi rimpianti per il nostro, sul quale sono piovuti ben 21 ace. Alla fin fine ha subito solo un break, nel primo set, e di questo può andare orgoglioso. Ma nei due tie break finali, la clava di Isner si è fatta sentire. Dal lato femminile, la casella della numero 1 è occupata dalla Tsurenko. Prima è caduta la Kerber, poi la Makarova che l’aveva battuta. La parte alta del tabellone propone come teste di serie principali Svitolina (5) e Kuznetsova (9). Va meglio nell’altra metà, dove Pliskova (2) e Halep (3) sono ancora in piedi. Ma fino a quando?

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Jabeur, l’araba felice: «Con me la Tunisia è più grande» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

L’harissa è una salsa a base di aglio e peperoncino che accompagna molti dei piatti della cucina tunisina: «Adesso farò assaggiare anche alla Bacsinszky quanto posso essere piccante in campo». Sorride Ons Jabeur, una delle sorprese più impreviste, ma anche più divertenti, della prima settimana del Roland Garros. Nata 22 anni fa a Ksar El Hellar, una città di poco più di trentamila abitanti conosciuta per l’oasi lussureggiante che la circonda, si divide tra Tunisi, Parigi e la Slovacchia ma, soprattutto, da due giorni è la prima tennista araba di sempre a essere approdata al terzo turno di uno Slam, migliorando il percorso della connazionale Sfar, che a inizio anni 2000 fece due volte secondo turno a Parigi, tre volte a Wimbledon e uno agli Us Open: «E’ stata una fonte di ispirazione per me e ho avuto anche l’onore di allenarmi con lei quando ero ragazzina. Provengo da una piccola nazione, è un grande orgoglio rappresentare con le mie vittorie tutto il mondo arabo e il continente africano». La Jabeur adesso ha solo il problema di gestire il Ramadan, il mese sacro del digiuno per i fedeli islamici, cominciato venerdì scorso: «In queste condizioni a volte è dura pensarci, ovviamente non posso privarmi di acqua e cibo durante il torneo, ma recupererò questi giorni nei mesi che verranno e prima del prossimo Ramadan». Ons, che in campo è sempre ben disposta e ha un gioco vario e spumeggiante (nella vittoria contro la Cibulkova ha messo a segno 30 vincenti, di cui almeno la metà con palle corte), tiene così fede al suo nome, che significa di buona compagnia. Non a caso, il suo idolo è Roddick, «per il servizio e per il suo sense of humor». Tennista dall’età di tre anni, perché mamma Samira, grande appassionata, cercava qualcuno con cui giocare, non era ancora riuscita, fin qui, a dar seguito ai grandi risultati da junior, quando vinse proprio il Roland Garros (era il 2011). Quest’anno è entrata in tabellone da lucky loser per l’assenza forzata della Siegemund e da 114 mondiale ha eguagliato la nostra Pizzichini, l’ultima ad arrivare così lontano da perdente fortunata nel 1996 e oggi ha la possibilità di pareggiare il record dell’olandese Jaegerman, l’unica subentrante ad aver raggiunto gli ottavi: «Ho un’altra chance, non voglio perderla. Posso essere un esempio per tante giocatrici e tanti giocatori arabi, sento che sto rendendo la Tunisia sempre più grande». C’è una piccola macchia in carriera, quando nel 2013 a Baku si ritirò avanti nel punteggio contro la polacca Linette per un problema a una caviglia: molti pensarono a un boicottaggio mascherato, perché al turno seguente avrebbe trovato l’israeliana Peer. A fine anno si operò, negando di aver voluto evitare il confronto. Ama il calcio e tifa Real Madrid, parla anche il russo per via delle origini del fidanzato. Soprattutto, sta imparando a dialogare con l’idioma universale: quello del talento.

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