Nei dintorni di Djokovic: il ritorno di Ajla

Nei dintorni di Djokovic

Nei dintorni di Djokovic: il ritorno di Ajla

Dopo 14 mesi di stop a causa di un brutto infortunio alla spalla, la 24enne zagabrese Ajla Tomljanovic, fidanzata di Nick Kyrgios, è tornata per riprendersi quello che aveva lasciato: il suo tennis

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Indubbiamente una bella settimana quella appena conclusasi per il tennis femminile croato, già reduce dall’exploit di Petra Martic a Parigi, che ha visto sugli scudi le sue due maggiori promesse. Andiamo per ordine di classifica e partiamo dalla 19enne Ana Konjuh, che grazie alla semifinale a ‘s-Hertogenbosch ha eguagliato il suo best ranking, posizione n. 28, ed è rientrata tra le nelle top 30. In realtà però le copertine dei giornali croati erano tutte per Donna Vekic, tornata a vincere un torneo WTA a tre anni dalla vittoria in finale su Dominika Cibulkova a Kuala Lumpur. Quella vittoria, ottenuta appena diciassettenne, fece riporre molte aspettative sulla tennista di Osijek: probabilmente troppe per le sue giovani spalle. Tanto che forse anche per tutta quella pressione finora non era riuscita più a confermarsi a quei livelli, finendo anzi in un tunnel involutivo. La vittoria sull’erba inglese di Nottingham potrebbe rappresentare, per l’ancora giovanissima Donna, il punto di svolta tanto atteso: per il momento, intanto, le consente di entrare per la prima volta tra le migliori 60 giocatrici del mondo, dato che da lunedì è n. 58.

Ma oggi, pur rimanendo in tema di tennis croato femminile, parliamo di qualcun altro. Parliamo di un talento croato che qualche anno fa, proprio quando aveva l’età che ha oggi Donna Vekic, iniziò a farsi notare prepotentemente nel circuito femminile: Ajla Tomljanovic. E che oggi invece, da poco ventiquattrenne (è nata il 7 maggio 1993), si trova ad affrontare un nuovo inizio. Riavvolgiamo velocemente il nastro della carriera di Ajla. Nata e cresciuta a Zagabria, ma trasferitasi in Florida a tredici anni all’Accademia di Chris Evert, Ajla Tomljanovic fa parlare di sé per la prima volta a fine 2011, quando grazie ai buoni risultati a livello ITF entra tra le prime 150 e nelle occasioni in cui riesce ad entrare nei main draw dei tornei WTA dà del filo da torcere alle top 100. Una mononucleosi e le relative complicazioni (Ancic e Soderling ne sanno purtroppo qualcosa) la costringono però a fermarsi, tanto che nella seconda metà del 2012, dopo Wimbledon, disputa un solo torneo ITF. Di lei si perdono rapidamente le tracce, dato che scivola a fine stagione oltre la quattrocentesima posizione. Ma superata la malattia, nel 2013 Ajla riparte alla grande, facendosi notare a livello WTA. Prima raggiunge gli ottavi a Miami, battendo la n. 26 del mondo Georges, poi nella seconda parte della stagione fa ancora meglio: secondo turno degli US Open, proveniente dalle qualificazioni, e a seguire i quarti di finale a Quebec City, risultati che le valgono l’ingresso tra le prime cento giocatrici del mondo, dove rimane fino alla fine dell’anno, concluso in 78esima posizione.

Nel 2014 l’exploit in uno Slam, quello che fa veramente notizia: gli ottavi al Roland Garros, grazie a vittorie importanti come quelle su Francesca Schiavone e sulla n. 3 del seeding Radwanska. Ormai a ridosso delle top 50, Tomljanovic rallenta un po’ nella seconda parte della stagione, probabilmente anche perché le critiche che le piovono addosso dalla Croazia per la sua improvvisa decisione di giocare per l’Australia non sono facilissime da metabolizzare a ventun anni. Nel 2015 arriva la prima finale WTA (a Pattaya, sconfitta da Hantuchova) e in contemporanea l’ingresso nella top 50. Sembra solo l’inizio della sua ascesa, invece quel febbraio di due anni fa ad oggi rappresenta il picco della sua carriera. Da lì a poco, infatti, prima una malattia e le conseguenti preoccupazioni per le implicazioni a livello di classifica, poi la separazione dal coach Dave Taylor, turbano la sua serenità in campo, come da lei stessa affermato nella seconda metà della stagione. Termina comunque l’anno in top 100, per la terza volta di fila, anche se nel frattempo la spalla destra ha iniziato a darle problemi.
Problemi che peggiorano, tanto che ad inizio 2016 – dopo due sconfitte di fila al primo turno, a Brisbane e agli Australian Open – è costretta a fermarsi e poi addirittura ad operarsi a marzo. Un’operazione delicata, tanto che c’è il rischio concreto che debba abbandonare il tennis se le cose non dovessero andare bene. Ajla resta ferma per tutto il resto del 2016 ed è per lei veramente un brutto periodo, tanto che confesserà di essere arrivata alle soglie della depressione per la paura di non poter più tornare giocare. Invece tutto va per il meglio e dopo una lunga riabilitazione la tennista croata naturalizzata australiana riparte a fine febbraio, al torneo di Acapulco. E riparte col botto, eliminando Eugenie Bouchard, in quel momento n. 46 del mondo. Il cammino però è appena iniziato e i risultati altalenanti dei mesi successivi, come preventivabile dopo una così lunga assenza, lo dimostrano: ci sono altre vittorie con top 100 (Linette e Vesnina, a Miami), ma anche delle sconfitte inaspettate (contro la n. 896 del mondo Victoria Duval in un torneo ITF) ed un paio di ritiri, perché il fisico non è ancora del tutto pronto ad affrontare gli sforzi del tennis agonistico di alto livello dopo il prolungato stop.

Ajla negli ultime settimane ha passato un po’ di tempo in Croazia, prima allenandosi nella sua Zagabria in previsione dei tornei di Norimberga e del Roland Garros e poi per disputare grazie ad una wild card il torneo di Bol, dove è stata eliminata al primo turno dalla n. 99 del mondo, la promessa greca Maria Sakkari. Il quotidiano croato “Slobodna Dalmacija” ha colto l’occasione per intervistarla e per sapere come sta andando il suo tentativo di rientrare nel tennis che conta. A partire da come procede il recupero dal punto di vista fisico. La cosa importante è che non provo dolore. Non sto lavorando ancora al massimo dell’intensità perché devo dosare lo sforzo. Quando ho giocato due tornei di fila ho capito che il mio corpo non è ancora pronto, c’è sempre qualcosa che “scricchiola”. Ma mi alleno più che posso”. Passati più di tre mesi dal rientro, da quella vittoria inaspettata contro Bouchard, per Ajla è già giunto il momento di tirare le prime somme e dire se le cose stanno andando come si aspettava che andassero. È più difficile di quanto mi aspettassi. Solo adesso mi rendo conto del percorso che ho fatto e di quello che devo ancora fare. Anche se sapevo che avrei dovuto mettermi sotto e lavorare duro quando sarei tornata”. Anche se i momenti veramente duri per lei sono stati quelli vissuti nei mesi precedenti, quelli durante lo stop e la lunga riabilitazione, quando il timore di non poter più giocare aveva portato con sé anche un’altra subdola minaccia: quella della depressione“Ci sono stati momenti in cui ho pensato che non ce l’avrei fatta a tornare se la spalla non fosse guarita. Con la spalla fuori uso puoi dimenticarti il tennis, e sapevo di casi in cui l’operazione non era riuscita. Ma non ho mai pensato che non sarei tornata perché avrei perso la voglia di giocare. Il motivo della mia depressione era legato soprattutto al non poter giocare. Anche adesso, quando guardo i tornei che vorrei giocare ma non posso, rischio di ricascarci un po’. Per fortuna c’è mio padre con me che mi prende e mi dà una scrollata, in senso figurato, e mi fa tornare alla realtà”.

Tutti si chiedono quando si potrà rivedere l’Ajla Tomljanovic di due anni fa, quando si potrà rivedere una top 100. La tennista originaria della capitale croata vuole procedere con cautela. L’obiettivo è entrare nel main draw degli Australian Open. Ma anche se non ce la facessi non rimarrei molto delusa, ma almeno ho un obiettivo per cui lavorare. Quello che mi aspetto è essere entro un anno fisicamente pronta e forte come prima. Allora anche il mio tennis sarà migliore”. C’è sicuramente ancora molto da lavorare per riuscire a tornare a giocare senza problemi. L’aspetto positivo è che ci sono ancora ampi margini di miglioramento. Sia dal punto di vista fisico che da quello tecnico. Posso crescere fisicamente e con il servizio, che ho iniziato ad allenare molto più tardi. Quando già colpivo da fondo senza problemi, non ero ancora in grado di servire. Il dottore mi aveva preavvisato che sarebbe andata così. Anche adesso non è nemmeno lontanamente al livello di prima dell’infortunio”. Forse però non è del tutto dovuto ai fisiologici tempi di recupero. Come capita dopo un brutto infortunio, c’è anche qualche ostacolo a livello mentale da rimuovere“Un po’ sì, un po’ no. Non posso dire di non avere qualche ostacolo nella testa, ma è anche vero che serve del tempo perchè tutto torni alla normalità. La spalla non ha la resistenza e la forza di prima. Ma c’è anche un problema mentale: mi preparo per servire e penso che c’è qualcosa che non va alla spalla, e non è vero, la spalla adesso è sana“. C’è anche da dimenticare che tutto è successo a causa della racchetta troppo pesante e delle corde non adeguate. “Non voglio pensare a questo, quello che è successo è successo, non posso farci niente. Il medico che mi ha operato sostiene che è stata questa la causa, ma non voglio angustiarmi”.

Passando ad un altro argomento, sono trascorsi ormai tre anni da quando ha deciso di accettare l’offerta della federazione australiana. Un tempo sufficientemente lungo per guardare con il giusto distacco al putiferio che scoppiò in Croazia quando si seppe della notizia. E magari per riflettere se era veramente la cosa giusta da fare. “C‘era da aspettarselo, perché nessuno sapeva nulla. Forse qualcuno pensava che avrei giocato per gli USA dato che vivo lì da tanto tempo. Io continuo a vederla come una importante esperienza di vita, una decisione che ho preso per la mia carriera. No, non sono dispiaciuta, ero abbastanza grande per decidere autonomamente. In questo periodo ho conosciuto molte persone ed ho avuto la conferma di non aver sbagliato. Naturalmente il mio sangue non cambia: sarò sempre croata. Qualcuno lo capisce, qualcuno no, ma le critiche non mi hanno toccato molto”. Sono passati tre anni, ma il procedimento per ottenere il passaporto australiano non è ancora concluso. “Sì, di conseguenza per la WTA sono ancora una tennista croata. Negli Slam invece posso giocare per l’Australia, perché per l’ITF è sufficiente avere la “green card” per ottenere il cambio di nazionalitàIl procedimento va per le lunghe, il fatto che sia una tennista non conta, sono un numero di pratica. Ma resto fuori da tutto questo, sono concentrata solo sul tennis. Peraltro so che non è facile ottenere il passaporto da nessuna parte”.

La vita di Ajla Tomljanovic oggi si divide tra la Florida e l’Australia. “Diciamo che ho due basi, a Brisbane e in Florida. In Australia vado quando devo giocarci i tornei. Per tutti gli sportivi australiani è difficile andarci quando la stagione è in corso, è tanto lontana. Ma ci passo circa tre mesi l’anno, mi piace farci la preparazione invernale perché le condizioni sono ottime. Quest’anno per il fatto di aver effettuato la riabilitazione in America non sono stata a Brisbane in quel periodo. Il mio fisioterapista vive a Phoenix e quindi ho trascorso lì la maggior parte del tempo. Passo molto tempo anche negli Stati Uniti perché la Florida è un’ottima base, molto comoda, per partire per i tornei. Talvolta però, come accaduto in queste settimane, capita che faccia nuovamente tappa in Croazia, il paese dove ha vissuto per tredici anni. “È come se mi tornassero in mente i ricordi di un’altra vita: quando penso alla scuola, agli allenamenti prima di andare a lezione… Però quando sono a Zagabria la sensazione è quella di tornare alla mia prima casa“.

Tornando al tennis giocato e alla sua programmazione nel prossimo periodo, Tomljanovic – che nel frattempo è diventata la girlfriend  di Nick Kyrgios (visto a bordo campo nei suoi incontri ad incoraggiarla) ha dovuto prendere la sofferta decisione di non giocare a Wimbledon“L’ho deciso a Parigi, dovevo definire quali tornei disputare con il ranking protetto. Dentro di me lo sapevo che era meglio non giocarlo, che era meglio utilizzare l’opzione agli US Open dove sarò più in pronta, però mi è dispiaciuto. E mi dispiace ancora adesso, anche se so che è meglio così. Forse giocherò un paio di tornei minori e poi andrò negli Stati Uniti“. Decisione che ha preso insieme alla sua famiglia, dato che l’attuale n. 293 WTA ha deciso di non farsi seguire da un coach professionista per il momento. “Quando mi sono infortunata non ho voluto proseguire il rapporto con il mio allenatore. Non aveva senso pagarlo non potendo lavorare o vincolarlo a me fino a quando non sarei tornata a giocare. Poi, quando è arrivato il momento di pensare al rientro ho riflettuto sul fatto che ho avuto delle esperienze positive con gli allenatori, ma anche – e molte di più – negative. Allora ho deciso che per il primo anno non avrò nessuno, viaggerò solo con mio padre. Mi è sempre piaciuto viaggiare con lui. Quando avevo un allenatore era per il piacere di averlo vicino, ora invece è business”.

Logico chiedersi se ha già pensato cosa accadrà alla scadenza dei dodici mesi. “Resto aperta. Do sempre un’occhiata a chi è disponibile, ma sono selettiva. Desidero qualcuno che mi vada bene davvero, non voglio sperimentare. Sennò è ok anche restare senza allenatore”. Quest’ultima affermazione della giovane tennista provoca la bonaria reazione del padre Ratko (ex nazionale croato di pallamano, vicecampione del mondo nel 1995, ndr) che finge di offendersi di fronte alle parole della figlia. “Come? Io non sarei un allenatore?”. Pronta la scherzosa risposta di Ajla. “Certo che sì. Il migliore per il budget che avevo!”. Ma adesso, come si sente veramente Ajla Tomljanovic? “Dal punto di vista del gioco, sento che già adesso posso giocare un set ad alto livello. Al momento è il fisico a non supportarmi. Ma non è un problema, sarebbe peggio se fossi a posto fisicamente e non riuscissi invece a giocare un tennis di qualità. Per quanto riguarda il ranking non sono preoccupata: arriverà, se non sarà domani, sarà il giorno dopo ancora. L’obiettivo è quello di entrare nel main draw degli Australian Open. È fattibile, ma so però che si può perdere al primo turno in dieci tornei oppure vincerne due, non sai mai come andrà. L’importante è che, eccetto forse un paio, in tutti i match che ho giocato quest’anno – non importa se vinti o persi – sono riuscita ad esprimere un buon tennis“.

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