Errori e colpi antichi, gli esami superati da Djokovic e Federer (Clerici). Roger e Nole a segno. Wimbledon diventa roba da “Fab Four” (Guidobaldi). Tutti i Fab Four centrano gli ottavi. È un Wimbledon d’altri tempi (Crivelli). I Magnifici 7 (Marcotti). Venus, l’incidente mortale non è colpa sua (Crivelli). Il giardiniere di Wimbledon sotto accusa: “I campi sono in salute” (Piccardi)

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Errori e colpi antichi, gli esami superati da Djokovic e Federer (Clerici). Roger e Nole a segno. Wimbledon diventa roba da “Fab Four” (Guidobaldi). Tutti i Fab Four centrano gli ottavi. È un Wimbledon d’altri tempi (Crivelli). I Magnifici 7 (Marcotti). Venus, l’incidente mortale non è colpa sua (Crivelli). Il giardiniere di Wimbledon sotto accusa: “I campi sono in salute” (Piccardi)

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Errori e colpi antichi, gli esami superati da Djokovic e Federer (Gianni Clerici, La Repubblica)
Mentre assistevo, un po’ incredulo, al trentasettesimo errore di Gulbis, mi è venuta in mente un’affermazione di Niki Pilic, che fu un mio giocatore quando fingevo di dirigere una straordinaria squadra dell’Olona Tennis Club, di Milano. «Ho un tipo, nella mia accademia, che potrebbe arrivare tra i primi dieci, e magari 5». Alla mia sorpresa, ecco Niki correggersi: «Ma potrebbe non riuscirci. Infatti ha un difetto. È ricco». Chiesi dunque il nome, e mi informai meglio. Mi dissero che quell’ex russo sovietico era il figlio di un ex nazionale di basket, trasformato nientemeno che in un costruttore di elicotteri. Aggiunsero che la mamma era la miglior attrice drammatica di quel paese. E altro ancora. Mosso da insolita curiosità, andai a vedere questo enfant gaté la prima volta possibile. E ammirai un tipo capace di trarre dalla palla impossibili carezze, seguite da attriti miserabili, quasi Gul-bis significasse due persone, Gul Primo e Gul secondo. Lo vidi dunque più di una volta, sempre eguale a se stesso, quasi un tenore capace di un do di petto, seguito da improvvise stecche, e l’ho rivisto oggi, dopo che un incidente lo ha fatto precipitare al n. 589 del mondo, con la protezione del n. 99. Ricordo che nel 2010 aveva battuto Federer a Roma, per ribatterlo a Parigi nel 2014. Aspettando di vedere in campo Sua Federarità, mi attendevo quindi di tutto, che arrivava presto, con 37 errori gratuiti contro soli 12 di Djokovic, una sorta di allenamento nel quale dalle mani del ricco uscivano spesso perle e brillanti, veri e falsi. Di fronte a simile fenomeno non potevo non continuare a stupirmi, mentre lo stesso Nole rimaneva incredulo per le improvvise sassate imprendibili, seguite da misere palle in rete. Il mio intento era stato cercar di capire come giocasse il ricco, e se Djokovic fosse in condizione di rivincere uno Slam, come mi hanno chiesto in molti. Non sono in grado di rispondere sino al prossimo match di Djokovic, spesso confuso per l’irregolarità di Gulbis. Ho visto invece Federer a tratti in difficoltà per l’insolito gioco di un avversario quale Mischa Zverev, che pratica un tennis tipo Anni Ottanta, e magari Settanta, un tennis serve and volley. Il fratello maggiore di Alex ha inguaiato Roger, col suo servizio e volée mancini, fino a spingerlo a un non facile tiebreak, risolto al secondo punto con dirittone a sventaglio di Federer. Anche qui, non sono in grado di predizioni in qualche modo razionali, perché Roger, sul suo futuro cammino, non troverà certo un tennista che si affidi al benedetto serve and volley. E benedette racchette di legno, quanta nostalgia.
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Roger e Nole a segno. Wimbledon diventa roba da “Fab Four” (Laura Guidobaldi, La Nazione)
Djokovic non soffre con Gulbis, Federer solo un po’ nel primo set con Mischa Zverev, ma i migliori (con Nadal e Murray nell’altra metà, e lo scozzese è il solo ad aver perso un set) sono tutti in corsa. Restano chiusi i Doherty Gates di Church Road oggi nella ‘Middle Sunday’ (la domenica di mezzo). Non è piovuto quasi mai, così i tabelloni si sono allineati agli ottavi. Come già al Roland Garros, purtroppo, fra i 32 superstiti (uomini e donne) non ci sono più italiani in gara, dopo le sconfitte dei due soli azzurri giunti al terzo turno (Fognini e la Giorgi), ma 20 Paesi invece hanno ancora un loro portabandiera che sogna l’exploit, incluse mini-nazioni quali Lettonia (Ostapenko), Lussemburgo (Muller), Bulgaria (Dimitrov), Ucraina (Svitolina), Bielorussia (Azarenka). Nota deprimente: non si intravedono luci azzurre a fine tunnel. Sconforta constatare che ieri di 16 ragazze in lizza c’erano ben 9 outsider (non teste di serie),  ma nessuna italiana. Finita l’era gloriosa delle quattro top-ten (Pennetta, Schiavone, Errani, Vinci), chissà quanto dovremo aspettare perché arrivi un mini-ricambio. Dimenticando le italiche tristezze, non ci sono stati match epici (Gulbis-Del Potro?) in questa prima settimana molto temuta anche dai “FabFour”, che invece sono tutti approdati abbastanza serenamente agli ottavi, quando domani affronteranno finalmente veri test: Nadal-Muller e Federer-Dimitrov, più che Murray-Paire e Djokovic-Mannarino meno a rischio. Federer ha rischiato qualcosa col più anziano dei fratelli Zverev, Mischa, che ha avuto un breakpoint per il 6-5 nel primo set, poi perso al tiebreak 7 a 3. Prima il fratellino di 10 anni più giovane, Sascha, in 3 set aveva liquidato il qualificato austriaco Ofner (n.216). I due Zverev sono stati i primi fratelli a raggiungere il terzo turno dopo i gemelli Tim e Tom Gullikson nell’84. Solo i Mayer nel ’79 qui, Gene e Sandy, e i Sanchez all’US Open nel ’91, Emilio e Javier, avevano raggiunto insieme gli ottavi.
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Tutti i Fab Four centrano gli ottavi. È un Wimbledon d’altri tempi (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Servizio, volée, gesti eleganti. Doveva essere questo il tennis che 22 pionieri offrirono al pubblico il 9 luglio 1877, giusto 140 anni fa, quando si decise che un villaggio a sei miglia dal centro di Londra dovesse ospitare il torneo di un nuovo gioco appena nato e così appassionante. Buon compleanno, Wimbledon e grazie a Federer e Mischa Zverev che per un’ora e 49′ riportano indietro le lancette  con il loro gioco dal sapore antico, seppellendo al tramonto le polemiche sull’erba e gli infortuni. La domenica di mezzo, da tradizione, servirà a riassettare i prati e a trascorrere qualche ora di relax agli eroi e alle eroine rimasti. Fin qui il terzo Slam stagionale tra gli uomini ha offerto sorprese ridottissime e poco spettacolo, con ben sei giocatori agli ottavi senza aver perso un set (Federer, Djokovic, Nadal, Cilic, Dimitrov e lo Zverev più giovane) e ben sette ultratrentenni alla seconda settimana, un record per l’era Open. Soprattutto, sono tornati i Fab Four, tutti insieme al quarto turno come a Wimbledon non accadeva dal 2011. E Roger, che troverà Dimitrov, se la ride: «E’ una gran cosa, ma non mi sorprende, perché tutti abbiamo acquistato fiducia nel corso della stagione o nelle ultime settimane. Credo sia bello per il nostro sport vedere la mia generazione ancora così competitiva e con questa passione per il gioco». Il Divino, si scoprirà, ha passato un paio di giorni a curare febbriciattola e raffreddore, ma dei malanni non c’è traccia nei due set, il secondo e il terzo, in cui delizia il Centrale dopo essersi trascinato al tie break (dominato) nel primo. Brillano i 61 vincenti, in particolare se confrontati con la miseria di 7 gratuiti, ma la vera forza di Roger è nel rendimento al servizio. Fin qui, in tre partite, ha ottenuto l’81% di punti con la prima e un fantasmagorico 72% con la seconda, numeri che serviranno quando i ribattitori diventeranno più solidi: «Io non servo a 220 all’ora come Raonic, è ovvio, per questo mi devo affidare alla precisione. La battuta è un colpo che richiede concentrazione, sull’erba è un’arma che devi coltivare con la massima attenzione». Si pensava, ad esempio, che la prima del redivivo Gulbis potesse tenere in apprensione Djokovic e regalare equilibrio alla loro sfida, ma Ernests è stato troppo alterno alla battuta, soprattutto dopo essersi spinto avanti 4-2 nel primo set: senza alte percentuali, la risposta di Nole, che affronterà Mannarino, ha fatto danni e il serbo da quel momento ha messo insieme nove game di fila che in pratica hanno spento la luce del match. E’ un Djokovic sicuramente meno frettoloso e falloso, cui la diarchia Agassi-Ancic evidentemente dà stimoli: «E’ importante il rapporto che si è creato tra loro due, quando ho rivelato ad Andre che a Wimbledon ci sarebbe stato anche lui è rimasto entusiasta. Con Mario siamo amici da tanto tempo e anche se ormai si dedica alla finanza, mi ha dato volentieri una mano. Non c’è un contratto tra noi, non ce n’era bisogno, niente di formale: solo consigli tra chi si conosce bene e si stima». Le parole più significative arrivano da Becker, che alla Bbc ha parlato chiaro: «Quando l’ho visto gridare trionfante dopo un bel punto, ho capito che gli è tornata la passione». Il feeling, nonostante il divorzio, non si è annacquato e Novak lo conferma: «Si, sono tornato ad amare questo sport e mi sento molto meglio in campo». La verità in una settimana.
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I Magnifici 7 (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)
Il ricambio (generazionale) può attendere. All’anagrafe del tennis si comincia ad intravedere qualche novità rispetto alle prospettive desertiche di soli pochi anni fa. Ma a dominare la scena, anche e soprattutto di questi Championships, sono ancora i soliti noti. Una generazione di fenomeni, più o meno vincenti, longevi non meno che costanti (nei risultati). Non solo i primi quattro del ranking mondiali, i celebri Fab Four, ma anche chi in questi ultimi tre lustri ha recitato onorevolmente il ruolo di comprimario. Come Tomas Berdych, per esempio, che ieri ha staccato il biglietto della seconda settimana per la nona volta in carriera. Un traguardo raggiunto da altri sei over 30. Un record per Wimbledon. Il tabellone maschile, però, non solo stabilisce un nuovo primato, ma indica anche una chiara tendenza. Il tennis, almeno quello attuale, non è uno sport per giovanissimi. Perché oltre ai sette trentenni, ci sono 3 ventinovenni e 2 ventottenni. Il 75% dei tennisti ancora in gara ha almeno 10 anni di professionismo sulle gambe. Non proprio dei novizi. Merito sicuramente della nuova preparazione atletica, della maggiore cura nell’alimentazione, ma probabilmente anche di un gioco che richiede un equilibrio e una maturità non così scontata ai diciottenni. Cosi domani potremo assistere ad un incrocio over 30, nella parte alta del tabellone, tra Rafael Nadal e il lussemburghese Gilles Muller. Simili anche il conteggio d’età degli ottavi tra Andy Murray-Benoit Paire (30 a 28) e Kevin Anderson-Sam Querrey (31 a 29). Ieri altri tre veterani dei campi hanno superato il terzo turno. A cominciare da Novak Djokovic: energia e intensità, così – in poco più di due ore – il secondo favorito di Wimbledon si è sbarazzato del ritrovato Ernests Gulbis. Un’altra prestazione convincente che proietta il serbo per la decima volta in carriera agli ottavi sui prati londinesi. Agli ottavi lo attende Adrian Mannarino, che a sorpresa – in cinque set – si è aggiudicato il derby francese contro Gael Monfils. Fatica nel primo set, come già gli era capitato nel precedente match contro il serbo Dusan Lajovic, ma poi ritrova ritmo e vincenti, e in meno di due ore anche Roger Federer supera l’ostacolo tedesco Mischa Zverev: domani affronterà il bulgaro Grigor Dimitrov. «Mi fa molto piacere guardarmi attorno e vedere ancora così tanti giocatori della mia generazione, o poco più giovani. Fa capire quanto sia difficile non solo arrivare a questi livelli, ma soprattutto restarci. Ci vuole tanto talento, ma ancor più dedizione». Il segreto di Re Roger.
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Venus, l’incidente mortale non è colpa sua (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Legalmente. E’ la parola chiave che scagionerebbe Venus Williams da ogni responsabilità nell’incidente stradale del giugno scorso a Palm Beach Gardens, dove la vincitrice di sette Slam risiede da tempo, che provocò un gravissimo trauma cranico a Jerome Barson, 78 anni, deceduto 13 giorni dopo. La polizia locale ha mostrato un video in cui, come si legge in un comunicato, «si osserva come la signora Williams abbia occupato legalmente l’incrocio, ma è stata rallentata da un auto che aveva davanti, provocando così una serie di casualità che hanno finito per causare, pochi secondi dopo, un incidente fatale con una terza auto». Le immagini, prese da una telecamera di sorveglianza dell’area residenziale in cui vive la tennista, mostrano il suo Suv fermo al semaforo dietro una vettura bianca. Quando scatta il verde, l’auto davanti alla sua gira a sinistra, mentre Venus prosegue dritto ma lentamente, fermandosi poi quando un’altra auto proveniente dalla sua sinistra occupa l’incrocio per svoltare a sua volta. A strada libera, la Williams prosegue ma dopo pochi metri viene centrata dalla Hyunday Sedan dei coniugi Barson, che procede a velocità sostenuta. Secondo la polizia, per la moglie (che era alla guida) il semaforo è diventato verde appena prima dell’arrivo di Venus e la ricostruzione fatta grazie al video ha convinto gli investigatori a stralciare le loro conclusioni iniziali che consideravano la tennista colpevole. Una conclusione che ha ovviamente trovato l’immediata opposizione del legale della famiglia della vittima, Michael Steinger, il quale sostiene che anche dalle immagini «si capisce che la Williams è passata con il rosso». Ma l’avvocato di Venus ritiene chiusa la questione: «La mia assistita, passata con il verde, aveva il diritto di procedere e gli altri veicoli, incluso quelli per cui era scattato il verde, erano obbligati a rispettare la precedenza». Venus, a Wimbledon per il 15 ottavo di finale in carriera, tirerà un bel sospiro di sollievo.
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Il giardiniere di Wimbledon sotto accusa: “I campi sono in salute” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)
Quei diciotto figli, tutti belli e amati, dal nobile centrale all’ultimo nato in periferia sotto la collina di Aorangi Park, sono la sua croce e la sua delizia. «Il mio lavoro? Passare inosservato» diceva Neil Stubley, giardiniere capo dell’All England Club, all’inizio del torneo di Wimbledon. Ma sei giorni dopo, nella domenica di mezzo che i Championships santificano al riposo come da tradizione, con i due tabelloni allineati agli ottavi di finale, Mister Groundsman deve abbandonare i guanti da giardinaggio, il grembiule verde e le galosce per difendere i 18 campi del circolo, coccolati tutto l’anno per essere perfetti per due settimane, ahi loro — in questa edizione — senza riuscirci. Il grido dell’americana Bethanie Mattek Sands («Aiutatemi!») risuona ancora tra i vialetti silenziosi di Wimbledon: «Tutto quello che mi ricordo è un crack nel mio ginocchio. E il dolore. Il peggior infortunio della mia carriera». Kristina Mladenovic è scivolata e si è fatta male poco dopo aver chiesto all’arbitro di sospendere il match con la Riske sul campo numero 18, giudicato dalle giocatrici «inaffidabile». Per non parlare di chi si è lamentato delle buche e dell’invasione di formiche volanti, che a tratti hanno fermato i match. Il problema è che l’inedita ondata di caldo su Londra, ha seccato molto l’erba rendendola in certi casi inadatta alle scivolate e in altri viscida come ghiaccio. Venerdì, prima dell’inizio dei match in programma, il tetto del centrale è stato chiuso per preservare il campo dalla cottura. «I dati in nostro possesso dicono che i campi sotto accusa sono in linea con gli altri e con la qualità dell’erba degli anni passati — ha detto Stubley, chiamato in causa —. Certo fa molto caldo, e non ci siamo abituati. Cerchiamo di bagnarli di più, per tenerli idratati. Ma i nostri campi sono in salute, questo non si discute». Per esserlo, i 18 bambini di Neil Stubley, sono accuditi da uno staff di 17 tate. Il processo di preparazione comincia poche ore dopo il match point della finale maschile: tosatura, zollatura, semina. Domani scattano gli ottavi e Stubley spera di tornare nell’ombra.

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