Hall Of Fame: Andy Roddick e Kim Clijsters tra gli immortali

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Hall Of Fame: Andy Roddick e Kim Clijsters tra gli immortali

Nella cerimonia di Newport, ammessi alla Hall Of Fame anche il giornalista Steve Flink, vecchia conoscenza di Ubitennis, il maestro Vic Braden e la tennista in carrozzella Monique Kalkman van der Bosch

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Photogallery (Slideshow / Courtesy ITHF)

Full transcript conferenza stampa (in inglese)
Full transcript cerimonia di introduzione (in inglese)

Conferenza stampa Andy Roddick (video)
Conferenza stampa Kim Clijsters (video)
Conferenza stampa Steve Flink (video)
Conferenza stampa Monique Kalkman (video)

Nella suggestiva cornice dei suoi storici campi in erba, la International Hall of Fame of Tennis di Newport ha celebrato l’ingresso nel suo ristrettissimo club di cinque nuovi membri. La cerimonia annuale, che come tradizione si svolge il sabato del torneo ATP 250 di Newport, l’unico a disputarsi su campi erbivori al di fuori dall’Europa, quest’anno ha avuto un sapore speciale per Ubitennis: infatti uno dei membri della “Classe 2017” è il giornalista e storico del tennis Steve Flink, presenza costante sul canale YouTube di Ubitennis e sulle pagine inglesi del sito quando durante tutti i tornei dello Slam commenta i risultati con il direttore Scanagatta al termine di ogni giornata.


Flink ha iniziato a seguire i tornei dello Slam nel lontano 1972 a fianco di Bud Collins, il decano degli “scrittori” di tennis scomparso lo scorso anno, collaborando nel corso degli anni prima con la rivista World Tennis, poi con il settimanale Tennis Week, ed infine con Tennis Channel, il canale tematico statunitense per il quale è un apprezzato columnist. In tutto questo tempo ha anche mantenuto collaborazioni con i principali network televisivi statunitensi (ABC, NBC e CBS) ed è stato per anni il corrispondente radiofonico per la CBS dai principali tornei del circuito.

Oltre a Flink sono stati ammessi alla Hall of Fame anche Monique Kalkman van den Bosch (nella categoria tennis per disabili), quattro volte campionessa del mondo di tennis in carrozzella, alla quale si è dedicata dopo una breve carriera juniores interrotta da un cancro che l’ha lasciata paralizzata a soli 14 anni, e, postumamente, Vic Braden, uno dei più grandi innovatori nella disciplina dell’insegnamento del tennis, scomparso nel 2014 all’età di 85 anni. Ma è stata soprattutto la giornata di Kim Clijsters ed Andy Roddick, due ex n.1 del mondo e campioni di Slam, noti per la loro spiccata personalità fuori dal campo tanto quanto per la loro abilità con la racchetta in mano.

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(photo Ben Solomon/ITHF)

All’inizio delle celebrazioni, poco dopo le 10 del mattino, i nuovi membri (che invidia per gli anglosassoni che hanno la parola “inductee” che invece non si traduce in italiano…) hanno dato inizio alle cerimonie con una tradizionale conferenza stampa tenutasi all’interno del Museo della Hall of Fame, al riparo dalla calura e dall’umidità di luglio nel New England che già poco dopo le 8 del mattino vedeva la temperatura ben oltre i 25 gradi. La sala, adornata da alcuni pezzi unici della storia del tennis come le coppe Tiffany che ogni anno vengono consegnate ai vincitori degli US Open, ha visto i protagonisti entrare accompagnati da Stan Smith, Presidente della Hall of Fame dal 2001, che ha fatto da cerimoniere.

Visibilmente, e comprensibilmente, emozionati tutti i partecipanti, in particolare Roddick che ha dovuto ricorrere a tutta la sua determinazione per controllare le lacrime a metà conferenza stampa, mentre Kim Clijsters non ha saputo trattenere l’istinto materno, tenendo costantemente d’occhio il suo ultimogenito Blake (di 8 mesi) tenuto in braccio dalla sua primogenita Jada, 9 anni, sempre più somigliante alla madre.

Un assaggio di questa giornata lo si era già avuto a gennaio, quando durante gli Australian Open i protagonisti di oggi erano stati presentati agli appassionati della Rod Laver Arena (tutti tranne Kim che aveva dato alla luce il figlio Blake solo poche settimane prima). Roddick ha ribadito come non considerasse la sua ammissione come un fatto scontato, “tanto meno al primo tentativo. “Sono sei mesi che mi si chiede cosa significa per me essere qui oggi, ma non so se sono riuscito a trovare ancora le parole giuste per esprimere quello che sento. È davvero qualcosa di molto, molto speciale”. Talmente speciale che Andy ha voluto tutti i suoi parenti e conoscenti in questa giornata, creando qualche grattacapo logistico all’organizzazione. “Erano tutti talmente sorpresi che fossi stato ammesso che nessuno voleva mancare”. Il seguito di Roddick contava più di 50 persone, “tanto che Newport ha dovuto costruire un albergo nuovo apposta per loro” ha scherzato il Presidente Stan Smith.

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(photo Ben Solomon/ITHF)

Immancabile la domanda a “Rain Man” Flink sul più bel match cui abbia mai assistito: “Andy probabilmente sarai d’accordo con me, ma devo scegliere la finale di Wimbledon 2008 tra Federer e Nadal. Le condizioni ambientali, il freddo, il buio, l’ora tarda che mi ha permesso di raccontare la fine del match in diretta su Radio CBS durante il notiziario delle 4.15. Una serie di circostanze che hanno reso quel match il migliore che abbia mai visto”. Così come immancabile è stato il ricordo di Clijsters della vittoria agli US Open 2009 al terzo torneo dopo il rientro alle gare: “Non avevo alcuna aspettativa per quell’estate, e ad ogni match sentivo che giocavo sempre meglio. Durante uno Slam normalmente sono come in una bolla, non mi faccio condizionare dalle emozioni, ed alla fine di quell’evento le emozioni mi sono arrivate addosso tutte d’un tratto, lasciandomi travolta e confusa. Un’esperienza che porterò con me per tutta la mia vita”.

La nostra chiosa finale sulla curiosa camicia scelta da Roddick per la solenne occasione ha poi consentito ai più di preparare i fazzoletti per la cerimonia principale. “Ci puoi spiegare le ragioni della scelta di quella camicia?” abbiamo chiesto. “Prima tu” ha prontamente ribattuto Andy, per poi spiegare “ero a Los Angeles con mio figlio Hank, mia moglie stava lavorando, e mio figlio ha visto la camicia ‘Daddy, daddy, truck shirt’. La camicia per questa giornata l’ha scelta lui”.

Un’ora più tardi, allo scoccare del mezzogiorno e davanti alle telecamere di Tennis Channel, ha avuto inizio la cerimonia vera e propria. Ogni nuovo “hall of famer” ha diritto ad essere presentato da una persona di sua scelta, e Steve Flink ha scelto nientemeno che la 18-volte campionessa di Slam Chris Evert.Io e Steve ci conosciamo dal 1973, quando mi intervistò in occasione della mia prima finale ai French Open. A quei tempi il rapporto tra giocatori e reporter era molto meno formale e filtrato di oggi, e la nostra amicizia si è sviluppata nel corso degli anni, rafforzandosi ogni volta che Steve mi correggeva in conferenza stampa quando citavo record sbagliati a proposito della mia carriera. E per fortuna che sua moglie Frances non si è mai ingelosita per le innumerevoli volte che l’ho chiamato per chiedere consiglio su come scrivere un articolo o fare una telecronaca!
Nel suo discorso di accettazione, Flink con la consueta signorilità ha spiegato che lui ricordava tutti i record di Chris Evert “perché io sono lo storico, mentre lei è la campionessa che non si sofferma a pensare al passato, ma che si focalizza sempre sul prossimo grande torneo da vincere”, ed ha poi ringraziato tutti i membri della famiglia, compreso il padre 93enne Stanley, ex giornalista dei prestigiosi periodici Life e Time, che per primo lo aveva portato a Wimbledon nel 1965 e lo aveva poi presentato a Bud Collins, dando il via alla sua luminosa carriera.

Molto toccante l’introduzione di Monique Kalkman van der Bosch da parte di suo marito Marc: “Mo Mo, ti sei allenata tante ore, hai giocato tanti punti e vinto tanti incontri, grandi tornei e Paraolimpiadi, pianificando obiettivi e strategie. Una cosa non hai mai pianificato, perché probabilmente mai ti saresti aspettata di entrare nell’Hall of Fame. Oggi è quel giorno, un riconoscimento strameritato del tuo posto nella storia dello sport che ami così tanto. Congratulazioni, sono orgoglioso di far parte del tuo sogno”. E con le lacrime che ormai scendevano copiose sul viso dei due protagonisti, Monique gli ha risposto: “Todd Martin mi aveva detto che questa giornata sarebbe stata come un matrimonio. Quindi, Marc, nella buona e nella cattiva sorte, in salute o in malattia, sì, lo voglio giocare con te questo doppio misto, per il resto della mia vita”.

A raccontare Kim Clijsters è poi arrivato il suo storico allenatore Carl Maes, che l’ha seguita dai 13 anni fino alla consacrazione sul circuito internazionale: “Kim è quella che si presenta agli sconosciuti senza alcun problema, andando da loro per dire ‘ciao, sono Kim’, ed è anche la giocatrice che scherza con il cane della sua avversaria [Arantxa Sanchez Vicario ai WTA Championships 2001] prima e dopo il loro match. Una specie diversa di ‘competitor’, un ‘competitor’ con la faccia umana. Non smettere mai di essere te stessa”. Kim non ha lesinato parole di grande stima per tutti i suoi ‘colleghi’ sul palco, specialmente per Andy Roddick, con cui ha condiviso anche il percorso junior: “Ho quasi sempre fatto il tifo per te, tranne quando uscivo con un altro giocatore ATP [Lleyton Hewitt, con cui Clijsters è stata anche fidanzata ufficialmente n.d.r.] e tu giocavi contro di lui… spero mi perdonerai”.
Il tennis mi ha dato molto – ha poi continuato Kim – mi ha insegnato tante lezioni, che voglio descrivere con otto parole: dedizione, cura [di ciò che si fa], ottimismo, pazienza, rispetto, sacrificio, tolleranza e passione. Tra queste ce ne sono tre che sono le più importanti. La prima è ottimismo, che serve per rimanere positivi durante i momenti difficili. La seconda è dedizione, che serve per lavorare a fondo e migliorare in tutti gli aspetti che servono per conseguire i risultati che ci si prefigge. La terza è passione, passione per ciò che si fa, senza la quale tutto il resto non serve”.

E dopo che il sole aveva fatto capolino un paio di volte da dietro le nubi, senza peraltro cambiare sensibilmente la temperatura torrida della giornata, è arrivato il turno tanto atteso del mattatore Andy Roddick, presentato dal preparatore fisico che l’ha seguito per tutta la sua carriera, Doug Spreen,che dopo aver passato con me 260 notti l’anno è passato da preparatore fisico ad amico, a miglior amico per arrivare preparatore-amico-analista” ha scherzato Roddick, nel primo di una lunghissima serie di ringraziamenti a tutte le persone significative della sua carriera. Da suo fratello John alla sua agente di viaggio Karen, da tutti i suoi allenatori ai suoi compagni di Davis, Andy non ha voluto dimenticare nessuno, dedicando parole speciali anche ai suoi ‘colleghi’ di Hall of Fame: Se avete un problema con Kim, è sicuramente colpa vostra” ha detto di Clijsters; ed a Flink ha ricordato il primo match di tennis che l’ha ispirato, quello tra Lendl e Chang al Roland Garros 1989, etichettandolo erroneamente come un quarto di finale quando invece era un ottavo, non si sa se per una svista oppure per testare la capacità di Flink nel trattenere una correzione.
Ma quando i presenti, sottoscritto compreso, che erano fino a quel momento riuscito a trattenere le lacrime pensavano di essere ormai giunti al traguardo, ecco che il solito Andy calava i carichi da ‘90’ ricordando i suoi genitori, la sua famiglia, e proclamando la sua immensa fortuna. “La mia è una famiglia di lavoratori in tutti i sensi del termine, che affonda le sue radici negli umili inizi nelle fattorie del Wisconsin. Il mio fratello maggiore Lawrence ha avuto una vita molto dura, John un po’ meno, io sono il ragazzino viziato che ha avuto tutte le opportunità. […] I miei genitori si sono fatti il mazzo per noi. Mia mamma Blanche si è alzata alle 5 quasi tutte le mattine, per fare tutto quello che c’era da fare, accompagnarci a destra e manca, lezioni di tennis, allenamenti, giostrando tutti i nostri impegni facendo in modo che i pasti fossero sempre pronti. Tutte cose che da bambini si danno per scontate. Mio padre è venuto a mancare l’8 agosto 2014 [incredibile come questa data ricorra nella storia del tennis n.d.r.], il giorno peggiore della mia vita. Ora che sono io stesso padre, mi ritrovo spesso a sorridere perché solo adesso capisco lo scopo dei suoi insegnamenti e dei suoi metodi”.
Vorrei tanto che avesse potuto incontrare mio figlio Hank. Non riesco ad esprimere quanto ami quella piccola creatura, che negli ultimi due anni mi ha fatto provare emozioni che non sapevo di avere”.
La mia metà Brooklyn, molti non sanno quando sei matta. Ciò che è iniziato con una mia persecuzione nei tuoi confronti è sfociata in un matrimonio e figli. Forse non era una persecuzione, io la chiamo ostinazione. Sei talmente incredibile da essere riuscita a farmi apparire quasi ordinario il tanto temuto passaggio di uno sportivo professionista dalla carriera alla fase successiva della vita. Hank si accorgerà di quanto è fortunato, e la nostra futura figlia capirà anche lei di avere la migliore madre del mondo. Grazie per essere ciò che sei”.

Ed infine Andy si è dilungato (perché questo chiacchierone ha parlato per quasi mezz’ora) nel descrivere la sua fortuna di aver potuto aver a che fare con gli sportivi più grandi della sua epoca, se non di ogni epoca: “I Fab 4 mi hanno fatto arrabbiare spesso e volentieri, ma sono tremendamente orgoglioso di aver condiviso la mia vita e la mia carriera con persone di un tale spessore”. Durante la conferenza stampa della mattina, infatti, aveva ricordato come il primo messaggio di congratulazioni che avesse ricevuto appena svegliato provenisse da Roger Federer, la sua nemesi ed eterno rivale. “Mi sento come se fossi riuscito a portare Alì alla quindicesima ripresa, come se avessi difeso contro [Michael] Jordan, o lanciato contro Babe Ruth. Penso di sapere come ci si sente ad osservare Picasso che dipinge. Con loro qualche volta ho vinto, non spesso, ma un paio di volte sì”.

Non sono il migliore di tutti i tempi, non vincerò mai Wimbledon, non sono il migliore della mia generazione, o quello con il comportamento più inappuntabile. Non sono il più raffinato, e non darò mai l’onore che mi viene conferito oggi come scontato. Non dimenticherò mai quelli che hanno spianato la strada per noi e non dimenticherò gli aspetti innocenti di questo gioco che noi tutti amiamo”.

Ci sono tante cose che non sarò mai, ma da oggi in poi non sarò mai nulla di meno di un Hall of Famer, e di questo vi ringrazio dal profondo del mio cuore”.

Andy Roddick, il ragazzo ‘normale’ che ha vissuto il sogno fianco a fianco degli dei, toccando il cielo con un dito, e mantenendo sufficiente equilibrio per rendersi conto di ciò che gli è stato concesso. Anche e soprattutto per questo, si merita un posto tra gli immortali.

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