È più... Serena. Ora è mamma (Cocchi). Il derby di Paolino (Lopes Pegna). Avanti Lorenzi (Zanni). La prima volta di Lorenzi (Semeraro). La Russia si rialza (Bertolucci)

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È più… Serena. Ora è mamma (Cocchi). Il derby di Paolino (Lopes Pegna). Avanti Lorenzi (Zanni). La prima volta di Lorenzi (Semeraro). La Russia si rialza (Bertolucci)

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È più… Serena. Ora è mamma di una bimba (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

È femmina. Serena Williams è diventata mamma per la prima volta ieri al St. Mary’s Medical Center di West Palm Beach, in Florida. La figlia della più grande tennista dell’era moderna e di Alexis Ohanian non poteva che nascere durante lo US Open e proprio mentre la zia Venus stava entrando in campo nel terzo turno del torneo. «Sono super emozionata — ha detto la campionessa Venere poco prima di giocare —, non so descrivere come mi sento». La Williams avrebbe dato alla luce la piccola, di tre chili e 100, con un parto indotto nella notte. L’entourage ha letteralmente requisito un piano per evitare curiosi e contatti con altre puerpere. «Tutto il nostro amore e le congratulazioni a Serena» twittava l’account ufficiale degli US Open e immediatamente sono arrivati messaggi e congratulazioni da mezzo mondo, sportivo e no. La vincitrice di 23 titoli Slam e il compagno, imminente marito Ohanian, avevano scelto di non conoscere in anticipo il sesso del nascituro. Serena e Alexis erano usciti allo scoperto a dicembre, con una foto dell’anello di fidanzamento regalato da Ohanian alla tennista per la proposta di matrimonio. Poco dopo, a gennaio di quest’anno, Serena ha scoperto di essere in dolce attesa. «Ho fatto sei test di gravidanza – ha raccontato a Vogue — e alla fine ho detto ad Alexis di correre a Melbourne dove stavo giocando gli Australian Open e gli ho dato la notizia». Uno Slam conquistato in due, visto che Serena ha sollevato il trofeo australiano del sorpasso alla Graf quando già era incinta. E a Melbourne la Williams vuol tornare presto. «So che è un piano bizzarro ma ho intenzione di metterlo in atto…… (continua).

Il derby di Paolino (Massimo Lopes Pegna, Gazzetta dello Sport)

Paolo Lorenzi confessa che questo derby italiano lo temeva molto, perché è dura dover fare la pelle a un amico. Ma siccome è lui ad averlo vinto, ora sorride: «Però è sempre difficile giocare contro qualcuno con cui condividi tante cose: in queste settimane con Tommie siamo stati in giro negli stessi tornei americani e siamo stati spesso insieme: almeno dieci allenamenti e poi le cene la sera. Sentivo la pressione di dover vincere». Già perché Paolino ha una classifica nettamente migliore di Thomas Fabbiano. E sul piatto, c’era in palio una specie di chimera: la promozione agli ottavi. Insomma, la ghiotta occasione per diventare uno dei migliori sedici di uno Slam. Neppure Lorenzi si era mai spinto oltre un terzo turno in un Major e adesso che ce l’ha fatta, più vecchio di sempre a riuscirci per la prima volta, esclama: «Ci ho messo così tanti anni e sacrifici per arrivarci: che bella soddisfazione». Ma i tre set in 2h12′ con cui elimina l’amico sono ben più tosti di quello che può indicare il punteggio. Solo nel primo il toscano ha vita abbastanza agevole, perché il 2Senne di Grottaglie sbaglia tanto. Troppo. Dice Paolo: «È stato un match complicato. Tommie ha cominciato male, poi il livello si è alzato. Nel terzo set, sul 4-3 per me, ho preso un break. È una lezione: devi stare sempre concentrato». Anche nel secondo, quando Lorenzi sale 5-2 e servizio a favore sembra fatta. E invece Fabbiano con un paio di colpi spettacolari rimonta fino a 4-5 prima di arrendersi. Nel terzo il copione rimane lo stesso: lunghi palleggi, tanti errori (63 gratuiti in due in tutto l’incontro). Nessuno vuole mollare. Manca forse il pathos dell’incertezza per rendere il match memorabile. Fabbiano dà la sensazione di faticare a trovare il bandolo del gioco: non mette con continuità la stessa pressione sull’avversario con cui aveva conquistato la prima promozione a un terzo turno di uno Slam. Anche perché gestire la tensione di una situazione totalmente nuova e tanto importante si fa sentire. Lo pensa pure Lorenzi: «In allenamento spesso perdo, ma gioco esattamente come in partita». L’aveva spiegato l’allenatore del pugliese a Foligno, Federico Torresi: «Paolo è abituato a questo tipo di sfide, Tommie dovrà pazientare e cercare di togliergli il tempo». Non accade, soprattutto per merito di Paolino. Il coach, Claudio Galoppini, è felicissimo. Dice: «È stato un match equilibrato e complesso. Paolo ha vinto in tre set ed è stato bravo sia tatticamente sia tecnicamente: ha tenuto il livello sempre alto». Da bordo campo, arriva la benedizione del capitando di Davis Corrado Barazzutti, uno dei magnifici sei azzurri ad arrivare agli ottavi di questo torneo (lui però si era spinto fino alle semifinali): «Nonostante il 3-0 è stata una sfida dura. Fare gli ottavi qui a 35 anni è davvero un grande risultato. Paolo andrà avanti ancora qualche anno, perché vuole l’Olimpiade». La chiave è la stessa: «Non accontentarsi mai, continuare a lavorare per migliorarsi. C’è sempre qualcosa da fare», racconta Paolino. E non è mica finita qui. C’è possibilità di fare altra strada……… (continua).

Avanti Lorenzi (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)

Ha anche scherzato, Paolo Lorenzi, sul piccolo campo 17 degli US Open che ieri è diventato grande per una impresa che rimarrà tale sicuramente per parecchio tempo. Non c’era mai stato infatti nella storia dello Slam di New York una prima volta negli ottavi di finali per un giocatore di 35 anni. Fino a ieri, perchè adesso c’è appunto Lorenzi che con il successo, netto (6-2, 6-4, 6-4) nel derby contro l’amico Thomas Fabbiano, è entrato tra i Top 16 degli US Open, appena il sesto italiano “all time” a riuscire ad arrivare così lontano, dopo Corrado Barazzutti (1977, che poi giunse in semifinale), Adriano Panatta (1978), Gianluca Pozzi (1994), Davide Sanguinetti (2005) e Fabio Fognini (2015). Lorenzi non aveva mai raggiunta gli ottavi non solo a New York, ma in nessuno degli altri tre Slam. Ha aspettato, l’azzurro, tanto, ma la costanza vince e non poteva succedere che sui campi di Flushing Meadows, basta guardare il cammino di Paolo: dopo il primo Slam in carriera, 2010 Australian Open, ne sono passati altri dodici, sempre eliminato al primo turno. Mala maledizione si è spezzata, finalmente, nel 2014, a New York ovviamente, il primo successo in uno dei quattro grandi tornei. Poi da lì l’attesa per centrare il terzo turno è stata più breve, l’anno scorso, ancora nella Big Apple. E ieri, sugli stessi campi diventati davvero unici, sono arrivati anche gli ottavi. «Per me è un risultato stupendo – ha aggiunto Lorenzi – New York mi sta portando fortuna, l’anno scorso per la prima volta il terzo turno e adesso questo successo per gli ottavi. Come ho fatto a raggiungere i miei migliori risultati alla mia età? Devo dire grazie al mio allenatore al preparatore atletico. Ho iniziato a lavorare con loro quando avevo ventisette, ventotto anni e da quel momento ho cominciato a migliorare». Un derby tra due amici, concluso con un abbraccio a rete, che ha visto Lorenzi prevalere dall’inizio alla fine, grazie anche a un servizio molto efficace. C’erano solo due precedenti, ma a livello di challenger, entrambi vinti da Lorenzi, che anche sul grande palcoscenico di Ney York ha così ribadito la propria supremazia. Un incontro durato 134 minuti che Fabbiano ha giocato alla pari solo per qualche game, nel secondo e soprattutto terzo set, ma anche nell’ultima frazione, dopo aver recuperato dall’ 1-3 al 4-4, con un break a zero, ha poi ceduto il servizio al nono gioco, preludio al successo dell’amico. «Ma devo innanzitutto fare i miei complimenti a Thomas – non si è dimenticato di sottolinearlo Lorenzi – perché dopo questo torneo raggiungerà il suo top nel ranking mondiale (diventerà 72 – ndr)». E domani sulla strada di Lorenzi, attualmente 40 al mondo, ultimo italiano rimasto in gara a New York (arrivando agli ottavi si è già assicurato un assegno da 235.000 dollari) ci sarà il sudafricano Kevin Anderson………………. (continua).

La Russia si rialza. Rublev il profeta (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

………………Partendo da Khachanov, per passare a Medvedev e finire con Rublev, questa nuova generazione, tutta sotto i 21 anni di età, sembra avere le carte in regola per rinverdire le gesta dei predecessori. Il più giovane della compagnia, il diciannovenne Andrey Rublev, sembra quello meglio attrezzato e con più margini di miglioramento per tentare l’assalto alle posizioni di vertice. Non è un tipo semplice, è estremamente sicuro di se tanto da sfiorare l’arroganza ma, negli ultimi tempi, ha messo in mostra notevoli miglioramenti caratteriali. Sul campo esprime un tennis concreto, impreziosito dalle notevoli accelerazioni di rimbalzo, da un perfetto timing sulla palla e da potenti swing. I gratuiti sono sotto controllo anche in fase di spinta. La buona elasticità muscolare lo aiuta nei recuperi, rimane lucido sotto stress e non si tira indietro nel corpo a corpo. Resta da valutare solo la capacità di adattamento al variare delle condizioni ambientali.

La prima volta di Lorenzi agli ottavi (Stefano Semeraro, La Stampa)

Nemici mai. La partita che valeva il sogno di una vita da mediani Paolo Lorenzi e Thomas Fabbiano se la sono dovuta giocare uno contro l’altro, sul campo numero 17 di Flushing Meadows. Dal derby è uscito meglio Paolino, 35 anni, l’esempio, il modello, il veterano che in tre set (6-2 6-4 6-4) si è guadagnato il titolo di debuttante più anziano dell’era Open negli ottavi di uno Slam. Ma Thomas, anni 28, da Grottaglie, il suo torneo l’ha vinto lo stesso. Mai era arrivato così avanti in uno dei quattro grandi tornei, da lunedì sarà n.72 del mondo, la sua miglior classifica di sempre. Un traguardo che 3 o 4 anni fa sembrava impossibile. «Ti ritrovi a fine stagione a giocare un torneo a Bangkok, stanco, fuori forma, ovvio che ti chiedi se vale la pena. Se non è meglio starsene in Italia e pensare a sopravvivere». La spinta è arrivata dalla famiglia, da coach Torresi con cui si allena a Foligno, da chi lo ha sempre incoraggiato a girare il mondo quando i top-100 sembravano Marte. E se Fabbiano non ha mai mollato il merito è stato anche di Paolo, lo stakanovista sorridente che dopo i 30 anni ha iniziato a vincere, a scalare la classifica fino ad arrivare fra i primi 40 (oggi 39, è stato anche 33). «A fermarmi qui non ci penso proprio», dice Lorenzi, che a investire su se stesso ha cominciato anni fa ma che dal 2007-2008 con coach Galoppini ha cambiato marcia. Nel 2014 proprio a New York interruppe la serie nera di 13 sconfitte al 1 turno negli Slam………… (continua).

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