Italia sì, Italia no: i perché della fatica azzurra

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Italia sì, Italia no: i perché della fatica azzurra

Lorenzi in ottavi a New York, Fognini ai quarti di Parigi ormai anni fa. Panatta vincitore nel ’76 al Roland Garros, nel mezzo il nulla. Eppure i numeri potrebbero dire diversamente

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La Coppa Davis è la manifestazione che più di ogni altra risveglia sentimenti patriottici nel tennis, sport al quale, in linea teorica, dovrebbe essere ignoto il concetto di tifo pro o contro un giocatore. In occasione di un week end denso di appuntamenti legati alla Davis, abbiamo quindi deciso di fare una oggettiva disanima dello “stato della Nazione” tennistica maschile italiana a partire dal 1973, anno di introduzione della classifica ATP.

Da allora ad oggi sono stati disputati 179 major (RG, W, AO, US OPEN). Un solo alloro per l’Italia: Roland Garros 1976. La Svezia (10 milioni di abitanti) è il Paese europeo con il maggior numero di trionfi: 25 (11 Borg, 7 Wilander, 6 Edberg, 1 Johansson). La Svizzera insegue a quota 22 (19 Federer, 3 Wawrinka). Poi la Spagna a quota 21 (16 Nadal, 2 Bruguera, 1 Ferrero, 1 Moya, 1 Orantes). Comprensibile, quindi, il nostro Direttore quando si chiede tra il serio e il faceto quante soddisfazioni in qualità di giornalista sportivo e appassionato di tennis avrebbe potuto togliersi se, al posto di nascere tra i confini italici, fosse nato nella penisola iberica.

Per restare ai tornei dello slam, nel corso dello US Open da italiani abbiamo gioito per l’impresa di Paolo Lorenzi, giunto a quasi 36 anni agli ottavi di finale. L’ultimo italiano capace di raggiungere il quarto di finale di un major era stato Fabio Fognini nel 2011 al Roland Garros e, prima di lui, la medesima impresa era riuscita a quattro connazionali: Panatta (‘78, W), Caratti (AO ’91), Furlan (RG ’95) e Sanguinetti (W ’98). L’ultima semifinale italiana in uno slam risale al Roland Garros ’78 e fu opera di Corrado Barazzutti, che già l’anno precedente era stato capace di simile impresa allo US Open quando fu fermato da Jimmy Connors con mezzi non completamente ortodossi. L’attuale capitano della nazionale maschile italiana di coppa Davis è anche il nostro ultimo rappresentante ad essere riuscito nell’impresa di entrare nella top ten del ranking mondiale. Sono passati quasi quarant’anni da allora.

E qui le note, da dolenti che erano, diventano tragiche (o tragicomiche visto che pur sempre di sport si sta parlando) e autorizzano una domanda: ma il top player – un giocatore da primi dieci posti in classifica per intenderci – è un dono divino del cielo? Oppure, per i non credenti, il frutto di casuale combinazione di geni? O, al contrario, è la logica conseguenza di una programmazione ben fatta? Per provare a dare una risposta sensata abbiamo enucleato in una tabella i tennisti italiani, spagnoli e francesi che sono riusciti a entrare nella top ten. Ecco il risultato (tra parentesi il best ranking in carriera e l’anno in cui fu raggiunto):

 

NAZIONE GIOCATORE
ITALIA Panatta (4, ‘76); Barazzutti (7, ‘78)
SPAGNA Orantes (2, ’73); Higueras (6, ’83); J. Aguilera (7, ’84); E. Sanchez (7, ’90); C. Costa (10, ’92); Berasategui (7, ’94); Bruguera (3, ’94); Mantilla (10, ’98); Corretja (2, ’99); Moya (1, ‘99); A. Costa (6, 2002); Ferrero (1, ‘2003); Robredo (5, 2006); Nadal (1, 2008);Verdasco (7, 2009); Almagro (9, 2011); Ferrer (3, 2013); Carreno Busta (10, 2017)
FRANCIA Leconte (5, ’86); Noah (3, ’86); T. Tulasne (10, ’86); Forget (4, ’91); Pioline (5, 2000); Clement (10, 2001); Grosjean (4, 2002); Gasquet (7, 2007); Simon (6, 2009); Tsonga (5, 2012); Monfils (6, 2016)

Spagna 17, Francia 10 e Italia 2. L’abissale differenza non è riconducibile alla popolosità dei tre Paesi: la Spagna ha 46 milioni di abitanti contro i 60 dell’Italia e i 67 della Francia. Neppure alla ricchezza individuale: il reddito pro-capite degli spagnoli è inferiore a quello degli italiani e dei francesi. Scarsa vocazione degli italiani per il tennis? Risorse economiche limitate per la Federazione italiana tennis? Non si direbbe proprio. Da un interessante articolo del “Sole 24 ore” apprendiamo che le casse della FIT godono di ottima salute; che il numero di tesserati nel 2016 ammontava a 335.000 individui, di cui 150.000 sotto i 16 anni, e che Supertennis è il canale sportivo più seguito dagli italiani dopo quelli calcistici.

Inizia a sorgere il sospetto che le federazioni francesi e spagnole abbiano capacità di programmazione superiori a quelle della FIT. Il sospetto si rinforza in modo esponenziale se il confronto tra top ten viene ripetuto con nazioni molto più piccole della nostra, quali la Svizzera (8 milioni di abitanti) e la Svezia. Quattro i top ten quelli elvetici: Hlasek, Rosset, Federer, Wawrinka e 22 i titoli Slam vinti. Diciassette quelli scandinavi: Bjorkman, Borg, K. Carlsson, Edberg, Enqvist, Gustafsson, Jarrid, T. Johansson, J. Johansson, Larsson, Norman, Nystrom, Pernfors, Soderling, Sundstrom, Svensson, Wilander, con 24 major all’attivo.

I numeri sopra riportati – che non soffrono di simpatie, pregiudizi e antipatie – lasciano pochi dubbi sul fatto che l’eccellenza sia frutto di programmazione. Ma, forse, siamo noi che pretendiamo troppo e in realtà la situazione del tennis italiano maschile è rosea. Potrebbe esserci fatto notare che Paesi come, ad esempio, il Portogallo, la Grecia, l’Irlanda e il Lussemburgo non hanno mai avuto un top ten nella loro storia. Noi, però, potremmo rispondere che, tennisticamente parlando, se certe nazioni non esistessero andrebbero inventate per non essere sempre gli ultimi.

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