40.000$ per tornare a giocare a tennis

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40.000$ per tornare a giocare a tennis

Tornado Alicia Black ha 19 anni e un’assicurazione sanitaria insufficiente. Allena ragazzine sui campi di periferia per pagarsi l’intervento di cui ha bisogno. È stata la madre a convincerla. Lei, cocciuta, voleva farcela da sola. Martedì andrà sotto i ferri, dopo aver raccolto 40.000$ tramite crowfunding

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Il tennis è uno sport costoso e con diversi squilibri nella ripartizione dei guadagni, lo abbiamo detto. Probabilmente gli ostacoli più grossi compaiono a inizio carriera, quando c’è da investire “al buio” nella speranza che le diverse uscite siano pareggiate dai risultati sul campo. Nessuno ha la certezza di diventare un professionista, neanche chi è pieno di talento, e con o senza l’aiuto delle federazioni l’abbrivio di ogni carriera è sempre a suo modo una scommessa. Quando poi ci si mettono di mezzo gli infortuni le difficoltà aumentano, i mesi scorrono senza lasciare traccia nel curriculum e ci si può trovare inermi, con una delicata operazione da effettuare e un portafoglio non abbastanza largo da potersela permettere. Negli Stati Uniti funziona così.

Questo è soltanto un pezzo della storia di Tornado Alicia Black, giovane tennista statunitense nata nel 1998 a Boca Raton (Florida) che sembrava possedere un tagliando vincente per questa speciale lotteria a nome tennis. Iniziata nel maggio 2011 (con un ritiro) la sua carriera junior, una manciata di ore dopo aver compiuto 13 anni, nel 2013 “Tornado” (spiegheremo dopo la genesi) Alicia si ritrova in finale dell’US Open JuniorDall’altra parte della rete una certa Ana Konjuh, più vecchia di un anno, che avrebbe vinto quell’incontro, alzato la coppa e chiuso contestualmente la sua carriera giovanile, migrando – con fortuna – definitivamente nel circuito maggiore.

Alicia Black (sx) e Ana Konjuh (dx), premiazione dell’US Open junior 2013 (Getty Images)

Alicia invece ne ha ancora un po’ per completare la maturazione. Mentre comincia a frequentare anche gli ITF (ne vince due di categoria $10,000) nel 2014 si issa fino alla terza posizione del ranking giovanile. Nel 2015 però, a due anni dalla finale persa a Flushing Meadows (i suoi turning point hanno questa particolarità biennale), dopo aver perso al primo turno di qualificazione dell’US Open “dei grandi” è costretta al ritiro nel primo turno del torneo junior. Il dolore all’anca con cui conviveva da qualche tempo si è fatto intollerabile. 

L’infortunio appare purtroppo serio e richiede un’operazione a cui Alicia si sottopone a fine ottobre 2015. Vuole tornare presto in campo, morde il freno, ma l’anca non è d’accordo. E lo comunica a chiare lettere nel luglio 2016, quando il dr. William C. Meyers ravvisa in una risonanza magnetica la presenza di due ernie da sport e raccomanda una nuova operazione chirurgica. Meyers (fondatore del Vincera Institute di Philadelphia) è tra i massimi esperti della “Core Medicine, una branca che approfondisce la fisiologia e la biomeccanica della zona che riguarda anca, pelvi e bassa schiena. Per ovvi motivi, una branca che interseca (e interessa) fortemente la pratica sportiva. L’ernia da sport è una delle patologie più diffuse e trattate, ed è anche parecchio bastarda. Più difficile da diagnosticare rispetto a una normale ernia, poiché propone meno evidenze cliniche, è corredata da una sintomatologia che si manifesta principalmente durante l’attività sportiva.

Alicia scopre quindi di averne due. Mica facile digerirlo quando hai 18 anni e vorresti lasciare i segni sulle righe a furia di cannonate. Alicia però è di quelle ragazzine a cui la vita ha imposto di imparare presto a cavarsela – si è trovata persino senza un tetto, costretta a dormire in auto per oltre due mesi  – e non può che essere sveglia, aizzata contro le difficoltà da un forte temperamento. Intuisce subito che parte della colpa dell’infortunio è addirittura sua, degli sfiancati allenamenti da 10 ore al giorno con cui aveva tentato di onorare i contratti di sponsorizzazione che Nike e Penn le avevano cucito addosso subodorando il suo grande talento. Un forsennato incentivo a migliorare che le si è ritorto contro, spietato, tanto da costringerla a una serie di ammissioni. “Se potessi tornare indietro mi prenderei cura del mio corpo e non mi allenerei così tanto”. Sicura, come solo chi morde la vita può esserlo, che i problemi fisici siano l’unico ostacolo tra lei e il successo: “Non sono preoccupata del mio tennis quando tornerò in campo perché io gioco da tutta la vita. Oltre un certo livello non puoi smarrire il tuo talento“.

Quando si avventura in quel “da tutta la vita” non sta utilizzando un’iperbole. La piccola Black prende la racchetta in mano a soli tre anni e sua mamma Gayal, laureata in marketing, appena si rende conto dell’incredibile talento di cui è dotata le affibbia il nickname “Tornado”. Che ad Alicia non è mai andato giù, ma per essere un’operazione di marketing si rivela parecchio efficace se tutti prendono immediatamente a chiamarla così. Tanto efficace che proprio mentre Alicia sta “diventando” Tornado, sua sorella Tyra, nel marzo 2001, “nasce” anagrafe alla mano Tyra Hurricane Black. Mamma Gayal e papà Sylvester (ex tennista giamaicano) hanno deciso che se una doppia tempesta dovrà abbattersi sul tennis femminile, dovrà esserlo di nome e di fatto.

2015: a sinistra Alicia “Tornado”, a destra la più piccola Tyra Hurricane

Un salto nel presente. Tyra Hurricane (avevate dubbi?) è una 16enne giovane promessa del tennis statunitense, meno promessa di sua sorella (è ferma alla posizione 51 nel ranking junior ITF) ma comunque tenacemente agganciata al sogno di diventare una professionista. Quest’anno ha giocato Australian Open, Wimbledon e US Open senza raccogliere una vittoria, ma se c’è una persona che sta tentando di tenere viva la sua speranza è proprio Alicia. Per nulla disturbata dal fatto che sua sorella le stia in qualche modo “rubando il sogno”, oggi Alicia allena ragazzine di 10 anni in un anonimo comprensorio di Delray Beach. Lo fa per sostenere economicamente Tyra, per contribuire alle spese in famiglia dove mamma Gayal sta combattendo con un cancro della pelle (soffre anche d’asma) e anche per un piccolo motivo tutto personale. Racimolare abbastanza soldi da potersi permettere l’operazione chirurgica che il dr. C. Meyers le ha suggerito.

“Ho messo tanta pressione su me stessa per ritornare in campo, per mettere da parte i soldi per l’operazione, per aiutare la mia famiglia e a volte tutto questo… è troppo. Vado in campo con le mie allieve e devo fingere un sorriso anche se dentro sono turbata”

Qualcuno si starà chiedendo “la prima operazione Alicia l’ha fatta senza problemi, perché non può farne una seconda?“. Il sistema sanitario statunitense è come quel film di Gianni Zanasi, “un sistema complesso“, o quantomeno radicalmente diverso rispetto al nostro. Serve un’assicurazione sanitaria per accedere alle cure e ne esistono di diverse tipologie, in base alle possibilità economiche. La famiglia Black non può permettersi nulla di più del Medicaidil programma federale riservato alle famiglie meno abbienti che ha debuttato assieme al gemello Medicare (riservato agli anziani) nel 1965. Una sorta di assicurazione di stato, che nel caso di operazioni chirurgiche più complesse (o non strettamente necessarie per la salute di un individuo) può arrivare a coprire soltanto una parte dei costi, o non coprirli affatto.

L’operazione per risolvere il problema dell’ernia sportiva rientra nella categoria per cui serve un contributo accessorio. Nella teoria questa spartizione delle spese tra assicurazione e assicurato si definisce “coinsurance”, nella pratica di questo preciso intervento (e di diversi altri) va annessa l’ulteriore difficoltà di stabilire un range di costi attendibile, poiché i pazienti si ritrovano in mezzo a una vera e propria “contrattazione” tra il Surgery Center e l’assicurazione. La natura federale degli Stati Uniti fa sì che le differente inter-statali rendano necessaria una lunga fase di ricerca per trovare la miglior struttura al prezzo più accessibile. Alicia, in quanto atleta di livello agonistico, ha bisogno di preservare al massimo le sue funzionalità motorie. Il profilo dell’intervento identificato dalla famiglia Black costerebbe $16.000, ma Alicia non potrà dare lezioni per diverso tempo dopo l’operazione. Tra il denaro che non avrà modo di guadagnare e quello che le servirà per la riabilitazione la stima complessiva è di $40.000. Questa è la cifra che le assicurerebbe di poter effettuare in serenità l’intervento.

Un po’ per gioco, un po’ per la paura che le sue condizioni potessero peggiorare, mamma Gayal – col solito callo del marketing – le aveva suggerito: “Apri una campagna di crowdfunding per raccogliere la cifra che ti serve. Alicia “Tornado”, che al termine di questo racconto non ha smesso di avere soltanto 19 anni, si è opposta per diverso tempo. “Non sono il tipo di persona che chiede soldi alla gente“. Poi sono arrivati gli amici, in tanti, a ripeterle la stessa nenia. Alla fine Alicia si è lasciata convincere, chissà se più eccitata all’idea di farcela o timorosa per la scelta compiuta. Una di quelle che tradisce gli ideali che ti sembrano inscalfibili quando non hai ancora vent’anni. Il 6 settembre scorso ha annunciato di aver creato la campagna: obiettivo raccogliere $40.000.

L’articolo del New York Times pubblicato quasi in simultanea con la creazione della campagna ha fatto centro, e con esso i vari gruppi di condivisione sulla piattaforma “GoFundMe” che permettono un passaparola utile al raggiungimento dell’obiettivo. Il più proficuo è stato quello di Scott Smashey, coach che allena a Davie in Florida, meno di 30 miglia da Boca Raton. La sua pagina Facebook viaggia su uno sconfortante binario lastricato di (appena) 195 like, eppure è riuscito a muovere ben $5.000 dollari da destinare alla causa di Alicia. Il 9 ottobre la campagna si è ufficialmente chiusa: obiettivo raggiunto, $40.1000 dollari raccolti per opera di 299 persone. La primogenita di casa Black andrà sotto i ferri martedì. Quante altre persone, in passato, sono state così felici di farlo?

Chissà, ora gli Stati Uniti potrebbero ritrovare un talento per il quale molti avevano speso pesanti investiture. O magari no, perché alla fine cosa importa. Alicia “Tornado” Black potrà tornare a sognare un futuro da Serena Williams. È questo che conta. E non provare a convincerci del contrario, ragazzina, anche se quel soprannome non ti piace: tu, la forza di un Tornado, ce l’hai davvero.

Alicia “Tornado” Black, in giro per tornei a sostenere sua sorella Tyra Hurricane

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