Federer salverà un Masters senza stelle?

Editoriali del Direttore

Federer salverà un Masters senza stelle?

LONDRA – Nessun altro ha vinto Slam. Dimitrov l’avversario con più personalità e talento? Gli incerottati del circuito? Roger spiega che…

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Roger Federer è già sicuro semifinalista di questo torneo e questa è una gran bella notizia dopo quella brutta del ritiro di Rafa Nadal che priva il Masters di fine anno del motivo più atteso. L’ennesimo duello fra i due giocatori più forti dell’anno non ci sarà neppure qui, così come non c’era stato all’US Open, perché del Potro fece lo sgambetto a Roger nei quarti. Anche la successiva sfida Fedal, la quarta dell’anno, fu poi vinta da Federer che è arrivato a Londra con sole quattro sconfitte al passivo. Una l’aveva subita proprio contro Sascha Zverev e l’ha vendicata, battendolo in tre set giocati un po’ a sprazzi dal giovane tedesco già n.3 del mondo dopo le due vittorie nei Masters 1000 di Roma e Montreal. Roger ha così conquistato la vittoria n.51 del 2017, ma – come dicevo – si è già garantito un posto in semifinale per la soddisfazione dei suoi fan che magari non potranno vederlo nel match di semi-esibizione che giocherà giovedì contro l’ormai eliminato Marin Cilic, ma sono a questo punto sicuri di poterlo rivedere sabato.

Inutile dire quanto sia sempre importante la presenza di Federer fino alle fasi finali di un torneo – e fin dall’inizio anche se Angelo Binaghi quando seppe del suo forfait se ne uscì con quella memorabile boutade: “Ma io ho sempre tifato Nadal!”– ma stavolta è anche più importante delle altre volte perché, con l’uscita di scena di Nadal e Cilic, lo svizzero è rimasto l’unico tennista in gara ad aver vinto uno Slam. Che sono poi 19, come ben sapete. È questo anche uno dei Masters più poveri di grandissimi campioni di sempre. Magari lo diventeranno, per carità, mai mettere limiti alla Provvidenza e poi è certo inevitabile il cambio della guardia con tutti i vecchiarelli, più o meno acciaccati, che hanno presidiato le posizioni di vertice negli ultimi anni e che quest’anno – vedi mio editoriale di ieri – sono stati costretti a lunghi stop in ragione di troppi infortuni. Avevo detto 11 tennisti su top-20, un lettore mi ha ricordato che anche Goffin era stato a lungo fermo dopo il ritiro del Roland Garros quando si rovinò una caviglia, e un altro ha sottolineato come anche Federer qualche problemino alla schiena lo avesse avuto pure lui. Dodici o tredici che fossero, sempre tanti.

Ho chiesto a Roger Federer, subito dopo la sua vittoria con Zverev, che cosa ne pensasse (i nostri 10.400 followers di Twitter ormai lo sanno già che twittiamo in tempo reale nel corso delle conferenze stampa dei giocatori) di tutti questi infortuni, se ritenesse che si tratti di una pura coincidenza verificatasi solo o soprattutto nel 2017, oppure – come proprio hanno suggerito alcuni di voi lettori nei post – se ciò possa dipendere dalla lunghezza eccessiva della stagione, dal progressivo incremento dei tornei sui campi duri in cemento, un cemento sempre più lento per favorire gli scambi prolungati (ma danneggiando le articolazioni) o dalle palle troppo pesanti. Roger, fra le dieci domande cui ha risposto in inglese prima di quelle in svizzero tedesco e francese, ha risposto in modo assai articolato che vi ripropongo:

“Toglici dieci anni e probabilmente faremo meglio! (sorridendo). Molti di noi stanno toccando i 30 anni e oltre. Un tempo sui 30 anni molti si ritiravano, Edberg, Sampras. Era normale che sui 29-32 anni si cominciasse a guardare alla fine di una carriera. Ora voi vi aspettate che tutti giochino fino ai 36 anni (altro sorriso). Se uno si infortuna a 31 anni si reagisce… ‘Oh mio Dio, ma come è possibile?’. Invece è una cosa normale. Sia che ti ritiri sia che tu prenda un periodo di riposo sufficiente a farti rientrare con la possibilità di allungare di qualche anno la carriera, pur di essere sicuro che il tuo periodo di riabilitazione sia stato efficace. Quindi io penso che per la più parte dei casi sia l’età, e una coincidenza. In altri casi, per esempio Nishikori, Raonic, il polso, non so bene cosa abbiano… Il polso non è cosa che consegua a troppo tennis giocato, specialmente se è la tua mano sinistra. Quello è un movimento di cui non posso parlare troppo perché non gioco con le due mani. Da quanto mi dicono il polso quando giochi il rovescio a due mani deve fare un movimento abbastanza particolare che ti può creare problemi. Credo che anche Andy Murray abbia rotto il polso. Oppure qualcos’altro, non sono sicuro. Del Potro lo ha rotto tre volte. L’annata è stata la stessa da molti, molti anni. Io penso che quando passano gli anni devi imparare a gestire la tua programmazione in un modo leggermente diverso da quando eri un ragazzo. Ma alcuni vanno a diritto per quindici anni prima di concedersi un break. Poi resettano. Non credo tu possa mettere tutti questi casi insieme, ma per la maggior parte dei casi si tratta di giocatori sui 30 anni e più e questo dato recita un ruolo importante”. È anche vero che anche giovanissimi come Shapovalov e Aliassime hanno già avuto bei problemi.

Tutte le altre risposte di Roger, quale che sia la lingua in cui le ha pronunciate il nostro campione poliglotta, le troverete sul nostro Twitter o qui. Mi piace però segnalarne un’altra, data in francese, a chi gli chiedeva se non fosse pentito di aver compromesso le sue chances di chiudere l’anno a n.1 del mondo, saltando Parigi-Bercy. E lui ha replicato: “No, non ho rimpianti perché non ero a posto fisicamente, non so quanti turni sarei riuscito a passare e se quello sforzo non avrebbe compromesso le mie chances qui”. Lui, coerentemente con quanto aveva spiegato prima, ha imparato a gestire il suo corpo e a non chiedergli troppo (anche se andando a giocare in Canada ha forse commesso un errore poi pagato all’US Open dove non era davvero quello ammirato in Australia e nei primi Masters 1000 di Indian Wells e Miami).

Dicevo prima che questo Masters di fine anno poggia molto sulle prossime performances di Roger. Carreno Busta che sostituisce l’amico Rafa – dopo essersi a lungo allenato qui con lui fino all’altro giorno (che lo abbia “ucciso” lui per soffiargli il posto?) – non lo vale certamente né come tennista né come personaggio. Respingo fortemente il paragone che ha fatto qualche lettore che sosteneva che Nadal indoor è sullo stesso piano di Sampras sulla terra rossa. Eh no. Sampras sulla terra rossa del Roland Garros non è andato oltre una sola semifinale nel ’96, quando perse da Kafelnikov che avrebbe poi vinto il torneo. Nadal indoor non ha vinto il Masters ma ha raggiunto due finali e ha fatto anche altri risultati. Sampras, se non ricordo male, vinse il suo primo torneo sul rosso a Kitzbuhel, grazie all’altitudine e all’aria rarefatta, e a Roma su Becker in finale nell’anno in cui il direttore del torneo Franco Bartoni, per scongiurare l’ennesimo dominio dei tennisti-arrotini sudamericani, aveva trasformato i campi-palude degli anni precedenti spazzando via la terra rossa e facendoli diventare velocissimi.

Ci sono nell’ex gruppo di Rafa Thiem e Goffin che sono bravi ragazzi, beneducati e anche dotati di bei colpi, l’austriaco più potenti, il belga più anticipati seppur leggerini, ma non sono ancora due che strappano applausi a ripetizione o che fanno sold-out alla biglietteria. Forse nel loro gruppo il giocatore con maggior personalità, talento e prospettive dopo un periodo di apprendistato e rodaggio più lungo del previsto è Grigor Dimitrov (sul conto del quale si è espresso Federer… ma qui non lo scrivo, altrimenti svuoto tutti i nostri contributi!). A proposito del bulgaro, che fra i suoi grandi meriti agli occhi dei fans più machisti ha anche quello di essere un gran “tombeur de femmes”, l’altra sera Rafa Nadal ha detto di aver giocato proprio contro di lui la sua miglior partita dell’anno nella semifinale dell’Australian Open (insieme a quella contro del Potro in semifinale all’US Open).

Quanto al gruppo di Roger, dove Zverev e Sock si giocheranno domani un match spareggio per centrare la finale – dopo che Sock ha battuto il solito Cilic scialacquone – beh anche qui grandissima qualità al di fuori di quella svizzera, per ora non c’è. Zverev la mostra, ma solo a tratti, con “buchi attenzionali” ancora terribili, come quelli che lo hanno messo fuori gioco all’inizio del terzo set. È già n.3 del mondo, grazie anche all’uscita di scena dei primi cinque delle classifiche del 2016, ma ancora deve mangiare un po’ di pappa prima di essere definito un super-grande.

Alcuni lettori hanno scritto quali fossero le edizioni più modeste dei Masters di fine anno. E hanno citato – lo ripropongo – il ’98 quando in un gruppo c’erano Albert Costa, Corretja, Rusedski e Henman (e il torneo ad Hannover lo vinse proprio Corretja rimontando due set di handicap in finale a Moya che quell’anno lo aveva battuto nella finale del Roland Garros). Ma anche il 2002 a Shanghai quando insieme a un ventunenne Roger Federer, a seguito del forfait di Agassi dopo il primo match con Jiri Novak, il non più kid di Las Vegas fu sostituito da Thomas Johansson e gli altri erano appunto Novak e Ferrero. Il torneo fu vinto da Hewitt su Ferrero. Ma non fu molto divertente. Anche a Houston 2003 (outdoor) c’era Schuettler (con Coria, Moya e Roddick), che vale il Carreno Busta odierno. Ricordo, a proposito di Carreno Busta per chi non sapesse il regolamento, che se lui vincesse due partite potrebbe teoricamente qualificarsi per le semifinali (lo spagnolo in carriera ha vinto una sola volta in 18 scontri con i top 10). Il Masters con la finale più sorprendente fu forse il primo ospitato qui a Londra dalla 02 Arena, vinto da Davidenko su del Potro. Ricordo che alla presentazione del torneo i giocatori erano stati sistemati in 8 tavoli diversi perché noi si andasse a intervistarli. Da Davidenko non ci andò nessuno, finché impietosito per il suo imbarazzo ci andai io. Ma più per cortesia che per altro.

Certi Masters a Shanghai, sempre con poca gente sugli spalti – e la sensazione che di tennis quegli spettatori capissero ben poco – hanno offerto (si fa per dire) finali tutt’altro che esaltanti: Federer-Ferrer nel 2007 con Ferrer che raccattò 7 game, proprio come Blake sempre contro Federer nella finale dell’anno prima. Fu divertente e spettacolare quella del 2005 vinta in rimonta da Nalbandian in 5 set su Federer che sprecò matchpoint nel quinto set dopo aver vinto i primi due in memorabili tiebreak (quello del secondo set 13-11). Curiosa perché Nalbandian fu chiamato all’ultimo momento alla viglia del torneo mentre stava per prendersi una vacanza per andare a pesca. Non ricordo chi dovette sostituire, ma se leggete il documentatissimo libro di Remo Borgatti su “Il Masters. Storia del più atipico torneo di tennis. Il torneo dei Maestri” (edizione Effepi, Libri, 319 pagine), lo scoprirete. Lasciò la canna da pesca, prese la racchetta, arrivò trafelato. Vinse il torneo dopo una finale di oltre 4 ore (mi pare)… e sulla quale, partito all’inizio del quinto set, scrissi dall’aeroporto perché altrimenti avrei perso l’aereo. Uno dei mille aneddoti della mia vita di inviato. Gli ultimi game mi furono raccontati mentre mi imbarcavo, mi pare da Stefano Semeraro. Scrissi l’articolo per La Nazione, Il Resto del Carlino e Il Giorno. Il mio blog “Servizi Vincenti” sarebbe nato esattamente un anno dopo a Shanghai, con una intervista e foto insieme a Roger Federer. E Ubitennis, una vera follia editoriale, nacque invece nel maggio 2008 insieme agli Internazionali d’Italia.

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