Nadal, stop e accuse: «Superfici killer» (Scanagatta). La spietata legge dei campi duri. Nadal teme per il suo futuro (Clerici). Rafa, crac con Cilic: «Nessuno pensa alla nostra salute» (Cocchi). Sorpresa Elise Mertens. La manda Kim Clijsters (Azzolini). Ricostruire Quinzi, il ragazzo italiano che batteva Chung (Rossi). Edmund, con lavoro e carattere si va avanti (Bertolucci)

Rassegna stampa

Nadal, stop e accuse: «Superfici killer» (Scanagatta). La spietata legge dei campi duri. Nadal teme per il suo futuro (Clerici). Rafa, crac con Cilic: «Nessuno pensa alla nostra salute» (Cocchi). Sorpresa Elise Mertens. La manda Kim Clijsters (Azzolini). Ricostruire Quinzi, il ragazzo italiano che batteva Chung (Rossi). Edmund, con lavoro e carattere si va avanti (Bertolucci)

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Nadal, stop e accuse: «Superfici killer» (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Non ci sarà un’altra finale Federer-Nadal. Rafa è fuori, e lo sarà chissà per quanto. Colpa della gamba destra dello spagnolo, stavolta ben più su del ginocchio malandato che lo aveva costretto a rinunciare al torneo di Brisbane. «Non so se sia il flessore, l’inguine, dovrò fare una risonanza magnetica», ha dichiarato. Era avanti due set a uno con il croato Marin Cilic quando ha sentito la prima fitta. Probabile conseguenza di un problema di postura, collegato al ginocchio. Sul 4-1 nel quarto ha chiamato il fisioterapista che però non ha saputo e potuto fare il miracolo. Cilic, campione dell’Us Open 2014, aveva perso diverse buone occasioni per vincere il terzo set e andare avanti due set a uno, ma non ha neppure avuto bisogno di completare l’opera. Quando Rafa ha perso il servizio nel secondo game del set finale, sullo 0-2 è andato a stringere la mano all’arbitro Eva Asderaki e Cilic si è trovato in semifinale contro il britannico Edmund, n.49 del mondo, che aveva sorpreso il n.3, il bulgaro Dimitrov, deludente campione delle ultime Atp Finals a Londra. Nadal si è ritirato sul punteggio di 3-6 6-3 7-6 2-6 2-0 contro lo spagnolo, che resterà comunque n.1 del mondo (con 155 punti di vantaggio su Federer se Roger vincerà il torneo). Un Nadal sull’orlo delle lacrime, e trascinandosi a fatica, zoppicando prima di sedersi a fatica per la conferenza stampa, alla fine ha sbottato: «Ci sono troppi infortuni, occorre pensare anche alla salute dei giocatori. E nemmeno per ora che stiamo ancora giocando, ma c’è una vita anche dopo il tennis. Non so se continuando a giocare su queste superfici così dure, che cosa ci capiterà in avvenire con le nostre vite». E l’ottavo ritiro di Rafa Nadal in carriera. A Melbourne si era ritirato anche nel 2010 contro Murray nei quarti quando stava perdendo 63 76 30. Da dieci anni Nadal si batte perché ci siano più tornei sulla terra rossa e meno sul cemento, ma sembra una battaglia “pro domo sua” e nessuno gli dà retta. Ma è vero che mai si sono registrati tanti infortuni come in questi ultimi tempi. E vittime sono state non solo dei trentenni e oltre come Federer, Djokovic, Wawrinka, Nadal, Murray, Almagro che hanno saltato mesate intere, ma anche Nishikori, Raonic, Kokkinakis, del Potro, Janowicz, Quinzi. Con il ritiro di Nadal gli Australian Open perdono un altro atteso protagonista. A Roger Federer si chiede — ancora una volta! — di salvare il torneo. Una sua finale con Cilic sarebbe la migliore possibile. Fra notte e mattino in programma gli altri due quarti: Chung-Sandgren, Federer-Berdych. Risultati e interviste su www.ubitennis.com

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La spietata legge dei campi duri. Nadal teme per il suo futuro (Gianni Clerici, La Repubblica)

In svantaggio per 2-0 nel quinto set contro Cilic, Nadal ha chiesto l’intervento del fisioterapista per i tre minuti concessi ai tennisti infortunati e, mentre questi gli massaggiava la parte alta della coscia destra, si è coperto con un asciugamano il viso per nascondere alle crudeli telecamere il dolore. Erano passate tre ore e trentotto minuti della vicenda che il croato stava conducendo 3-6, 6-3, 6-7 (5), 6-2, 2-0. Mentre il suo vincitore conversava con Jim Courier – non meno a disagio di lui nell’intervista pubblica post partita – Nadal, in press conference con i giornalisti, si domandava «se non fosse giunto il momento in cui le autorità responsabili si occupassero della salute a lungo termine dei giocatori. Perché c’è tutta una vita dopo il tennis, e io non so se continueremo a giocare su queste dure, durissime superfici, per scoprire come andranno a finire le nostre vite». Se fossi stato a Melbourne, nella mia modestia, avrei detto ad alta voce che non vedevo la necessità di un simile infortunio per scrivere che la decisione di giocare in gara come negli Anni Settanta, soltanto in California, sul duro, era pazzesca, mentre nel resto degli Stati Uniti prevaleva l’erbetta. I campi di Forest Hills, divenuto poi sede degli American Open con il nome di Flushing Meadows, e quelli australiani di Kooyong, ora Flinders Park, sono stati utilizzati trascinando con loro una valanga di tornei sul cosiddetto duro. Il tennis è l’unico sport che si svolga su una superficie dura. Vi immaginate una pista di atletica in un materiale analogo? Ci sarà una ragione, che finora nessuno dei responsabili si è voluto chiedere? Detto di Nadal, il bravo Cilic mi ha fatto pensare alla sua vittoria nello US Open di quattro anni fa, quando il suo zio adottivo Ivanisevic disse: «Se impara a giocare il rovescio come il servizio e il diritto diventa imbattibile». Cilic aveva approfittato della posizione accentuatamente fuoricampo di Rafa, un Rafa ancor più contrattaccante di sempre, con la schiena a sfiorare le pubblicità. Un Rafa che non avrebbe comunque evitato l’incidente anche se nel tiebreak del terzo, a cinque punti a quattro, avesse felicemente giocato il set point. Nulla sarebbe sicuramente cambiato nella gamba malconcia di Nadal. Ora Cilic incontrerà il più inatteso avversario, Kyle Edmund, che qualche distratto bookmaker aveva osato assimilare al gruppo dei favoriti, per così chiamarli, a cento contro uno. Rimane, a questo punto, dei campioni sani, soltanto l’Immortale Federer che incontrerà Berdych.

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Rafa, crac con Cilic: «Nessuno pensa alla nostra salute» (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Una battaglia epica, un terzo set durato 72 minuti e acciuffato al tie break per portarsi 2-1 su Marin Cilic nei quarti di finale. Poi Rafa Nadal ha iniziato a muoversi male, fare smorfie di dolore e cedere sotto i colpi del croato fino a quando, sotto 4-1 nel quarto set, ha chiamato il fisioterapista per farsi trattare la parte alta della gamba destra. Il trainer affonda le dita nel muscolo, Rafa stringe i denti, soffre, si copre il volto con l’asciugamano per non mostrare le smorfie di dolore. Rientra in campo dopo cinque minuti e mezzo, si vede che non si muove come al solito. Il dolore aumenta, cede il quarto parziale e va sotto 2-0 nel quinto. Non è il caso di continuare, di compromettere ulteriormente l’infortunio muscolare. Rafa si arrende, stringe la mano a Cilic e lascia il campo a testa bassa. Il ginocchio che lo aveva fermato a fine della stagione scorsa, impedendogli di lottare per il Masters e di iniziare l’anno con Doha e Brisbane, stavolta non c’entra nulla. Si tratta probabilmente di una forte contrattura o di uno stiramento, e oggi il maiorchino si sottoporrà a una risonanza magnetica per capirne di più. Nella conferenza stampa Nadal è apparso molto più contrariato per aver perso l’occasione di rincorrere lo Slam numero 17, più che preoccupato per la propria salute: «E’ un brutto momento – ha spiegato —, anche perché non è la prima volta che mi succede una cosa del genere da queste parti». Effettivamente gli Australian Open, che Rafa ha vinto una sola volta, nel 2009, per lui sono stregati. Nel 2010 aveva dovuto ritirarsi durante il quarto di finale contro Andy Murray per problemi alle ginocchia. Nell’edizione successiva, ancora una volta a i quarti, si era fatto male nel match contro David Ferrer. Per onorare la sfida con l’amico, Rafa non si era ritirato, portando a termine la partita a fatica. Anche nel 2014 si era fatto male a Melbourne: nella finale contro Stan Wawrinka aveva subito un infortunio alla schiena che aveva lanciato lo svizzero verso il trionfo. Il fisico di Nadal è reduce da un 2017 vissuto intensamente con la vittoria di due Slam, tra cui il decimo storico Roland Garros, e il ritorno al vertice mondiale. «Sono un tipo ottimista — ha continuato il 3lenne —, ma questo stop è duro da accettare, soprattutto dopo aver saltato i tornei di inizio stagione per concentrarmi su questo appuntamento. Stavo bene, correvo bene, entrambi stavamo facendo un grande match, poi ho sentito quel pizzicotto. Non è l’anca, è qualcosa nella parte alta della gamba». Ancora una volta il numero 1 al mondo punta il dito contro il calendario che costringe i tennisti a giocare troppi tornei su superfici traumatiche: «A volte mi domando se gli organizzatori del circuito tengano in considerazione la salute degli atleti. Come si fa a non vedere che ci sono stati troppi infortuni? Bisogna cominciare a pensare a quel che si fa: se continueremo a disputare tutti questi tornei sul duro non so che sarà di noi». In semifinale dunque va Marin Cilic: «Stavamo facendo una partita incredibile — ha detto il vincitore dello Us Open 2014 —, mi spiace che si sia fatto male, è un grande lottatore e meritava di arrivare alla fine». Sulla strada del croato ora c’è il britannico Kyle Edmund che ha rispedito a casa Grigor Dimitrov nell’altro quarto di finale. Senza Nadal sembra il 29enne di Medjugorje il candidato più solido a fermare Roger Federer nella corsa al ventesimo titolo dello Slam, ma prima c’è da superare il 23enne britannico, una delle sorprese del torneo che ha scherzato: «Ora so cosa vuol dire essere Murray».

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Sorpresa Elise Mertens. La manda Kim Clijsters (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Elise ha ventidue anni e nel 2017 non poté partecipare agli Australian Open. Era in gara a Hobart, e a Melbourne si svolgevano le qualificazioni. Lei era pronta a lasciare la Nuova Zelanda, ma aveva vinto il primo turno e giocava contro un’avversaria che aveva il suo stesso problema. Decisero entrambe di mollare il match, ma l’amica fu più rapida, chiese l’intervento del medico già al primo game del primo set, ed Elise si trovò al terzo turno, e senza la possibilità di poter giocare a Melbourne. Fu un bene, però. Vinse a sorpresa il torneo di Hobart, e da lì prese a crescere. Era numero 130 del mondo, ora da semifinalista nello Slam farà il suo ingresso nelle prime venti. Elise Mertens è di Leuven, un paese a venti chilometri dall’Accademia di Kim Clijsters. «Vado lì ad allenarmi, lei è una mia amica, mi sostiene». In un anno ha scalato 100 posizioni, ed è entrata nello Slam australiano come numero 36. Kim le ha procurato il coach, Robbe Ceyssens, uno dei maestri dell’Accademia. Il risultato più importante l’ha conquistato ieri, contro la numero 4 Svitolina: nel secondo set l’ha travolta. «Ho avuto un problema fisico», ha confessato l’ucraina, «ma lei è stata comunque più brava». Elise è la prima belga a raggiungere una semifinale dopo la Flipkens che aveva raggiunto questo traguardo a Wimbledon 2013. Semifinale nuova anche fra le ragazze. Mertens avrà di fronte la numero due, Caroline Wozniacki che ha superato in tre set Carla Suarez Navarro, al termine di una giornata fra le più brutte per il tennis spagnolo.

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Ricostruire Quinzi, il ragazzo italiano che batteva Chung (Paolo Rossi, La Repubblica)

E pensare che ce l’avremmo anche noi, un Chung italiano. O forse ce l’abbiamo. Si chiama Gianluigi Quinzi, che cinque anni fa batteva proprio il coreano, rivelazione agli Australian Open, nella finale juniores di Wimbledon. In semifinale aveva battuto anche Kyle Edmund, il britannico che si giocherà la finale con il croato Cilic. Correva l’anno 2013, e sembrava tutto un altro mondo: il marchigiano, classe 1996, aveva conquistato già il Bonfiglio, risultava essere il leader mondiale jr e, sempre in questa categoria, aveva trascinato l’Italia alla vittoria in Coppa Davis. Poi quel “maledetto” luglio, con il trionfo sui prati inglesi e la scoperta di questo mancino. «A posteriori posso dirlo: pressione e aspettative mi hanno fregato, alla fine». La legge dell’attesa, l’ansia di avere finalmente un campione vero ha bruciato il talento, l’ennesimo. «Ero diventato quello che doveva vincere tutto, che tirava il dritto con lo stesso movimento di Nadal, e non ho saputo gestire bene la cosa». Eppure la famiglia Quinzi ha cercato di sottrarre il proprio ragazzo alle spire delle aspettative, di curarne la privacy. Ma non c’è stato nulla da fare. La sindrome di Wimbledon juniores, che già aveva colpito Diego Nargiso, ha colpito nuovamente. «Per carattere, se le cose non vanno, tendo a tirarmi indietro» ha ammesso tempo fa il giovane Quinzi, ancora non guarito dai suoi dolori. La discesa è stata inesorabile: cinque allenatori cambiati, mentre tutti gli altri ragazzi che lui regolava in campo senza problemi (Kyrgios, Kokkinakis, Edmund, Chung, Ymer), crescevano secondo programmi ben pianificati. «L’errore, forse, è stato giocare troppo sulla terra rossa. Avrei dovuto insistere sul cemento». Questo è stato il primo errore, strategico più che tecnico: poi nessun tecnico è riuscito a imporre un cambio di gioco, un miglioramento dei colpi. Il dritto, in particolare. «Eppure io sono felice per Chung, non c’è nessuna invidia. Al contrario: ci sentiamo spesso, non dico quotidianamente ma quasi. E lo stesso vale anche per Kyle: neanche loro capiscono il perché del mio stallo, e m’hanno detto che aspettano il mio ritorno ai loro livelli». Forse un giro di boa c’è stato. Novembre 2017, Milano, le finali Next Gen: Quinzi, grazie alla wild card ottenuta dalla Federtennis, è riuscito a qualificarsi e ha ritrovato i suoi vecchi rivali. «Ho potuto constatare di non essere così inferiore agli altri». Quinzi, con il nuovo coach Gorietti, ha finalmente compreso di dover lavorare sull’intensità di gioco e sulla resistenza atletica. Dopo Milano l’azzurro è tornato a lavorare sul campo: scomparso dai radar, è tornato con dei colpi di gioco finalmente modificati, tanto da imporsi qualche giorno fa ad Antalya, torneo Future. Certo, non uno Slam, ma Quinzi deve ricostruire tutto, evitando di guardare la sua posizione in classifica (334). D’altronde il vero consiglio gliel’ha dato proprio Edmund: «Oggi il picco del tennis è fra i 26 e i 28 anni. Non c’è fretta, bisogna fare le cose bene per arrivare a quell’età nel miglior modo possibile». Il britannico si riferiva a se stesso, e se lo dice un amico forse converrà ascoltarlo.

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Edmund, con lavoro e carattere si va avanti (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Con l’inatteso successo su Grigor Dimitrov e l’ingresso in semifinale del primo slam del 2018, il britannico Kyle Edmund, attualmente numero 49 del ranking, entrerà di diritto nei primi trenta del mondo. Raccoglie così i complimenti e la pesante eredità di Andy Murray, mitigando la disperazione dei sudditi di sua maestà per l’assenza forzata dell’ex n. 1 del mondo. Un ragazzo di 23 anni non baciato dagli dei del tennis ma ben attrezzato caratterialmente e che si è fatto largo attraverso il duro lavoro quotidiano. Ben dotato dal punto di vista muscolare, copre con disinvoltura anche gli angoli più remoti esibendo una buona applicazione e un tennis piuttosto schematico che soffre solo quando è chiamato a gestire i cambi di ritmo. Kyle basa il suo gioco sul pesante servizio e sul fulminante dritto. Con il primo, pur con scarsa inventiva, mette in forte apprensione i ribattitori, con il secondo spara a tutto braccio senza esitazioni esibendo una delle migliori esecuzioni dell’intero lotto. Certamente non allo stesso livello il rovescio che, pur migliorato, difetta ancora di continuità e non sempre segue con attenzione i comandi ricevuti. Grandi meriti per il formidabile torneo giocato da Edmund, vanno ascritti allo svedese Rosengren che, nel poco tempo avuto a disposizione, è riuscito a inculcargli diverse elementari nozioni di tattica e ad aiutarlo nell’innalzare il livello di gioco nelle fasi più importanti del match.

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