Halep-Wozniacki, una lezione al femminile (Scanagatta). Wozniacki contro Halep, le numero 1 senza uno Slam (Clerici). Le perdenti di successo (Azzolini). Partita doppia (Semeraro). Festa Cocciaretto. Talento e coraggio, è in semifinale (Castaldo). Le speranze di Chung? Pochi errori e servizio (Bertolucci)

Rassegna stampa

Halep-Wozniacki, una lezione al femminile (Scanagatta). Wozniacki contro Halep, le numero 1 senza uno Slam (Clerici). Le perdenti di successo (Azzolini). Partita doppia (Semeraro). Festa Cocciaretto. Talento e coraggio, è in semifinale (Castaldo). Le speranze di Chung? Pochi errori e servizio (Bertolucci)

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Halep-Wozniacki, una lezione al femminile (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Le due semifinali femminili sono state molto più divertenti, varie ed avvincenti dell’unica giocata dai colleghi maschi e vinta agevolmente dal croato Marin Cilic sul britannico Kyle Edmund al termine di una battaglia piuttosto monotona di gran servizi e possenti dritti a cercare i rispetti rovesci bimani. Cilic, n.6 Atp era favorito e ha rispettato il pronostico, 6-2 7-6(4) 6-2, raggiungendo la sua terza finale Slam, dopo quella vinta all’Us Open 2014 in finale su Nishikori (e in semi su Federer) e quella persa lo scorso luglio a Wimbledon con Federer. Edmund, britannico residente alle Bahamas per motivi fiscali e n.49 Atp, ha avuto un problemino fisico nel primo set, ha chiesto l’intervento del medico e non è mai apparso in grado di rovesciare l’esito del match. Dopo il primo game non ha più avuto lo straccio d’una palla break. Cilic attende a piè fermo il vincente dell’inedito confronto fra il solito Federer alla 43^ semifinale e la rivelazione coreana Chung alla prima. Un confronto decisamente generazionale, perché fra i 36 anni dello svizzero e i 21 del coreano c’è un gap di 15 anni. In precedenza la danese Caroline Wozniacki aveva avuto la meglio, pur annullando due setpoint nel secondo set, sulla fiamminga Mertens, 6-3 7-6, ma la seconda semifinale Halep-Kerber è stata davvero ricca di colpi di scena, di matchpoints da una parte e dall’altra. Alla fine saranno la n.1 del mondo, la rumena Simona Halep e la n.2, la danese Caroline Wozniacki, a giocarsi il titolo dell’Australian Open. La Halep lo scorso anno perse qui al primo turno (6-3 6-1 dalla Rogers) e la Wozniacki al primo turno ci aveva perso l’anno prima (1-6 7-6 6-4 dalla Putintseva). La semifinale fra Halep e Kerber è stata forse il match più divertente dell’intero torneo fin qui. E non solo perché entrambe avevano avuto due matchpoint consecutivi: la Halep sul 5-4 e servizio Kerber nel terzo, la Kerber due game dopo, sul 6-5 e proprio servizio. L’ha spuntata la più coraggiosa rumena, 6-3 4-6 9-7 in 2h e 20 m, sorprendendosi moltissimo per aver messo a segno, lei di solito nota qual “rematrice da fondo”, ben 50 vincenti. Interviste e risultato di Federer-Chung su www.ubitennis.com

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Wozniacki contro Halep, le numero 1 senza uno Slam (Gianni Clerici, La Repubblica)

Siamo arrivati a conoscere i nomi di tre dei finalisti dell’Australian Open, a meno che l’inatteso, il meno immaginabile dei quattro, Hyeon Chung, abbia tra i suoi Dei qualcuno, a me sconosciuto, in grado di aiutarlo a battere il Divino Federer. Sarebbe una sorprendente sorpresa, come se ieri lo sconosciuto Kyle Edmund fosse riuscito a eliminare Marin Cilic, che invece gli ha affibbiato tre set a zero come molti avevano previsto. Non sono d’improvviso diventato un maschilista se non ho citato per prime le donne, Simona Halep e Caroline Wozniacki, vincitrici rispettivamente sulla Kerber 6-3, 4-6, 9-7 (dopo che Simona aveva avuto bisogno di 4 match point, contro i 2 vani dall’avversaria) e sulla Mertens 6-3, 7-6. Il match più incerto della giornata, è stato certo quello tra Halep e Kerber, le prime, in un momento in cui non è apparsa non si dice un’altra Serena Williams, ma nessuna ragazza dotata del talento e della gestualità della neomamma. La mia amica Pam Shriver ha affermato al microfono della Espn: «Nel set finale ho ammirato sei o sette dei rallies più combattuti che riesco a ricordare». Ottimista o smemorata, ma comunque obiettiva nel commentare una partita incredibilmente equilibrata, una partita incerta come il lancio di un dado. Nessuna delle due prime teste di serie, Halep e Wozniacki, ha vinto uno Slam, ma questa volta è indubbio che alla vincitrice toccherà anche il n. 1 della classifica Wta. Al di là di molte odierne incertezze, Caroline ha avuto di fronte difficoltà australiane negli ultimi sette anni. Nel 2011 ebbe un match point contro Li Na, la meravigliosa cinesina, ma questo non le fu sufficiente per vincere il match. «Questo ricordo è un incubo che non riesco a cancellare» ha detto preoccupata dell’odierna avversaria, la poco nota Elise Mertens, un prodotto dell’Accademia di Kim Clijsters. «Forse, se riuscissi a vincere la finale, potrei dimenticarlo». Non c’è stata necessità della presenza in tribuna di uno psicologo per convincere Kyle Edmund che un’altra vittoria inaspettata, dopo le prime 5 del torneo, fosse di troppo. Cilic sembrava tornato quello capace di vincere lo Us Open, e soprattutto dimostrava che il suo rovescio non gli causasse il disagio che gli aveva negato più di un successo. Ha avuto, nella gioiosa intervista finale, parole grate per due amici che si sono occupati di lui nel nostro paese, Martin Mulligan della Fila, un tempo italiana, e Bob Brett, il coach australiano che ebbe il coraggio di aprire una accademia a Bordighera. Una giornata felice, e un insolito esempio per chi definisce l’egocentrismo una qualità indispensabile a un campione.

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Le perdenti di successo (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Il tennista palindromo lo puoi girare come ti pare, ma gioca sempre allo stesso modo. E Marin Cilic, in questo, è un palindromo fenomenale. Il suo tennis non è cambiato di una virgola, e sono undici anni ormai che gira nel circuito. Distruttivo con servizio e dritto, incantevole negli angoli che va a esplorare con il rovescio, con i quali prepara il dritto vincente, quasi sempre a campo aperto. Ma anche gli errori sono rimasti tali e quali, i momenti di sbandamento, le forzature eccessive laddove sarebbe sufficiente appoggiare la palla, i regali continui di cui ricolma gli avversari. I saliscendi del suo gioco ne hanno fatto uno degli interpreti più in vista nel settore degli underdog, i tennisti da cui ci si può aspettare di tutto. Irregolari, esaltanti a modo loro, incerti e spettacolari, capaci di gettare al vento partite vinte, e poi tornare a vincerle. Nella giornata dedicata ad alcuni fra i più instabili protagonisti del circuito, a Cilic è stata riservata la degna chiusura, e lui l’ha onorata a modo suo, travolgendo il giovane Edmund, e di tanto in tanto rimettendolo in gioco. Troppo tenero, però, il biondino british. Cilic ha guadagnato la terza finale Slam in carriera, la seconda in appena sei mesi. E ha detto chiaro e tondo che anche gli underdog sanno vincere. Il cartellone di giornata ne metteva in campo un’altra, con identiche caratteristiche, epitome della sconsideratezza tennistica più autodistruttiva che sia dato conoscere. Simona Halep, rumena, colpi assassini e paure fulminanti, tali da ingessarle le membra. Eppure numero uno fra le ragazze, e quasi sempre presente nei turni finali di un grande torneo. Non ne ha ancora vinto uno, pazienza. «L’importante è esserci», dice, «toccherà anche a me, prima o poi… Che dite?». Ma certo che si, magari proprio in questi Open australiani, chiamati comunque a consegnare il trofeo a chi non ha mai vinto prima. Simona Halep contro Caroline Wozniacki, la finale. Prima contro seconda. E mai uno Slam intascato. Simona è alla terza finale, ne ha già sprecate due al Roland Garros (2014 e 2017). Caroline lo stesso, terza finale e due disperse, entrambe agli Us Open, nel 2009 e nel 2014. Non chiedeteci chi possa vincere, nessuno lo sa. Wozniacki è avanti nei testa a testa, 4-2, ma vai a sapere come si disporranno le due, che cosa scorrerà nei loro pensieri quando si ritroveranno in campo. Anche Caroline, in fondo, un po’ underdog lo è sempre stata, anche se finge di essere posata e sicura di sé. E Simona? Beh, potete immaginarlo… E giunta alla meta attraverso la strada più insensata che potesse percorrere. Contro la Kerber ha fatto tutto bene, ha vinto il primo e condotto il secondo set fino al 5-3, e lì ha giocato e fallito due match point e il match si è rovesciato. Avanti la Kerber allora, brava ad annettere il secondo set in rimonta e poi avanti nel terzo. Fino ai suoi due match point. Si era sul 6-5, e Halep ha giocato quei due punti con la sicurezza dei folli, ma li ha strappati e ha rimesso a posto il punteggio. Poi ha gettato al vento il terzo match point, e lo avrebbe fatto anche con il quarto, se non ci avesse pensato la Kerber a consegnarglielo, sparacchiando a lato. Dopo il quarto match point il copione prevedeva una crisi di nervi. E’ stata evitata. Non sarà evitato invece il duello per la corona femminile. Chi vince si siede sul trono, occupato in passato da Caroline per 67 settimane tra il 2010 e il 2012 e attualmente dalla Halep. «Simona, come me, ha affrontato match point contrari in questo torneo. Penso sia una sfida eccitante».

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Partita doppia (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Caroline Wozniacki, la regina incompiuta, è di nuovo lì: davanti allo scrigno che non si vuole aprire. A un passo da quel benedetto titolo Slam che insegue da sempre e che finora le è sfuggito due volte in finale agli US Open, nel 2009, ad appena 19 anni, contro Kim Clijsters, e nel 2014 contro la sua amica del cuore Serena Williams. Di occasioni per mettere le mani su uno Slam ne ha avute altre, una dolorosissima proprio a Melbourne nel 2011 quando in semifinale si fece annullare un matchpoint da Li Na, la cinese che poi avrebbe perso in finale contro Kim Clijsters. «Quella partita mi ha tormentato per anni», ha raccontato la danese, che ai tempi era già diventata numero 1 del mondo. «Ricordo che mi innervosii molto, commettendo anche un paio di doppi falli. Poi misi due belle prime, e mi convinsi che il peggio era passato. Ma non fu così. A volte una sola palla può cambiare tutto, il tennis è fatto così. Il giorno dopo, contrariamente a quello che faccio sempre, tornai in campo per allenarmi, perché avevo bisogno di smaltire la rabbia e la frustrazione». Sette anni dopo, la sua semifinale australiana la bella Caroline l’ha vinta, spegnendo in due set il sogno da imbucata della belga Elise Mertens, n. 37 Wta. In finale si troverà davanti un’altra campionessa interrotta, la traballante n. 1 del mondo Simona Halep, uscita a sua volta da un match bello e durissimo contro Angelique Kerber; la mancina tedesca che a Melbourne vinse un po’ a sorpresa nel 2016. Tre set, l’ultimo finito 9-7 che da solo è durato 69 minuti, due matchpoint salvati dopo averne sciupati a sua volta due. «Sono felicissima», ha detto la rumena «giocherò un’altra finale, la terza dopo due al Roland Garros, speriamo sia quella buona». Parole che potrebbe sottoscrivere la Wozniacki. In palio ci sarà il n. 1, ma soprattutto la fine di un tabù per una delle due. Per Caro è l’occasione della vita, il timbro che manca ad una carriera comunque splendida: 27 titoli Wta, fra i quali le Finals di Singapore dello scorso novembre, accompagnata da una vita extra tennis altrettanto glamour, fra servizi sexy su Sport Illustrated, la nota love-story con l’ex n.1 del golf Rory McIlroy finita malamente con una telefonata a un passo dall’altare, la passione per il fitness culminata nella maratona corsa a New York nel 2014. «Ho passato momenti difficili», ha spiegato a Melbourne, parlando degli infortuni che l’hanno tormentata fra 2015 e 2016. «Ma non ho mai smesso di credere in me». Da novembre è fidanzata con David Lee, ex cestista Nba vincitore di un anello con Golden State ed è tornata n. 2. Manca solo l’happy end, quello che nelle favole del tennis si chiama Slam.

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Festa Cocciaretto. Talento e coraggio, è in semifinale (Dario Castaldo, La Gazzetta dello Sport)

Cappuccino e un biscotto come premio. Ma il regalo più bello (17 anni compiuti ieri) Elisabetta Cocciaretto se l’è fatto sul campo, battendo la lettone Vismane 6-3 6-4 e raggiungendo le semifinali del torneo juniores vent’anni dopo Antonella Serra Zanetti, che adesso la segue (insieme a coach Scolari) a Tirrena nell’ambito del progetto Under 18. Nella notte, la marchigiana si è giocata l’ingresso in finale (fin qui, l’unica italiana vincitrice junior di uno Slam è stata la Bentivoglio agli Us Open 1993) contro la taiwanese En Liang Shuo, numero 2 del tabellone. Elisabetta ha cominciato a tre anni nella sua Porto San Giorgio, nello stesso circolo di Quinzi, è passata per Jesi e da due anni è al Centro Federale. Talentuosa e completa, ha rischiato la carriera per un infortunio sottovalutato alla schiena che l’ha tenuta ferma un anno e mezzo: «Però mi ha aiutato a crescere e a maturare. Diciamo che me lo merito perché da una situazione molto difficile sono riuscita a rialzarmi. Io come la Errani? Sarebbe un onore, per adesso non mi pesano le rinunce. Ma quando torno a casa mi aspetta una torta cioccolato e frutti di bosco».

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Le speranze di Chung? Pochi errori e servizio (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Le sicurezze dell’eterno ragazzo contro le ambizioni del nuovo che avanza: Roger Federer contro Hyeon Chung. Una semifinale inattesa che mette a confronto due generazioni tennistiche attraverso un gioco antitetico. Vario, spumeggiante e magico quello di Roger; solido, consistente e fisico quello del coreano che si è formato in Florida all’Accademia di Nick Bollettieri. Ci sono quasi quindici anni di differenza tra i due, vagoni di esperienza e di trofei al vaglio della poca dimestichezza e dell’assenza di trionfi prestigiosi, Next Gen Finals a parte (ed è curioso e benaugurante per Chung che entrambi abbiano vinto il loro primo torneo a Milano). Sulla carta sembrerebbe una sfida impari ma sul campo, in realtà, le cose potrebbero prendere una piega più complicata del previsto per Federer. Il fenomeno svizzero è apparso centrato, è il logico favorito ma alla sua età non tutti i giorni sono uguali. La prestazione ad alto livello non è certamente preclusa, ma esiste anche la possibilità di trovare pomeriggi poco lucidi, riflessi meno pronti e qualche acciacco di troppo. Sicuramente cercherà di essere aggressivo, di limitare gli scambi, di non portare la partita sulla corsa e di imporre la differenza con la classe cristallina e le variazioni di ritmo. La matricola coreana non starà a guardare e giocherà le sue carte puntando sull’entusiasmo, sulla sua solidità nervosa e sulla magnifica reattività muscolare. Dal punto di vista tattico, per non essere travolto, dovrà incrementare le soluzioni positive con il servizio, mantenere una posizione avanzata sul terreno, garantirsi una bassa percentuale di gratuiti e usare con oculatezza il rovescio lungo la riga.

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