Riecco Bolelli, non molla mai (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
«Sì, mi è mancato molto non giocare per l’Italia nei mesi scorsi». Alle risalite Simone Bolelli ormai ci è abituato. Fra 2009 e 2010, dopo essere arrivato al n. 36, pronto al salto di qualità, aveva pagato (ingiustamente) la guerra con la Fit e l’addio a Claudio Pistolesi, il coach che lo aveva costruito ad alti livelli, con una lunga crisi di risultati. Nel 2013 era toccato all’infortunio al polso: operazione a luglio, quattro mesi di stop, uno scivolone oltre il n.300 della classifica Atp. Nel 2016, dopo la vittoria in doppio agli Australia Open con Fabio Fognini, altra mazzata: intervento al ginocchio per rimuovere una calcificazione ossea. A febbraio dello scorso anno Simone è rientrato con una classifica di nuovo faticosa, n. 657 in singolare, ma grazie ai piccoli exploit al Roland Garros e a Wimbledon, e alle qualificazioni passate a Metz e a Stoccolma era risalito al n. 171. Nella sospensione di Fognini agli US Open (gli insulti alla giudice di sedia) però ci era andato di mezzo anche lui, al solito senza colpe, costretto al ritiro in doppio. Ogni volta lividi, fisici e mentali, da curarsi, la fiducia del ct da riconquistare. E un conto aperto con la sfortuna che prima o poi dovrà tornare almeno in pareggio. Chissà che non sia la Coppa Davis, che spesso toglie ma sa anche dare molto, il trampolino giusto per il “Bole”, che a 32 anni si sente nel braccio ancora qualcosa di importante. In doppio, a fianco di Fabio, il compagno con cui è diventato grande, l’amico che gli è stato vicino nei momenti bui, e anche in singolare. «L’abbraccio con Barazzutti? Ci tenevo a tornare in Davis, sono molto legato alla maglia azzurra perché ti dà emozioni particolari, diverse dai tornei», ha spiegato ieri a Morioka, dopo aver firmato con un rovescio a tutta mano il punto del 2-1 contro il Giappone nel primo turno di Coppa. «Era un punto importante, arrivato dopo una partita molto dura. Abbiamo giocato bene tutti e quattro i set, sempre concentrati». Lo ha sempre sostenuto Barazzutti: «Quello di Bolelli è un recupero importantissimo», conferma il ct «Ma non solo per questa squadra, che è fatta da un grande gruppo che lotta sempre con lo spirito giusto. Simone è un giocatore di nuovo competitivo che può fare bene anche nel circuito». Senza dimenticare il “doppio” binario che nel 2015 l’ha portato al numero 8 del ranking di specialità, insieme a Fognini. «Quanto ci siamo mancati!», ha esultato Fabio. «Per colpa dell’infortunio Simone ha dovuto ricominciare dai tornei minori e non siamo riusciti a fare la stessa programmazione. Ma la verità è che in campo ci conosciamo a memoria e abbiamo già dimostrato di essere fra le coppie migliori al mondo». Insieme a coach Infantino da domani ricomincia l’ennesima scalata «Volerò in Sud America per giocare i tornei sulla terra rossa – spiega Simone – a partire da Buenos Aires». Vamos, Bole.
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Fognini-Bolelli, cuore da Davis (Il Secolo XIX)
Un’altra battaglia di tre ore e mezzo, sul veloce indoor di Morioka, in Giappone, e un altro punto fondamentale che alla fine pende dalla parte dell’Italia. Con la speranza che, come spesso accade in Coppa Davis, la vittoria del doppio si riveli decisiva. Per aggiudicarsela, Corrado Barazzutti si è affidato alla coppia più forte e collaudata, chiedendo a Fabio Fognini di fare gli straordinari dopo la maratona del singolare vinto al quinto contro Daniel e contro il dolore alla spalla. Il tennista di Arma di Taggia ha ben supportato un Simone Bolelli che si è dimostrato il migliore in campo. La coppia giapponese formata da Mclachan (mezzo neozelandese) e Uchiyama ha messo alla frusta gli azzurri, sostenuta dal tifo del pubblico, ma alla fine si è dovuta arrendere 7-5 6-7 (4) 7-6 (3) 7-5, in un match deciso tutto sommato da poche palle. Un momento difficile è arrivato quando, al terzo gioco del secondo set, l’Italia ha affrontato una palla break che Bolelli ha annullato con una volée, ma Fognini ha urlato «alé» prima che l’avversario toccasse la palla, e la giudice di sedia Eva Asderaki ha chiamato la palla disturbata penalizzando gli azzurri. Ingenuità di Fognini, che secondo Barazzutti è costata il secondo set. Il capitano comunque è raggiante: «Era un punto importantissimo e i ragazzi hanno giocato bene, risposto bene, e si sono espressi ad alto livello per tutto il match contro una coppia di specialisti. Fabio e Simone hanno interpretato alla perfezione i valori di questa manifestazione. Chiudiamo la seconda giornata in vantaggio e questo può mettere un po’ di pressione al Giappone. Ma c’è tanto tennis ancora da giocare». «È stata una partita difficile – ha sottolineato Bolelli – abbiamo giocato sempre bene riuscendo a mantenere alta la concentrazione. Mi è mancato molto giocare per l’Italia nei mesi scorsi. Ci tenevo a tornare in Davis, tengo alla maglia azzurra, giocare per il mio Paese mi regala grandi emozioni. Devo ancora recuperare del tutto fisicamente, ma sono sulla strada giusta». Fognini non ha nascosto il suo entusiasmo per essere tornato a giocare in doppio con il compagno con cui ha conquistato gli Open d’Australia del 2015: «Quanto ci siamo mancati! Dopo l’infortunio Simone ha dovuto ricominciare dai tornei minori e la classifica diversa non ci ha permesso di giocare insieme. La verità è che in campo ci conosciamo a memoria e abbiamo dimostrato anche in passato che siamo una delle coppie più forti del mondo». Nella notte, alle 4, cominciavano i singolari: prima la sfida tra i numeri uno Sugita e Fognini e poi quella (eventuale) tra Taro Daniel e Andreas Seppi. La speranza degli azzurri era naturalmente che Fognini riuscisse a chiudere il discorso sul 3-1, perché l’ultimo match giocato fuori casa è sempre difficilissimo. In caso di vittoria, l’Italia potrebbe giocare a Genova i quarti di finale, probabilmente contro la Francia che conduce 2-1 sull’Olanda.
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Djokovic si è operato: «Ritornerò», ma quando? (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Quindi la foto scattata a Praga un paio di giorni fa era un indizio: il braccio fasciato fino alla mano nascondeva i postumi di un intervento chirurgico al gomito destro, i cui tormenti lo accompagnano da almeno un paio d’anni e lo hanno obbligato a uno stop di sei mesi che non ha migliorato il quadro clinico. Ora la conferma arriva direttamente dal profilo Instagram di Novak Djokovic, che annuncia di aver scelto l’opzione dell’operazione, effettuata qualche giorno fa in una clinica nei pressi di Basilea. Dal post emergono i dubbi dell’ex numero uno del mondo (ora è sceso al 13) per tutto questo tempo: «C’erano tante opinioni diverse, differenti diagnosi e consigli: non è stato facile scegliere cosa fare. Sono stato fuori sei mesi, sperando di tornare completamente guarito, ma sfortunatamente il dolore c’è sempre. Mi è mancata la competizione, così ho deciso di provare in Australia. Ma alla fine del torneo insieme al mio staff ho deciso di provare qualcosa di diverso. Ora mi sento positivo e desideroso di recuperare completamente per poter ritornare il più presto possibile nel posto che amo di più in assoluto: il campo. Ho sempre curato il mio corpo nei modi più naturali possibili, e lui mi ha ripagato con anni incredibili». La decisione, presa a questo punto contro il parere dei medici, di giocare a Melbourne (dove è uscito agli ottavi contro il coreano Chung) ha dunque finito per peggiorare la situazione, anche se sulla natura del malanno al gomito del serbo continua a rimanere un alone di mistero. Secondo il fisioterapista, Nole soffrirebbe di «bone bruise», cioè di edema osseo intraspongioso, un accumulo anomalo di liquidi nello spazio in cui risiede il midollo: si tratta di una patologia che tuttavia nella stragrande maggioranza dei casi deve essere curata solo attraverso il riposo assoluto e infiltrazioni per attenuare l’infiammazione. A meno che non sia di origine traumatica o magari come conseguenza di una frattura da stress. Il fatto che Djokovic abbia modificato, in questi sei mesi, il movimento del servizio, abbreviandolo, potrebbe segnalare che il problema sia nato da una scorretta meccanica di esecuzione. La diversità di opinioni nello staff, in ogni caso, è sintomatica di una situazione di incertezza che non può non incidere sui tempi di recupero. Dei quali, infatti, il post non parla. E’ prevedibile che Nole debba stare lontano dai campi per parecchi mesi, attendendo che il dolore scompaia definitivamente, perché averci giocato sopra da sofferente alla lunga ha reso insostenibile la situazione clinica. Lo spirito guerriero, stavolta, gli servirà eccome.