Tifare Fabio Fognini

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Tifare Fabio Fognini

Un istante al di là del bene e del male. L’illusione notturna di poter sostenere con convinzione il nostro miglior giocatore

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Benedetto sia il fuso orario, che mi consente a notte inoltrata di guardare in tv i tornei sudamericani. In un atmosfera Marzulliana, mentre lo stato di famiglia cade in silenzio, mentre la lotta per il telecomando si spegne. Quando un giorno, vista l’ora, è appena finito, e un nuovo giorno è appena cominciato (cit., se non addirittura ©). Supertennis (sia lodata una volta tanto, Direttore…) ha offerto due sere fa Fognini contro Sandgren, e l’ha offerta da Rio de Janeiro. Purtroppo la regia è stata avara di stacchi sul monte di zucchero, sul Redentore e sul carnevale (né ha mostrato il Redentore che osservava il carnevale per evidente omertà). La baia poi, di notte, fa meno effetto stupore ed un po’ più effetto paura. Ma c’è stata Fognini-Sandgren, “crazy italian” contro “nazi american”. Quasi una battaglia di Pokémon.

Va premesso che, tra i motivi per assistere al match, non è che mi aspettassi da Sandgren un saluto a braccio teso ad ogni punto vinto, né uomini incappucciati nel suo box tecnico. Forse il ragazzo ha sbagliato, forse sbaglia ancora. Di certo senza Twitter o Facebook non ci saremmo mai accorti, vedendolo in campo, che ha discutibili simpatie. Infine, e chiudo il tema Sandgren, dopo averlo intravisto in Australia, non è che mi aspettassi di assistere ad uno spettacolo che andasse oltre la banale solidità del tennis contemporaneo. Per riassumere quel che ho visto per due ore e mezza l’altra notte, dirò che degli americani ha il fatto di essere sovrappeso, ma che diversamente dagli americani ha il rovescio.

Fabio Fognini, invece. Punto. Fabio gioca com’è. I risultati in classifica sono una proiezione del suo stare in campo. Se un umile ex C4 può permettersi di fare le pulci al 20esimo giocatore mondiale (ma vi rendete conto della supponenza?), ebbene egli dirà che Fabio Fognini gioca un tennis orizzontale, di ottimi movimenti laterali, ma che quando l’avversario accorcia, pare non accorgersene. Il nostro resta lì, un po’ pigro, un po’ indolente: tanto con le palle che cambiano ogni nove games, il rimbalzo prima o poi le porterà presso di lui. Arretrare, col braccio che ha, non se ne parla. Avanzare, con la voglia che ha, neppure. Quando Fognini sceglie di non muovere i piedi, per altro velocissimi, e di colpire la palla come può, a me ricorda lo stesso uomo che sprofonda in partite non degne di lui. Quando Fognini scatta sul lato, esce dall’inquadratura, e ritrova l’altrui campo con una folgore, a me ricorda l’uomo che ha recuperato due set a Nadal, e che, unico nel panorama tennistico mondiale, a Nadal mette paura. Perché oltre tutto, oltre i risultati e l’avversario, c’è la personalità.

È vero, parafrasando Quentin Tarantino e Mr. Wolf, c’è chi ha carattere e chi ha solo un caratteraccio (“because you are a character it doesn’t mean you have character”). Abbiamo dipinto Fabio Fognini a lungo come la Raquel che si allontana in Pulp Fiction sulla sportiva di Harvey Keitel, ma abbiamo trascurato che nel sillogismo Tarantiniano, non può escludersi che chi sia un personaggio (chi ha un caratteraccio nella traduzione) abbia anche carattere. L’altra notte il caratteraccio di Fabio Fognini si è visto, negli abituali soliloqui, nelle racchette a terra, nel meritatissimo penalty point. L’altra si è visto Fognini scherzare con il giudice di sedia Bernardes, permettersi persino di fargli rimbalzare una pallina in testa ed ottenere da lui un sorriso: poi, subito dopo, dirgli che non lo avrebbe arbitrato mai più, che su di lui ha ragione Nadal.

Il caratteraccio di Fabio Fognini si è visto nelle scelte della regia, che andava costantemente a pizzicare Davin tra il pubblico e le sue reazioni, più simili a quelle di un padre che accompagna il figlio all’under 12 che a quelle di un Toni Nadal, o dello stesso Davin quando allenava del Potro. Forse il caratteraccio si è visto anche nel primo set buttato via, o in quel discutibile completino mimetico, questo non lo so. Ma l’altra notte, nel silenzio, senza nessuno che mi ripetesse nelle orecchie che è un maleducato o un tamarro, io ho scrostato la patina da personaggio e ho intravisto il carattere. Tanti vincono annullando un match point, o al tie-break del terzo set. Pochi si trasformano da lamentoso smadonnatore e riparatore di buche di campo in terra, a giocatore vero nel giro di pochi istanti. Il tie-break del terzo tra Sandgren e Fognini non resterà negli annali, non sarà il quarto set di Borg-McEnroe. Ma sarà il primo momento in cui mi sono concentrato sul nostro miglior giocatore da trentacinque anni a questa parte ed ho visto la famosa faccia che lui dichiarò di metterci sempre.

Nel silenzio, nella camera di isolamento in cui ho visto Fognini battere Sandgren, io ho sentito le frustrazioni del nostro connazionale, le sue difficoltà di far rispettare quella differenza di classifica, quei 40 posti mancanti, che il tabellone del punteggio rimarcava crudelmente. Ho sentito la sua paura, dopo Buenos Aires, di fare le valigie e tornare in Italia a mani vuote. Ho visto che la faccia di bronzo, lo sfrontato, lo squalificato e alle volte inqualificabile Fognini, quello che sul Centrale di Wimbledon pur perdendo netto da Federer uscì con l’aria impettita da vincitore, quello che si permette di parlare a muso duro contro Nadal, quello lì, mi è sembrato finalmente avesse paura di perdere. Mi è sembrato che quell’uomo comprendesse che tra l’essere il personaggio Fabio Fognini e il vincere una partita, ogni tanto si potesse scegliere la seconda opzione.

Io ho visto del carattere nell’aggrapparsi alla partita e nel capovolgerla. Ho visto attaccamento ai pugnetti che il nostro ha stretto e agitato solo dal finale di terzo set in poi. Ho visto meno dritti folgoranti, meno recuperi da youtube, e più umiltà. Ho visto un tennista che si potrebbe tifare e sostenere, che potrà anche non entrare mai nella top 10, ma che al contempo potrebbe rivelarsi anche affidabile, capace di non abbandonarti in mezzo alla strada di notte. Già, la notte. Forse è stata solo un’impressione notturna. Forse ho solo desiderato che il filo-suprematista americano perdesse di tecnica e di cuore. Forse ho tifato perché a quell’ora tarda non avevo niente da fare (cit.), o per quella meravigliosa palla corta con cui ha chiuso il match.

Quel che è certo è che non mi illudo, perché di tennis ne capirò poco, ma di vita ne capisco forse un po’ più di Fabio Fognini da Arma di Taggia. So che ogni tanto il caratteraccio prevarrà sul carattere, ma non mi metto come fanno alcuni alla finestra ad aspettare. Quel che ho visto ieri sera mi è bastato per stracciare la tessera dei due partiti maggioritari che parlando di Fognini, il partito di quelli che lo detestano e il partito di quelli che non lo sopportano. Magari, prima o poi, cambierà persino completino. Ed ora vi saluto, rispettosamente. Ho molte cose da fare in giornata, lavoro, famiglia. Di giocare a tennis, poi con questo tempo, non se ne parla proprio. Mi occorre tenermi libero per più tardi, quando il giorno sarà finito da un pezzo, perché stanotte giochiamo contro Verdasco.


Agostino Nigro – Vive e lavora a Napoli Nord. Ha costruito la sue scarse fortune tennistiche sul proprio rovescio ad una mano eppure vive di diritto.

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