Federer battuto e quella dedica di Del Potro al suo cane Cesar (Clerici). La favola Delpo. Ha battuto la sfortuna e re Federer (Cocchi). Del Potro può tornare più forte di prima (Bertolucci). Dalla racchetta al microfono, è sempre battaglia dei sessi (Cordella). Federer fragile: 19 ko dopo un match point sprecato (Scanagatta)

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Federer battuto e quella dedica di Del Potro al suo cane Cesar (Clerici). La favola Delpo. Ha battuto la sfortuna e re Federer (Cocchi). Del Potro può tornare più forte di prima (Bertolucci). Dalla racchetta al microfono, è sempre battaglia dei sessi (Cordella). Federer fragile: 19 ko dopo un match point sprecato (Scanagatta)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Federer battuto e quella dedica di Del Potro al suo cane Cesar

 

Gianni Clerici, la repubblica del 20.03.2018

 

Non sarà forse il caso di disturbare Oscar Wilde, che certo non si riferiva al tennis, nell’affermare che la vita imita l’arte. L’ignoto regista delle umane vicende ha fatto sì che dall’andamento della finale a Indian Wells nascesse qualcosa di piuttosto insolito. L’argentino Juan Martin Del Potro era parso diventare un possibile n. 1 del mondo 8 anni fa, nel 2009, quando aveva sorvolato lo US Open e l’aveva vinto a colpi di diritto, così come avevano fatto due grandi suoi antenati, William Tilden negli Anni Trenta e Jack Kramer subito dopo la guerra. A questi ultimi un ignoto scriba aveva qualche volta osato paragonare Roger Federer, deriso dalla maggior parte dei lettori e da più di un collega. Roger, un uomo più che insolito, con la data di nascita ormai credibile soltanto grazie al passaporto, aveva iniziato questa stagione con 17 vittorie consecutive. La maggior parte degli aficionados si aspettavano la 18a, considerato che, appetto a Del Potro, aveva vinto 18 volte contro 6, e che i bookmaker lo consideravano strafavorito. Non si teneva nessun conto del fatto che, dopo la trascendentale vittoria nello US Open del 2009, Juan Martin aveva trascorso parzialmente questi ultimi anni in ospedale, un ospedale americano specializzato nel tentativo di aggiustare polsi e dita di musicisti, e qualche rara volta di sportivi. Per qualcuno che potrebbe chiamarsi Mr. Diritto la vicenda potrebbe apparire meno grave, ma per qualcuno che è destro, e usa dalla nascita un rovescio bimane, grave e difficilmente superabile. Così son stato costretto a vederlo più volte in questi anni furioso e disperato, mentre non cessava di perdere con avversari inferiori. Il match non è stato quello che i fedeli di Roger si aspettavano, dopo una semifinale un po’ dubbia contro il nuovo allievo dell’allievo mio, Riccardo Piatti, il croato Borna Coric. Anche domenica sera il diritto di Roger era meno continuo e regolare che nei due primi mesi dell’anno. Un break nel quinto game, composto da tre errori di Roger su tre rimbalzi (due diritti) avrebbe risolto l’iniziale vicenda. Gravato di quell’handicap, di soli 22 punti contro 30, tutti gli adoratori di San Roger attendevano una riscossa tattica. Non avveniva, anche a causa dell’incerta giornata del diritto del campione, e della profondità dell’altro diritto, quello di Delpo, meno liftato ma ancor più potente della Nadalata di Rafa, assente a Indian Wells. Delpo aveva la possibilità con due palle break di ripartire in vantaggio nel secondo, ma il gioco seguiva i servizi finché Roger raggiungeva 2 volte il setpoint, per riaprirsi sul tie-break. Tie-break terminato per 10-8 dopo che Del Potro vanificava un match point mettendo fuori la volée. II gioco non mutava granché nel terzo, quando era il tie-break a sancire una lieve superiorità dell’argentino per 7 punti a 2, mentre era Roger a sbagliare l’ultimo diritto del match. Un match a rovescio, in senso assoluto. Nel non eccedere per la sorpresa della sconfitta del Fenomeno basta ricordare che questa è stata la 7a vittoria di Delpo in 25 confronti diretti, dei quali più d’uno col polso ferito, ed è la prima volta che un umano dedica il successo a un animale scomparso, il suo cane da slitta Cesar, udito abbaiare dal cielo.

 

La favola Delpo. Ha battuto la sfortuna e re Federer

 

Federica Cocchi, la gazzetta dello sport del 18.03.2018

 

In poche settimane si è ritrovato single, mollato dalla cantante argentina Jimena Baron, e senza il suo amico del cuore, l’amatissimo cane Cesar, a cui ha dedicato la vittoria del primo Masters 1000 in carriera a Indian Wells. Ma Juan Martin del Potro non è certo uno che si abbatte, anzi, la sua forza d’animo è almeno pari alla potenza del suo dritto devastante. Lo ha dimostrato con le sue cento vite, risorgendo ogni volta dalle sue ceneri. Ieri ha festeggiato il numero 6 al mondo a un passo da quel numero 4, il best ranking che aveva raggiunto nel gennaio del 2010 prima di affrontare le mille traversie legate al polso sinistro, operato tre volte. A Delray Beach del 2016 si era ripresentato in campo in un torneo ufficiale da numero 1045 al mondo. La sua gioia era già quella, tornare impugnare una racchetta da tennis senza soffrire troppo lui che, dal 2010 a 22 anni aveva iniziato a soffrire di una grave tendinopatia. C’era il mondo davanti a lui, che aveva da poco conquistato il primo Slam in carriera, lo Us Open del 2009. Ma il destino si era deciso a fargli lo sgambetto. Tanti stop e problemi fisici alternati a grandi soddisfazioni, come il bronzo olimpico di Londra 2012. DOLORE E’ il 2014 l’inizio del calvario con le prima operazione al polso dolorante, a marzo. Un lungo periodo di convalescenza prima del torneo a Sydney a gennaio dell’anno successivo. Ma il tendine ancora non guarisce, e lo costringe a un nuovo intervento. Il rientro stavolta avviene un paio di mesi dopo, a Miami, dove si ritrova oltre numero 600 al mondo. Ma non è ancora arrivato il momento di mollare per Delpo che, perseguitato dai dolori, decide di sottoporsi a un terzo, definitivo, intervento. «Voglio essere felice, dentro o fuori dal campo, con o senza una racchetta — raccontava l’argentino poco prima di entrare in sala operatoria —. Se siete soliti pregare e mi volete bene, ecco, questo forse è il momento giusto di pregare per me». PAZIENZA L’intervento riesce, ma le possibilità di tornare a essere un tennista sembrano scarse. Sopporta ore, giorni, mesi di rieducazione e allenamenti forsennati. Un esercizio di dolore e abnegazione che, tuttavia, potrebbe anche portare a nulla. Quando, a febbraio 2016, Delpo torna in campo a Delray Beach, la gente è già tutta dalla sua. E da lì è iniziata la sua risalita, ancora una volta. Fino a domenica, fino all’epica battaglia contro Federer, al primo Masters 1000 conquistato: «Ho passato momenti che mai un essere umano o uno sportivo dovrebbero affrontare — aveva detto al rientro —, ho pensato che non avrei più avuto la salute, che non sarei stato più un giocatore di tennis. E adesso, eccomi qua». A Indian Wells ha superato il più grande, perché lui è abituato a superare gli ostacoli più alti: «Ero a un passo dal lasciare tutto e adesso sto tremando per la felicità — ha detto dopo la premiazione —. Voglio godermi ogni momento, voglio continuare a essere in salute, felice, e girare il mondo giocando a tennis. Non vedo l’ora di scoprire cosa mi riserva il destino». Per aspera ad astra.

 

Del Potro può tornare più forte di prima

 

Paolo Bertolucci, la gazzetta dello sport del 20.03.2018

 

Il bentornato glielo avevamo dato un paio d’anni fa dopo il rientro dall’ennesimo infortunio, a questo punto dobbiamo riabbracciare Juan Martin Del Potro nell’elite dopo gli ultimi successi, la vittoria ad Acapulco e in particolare il trionfo nel primo Masters 1000 in carriera a Indian Wells. Un percorso lungo e difficile, lui forse per primo dubitava della possibilità di tornare ad alti livelli, ma con la costanza, l’umiltà, la serietà e il talento è riuscito in un’impresa che appariva proibitiva agli occhi di tutti e forse anche ai suoi. L’avevamo visto dopo il rientro faticare molto con il rovescio a causa delle operazioni avute al polso, e per un lungo periodo è stato costretto a giocare il rovescio solo in back, di conseguenza il suo tennis, basato solo ed esclusivamente sul servizio e sul dritto, non poteva competere in potenza sulla diagonale di sinistra. Per sua fortuna, piano piano il problema è stato risolto e adesso anche con quel colpo è tornato ad alti livelli. Non tutto il male vien per nuocere perché durante questo periodo di clausura, costretto a giocare solo in back, ha migliorato in maniera incredibile questo colpo e proprio durante il match con Federer per il titolo si è visto che poteva tranquillamente reggere alla pari gli scambi con il «taglio sotto» proprio contro il miglior specialista al mondo di questo colpo. Il poter quindi variare effetto e velocità mischiando la potenza del diritto con la sicurezza e la leggerezza del rovescio in back gli ha permesso di poter contrastare su entrambi i lati del campo la varietà di gioco del campione svizzero. L’essere riuscito ad assemblare questi colpi con la potenza, la precisione e la pesantezza di palla del servizio, fa di lui un giocatore di primissimo livello, molto ma molto vicino a quello del 2008 quando vinse gli Us Open battendo sia Nadal che Federer. Durante il torneo non era apparso in splendida condizione, probabilmente doveva ancora smaltire le fatiche di Acapulco e, sia contro Mayer che contro Kohlschreiber, aveva mostrato un tennis solido ma altalenante. In finale invece forse anche al cospetto del più grande, quasi come per magia, ha lasciato da parte la discontinuità e ha sposato in pieno la costanza. Gli esami non finiscono mai, a Miami lo attende la prova del nove, e in caso di esame superato anche sulla costa Est a quel punto tornerebbe ad essere uno dei favoriti anche nelle prove Slam.

 

Dalla racchetta al microfono, è sempre battaglia dei sessi

 

Gianluca Cordella, il messaggero del 20.03.2018

 

Il tennis scivola sul conflitto di genere. Sai che novità? Da Bobby Riggs in poi, era 111973, il tema della supremazia – racchetta alla mano – dell’uomo sulla donna è stato sostenuto sotto tutti i punti di vista: agonistico (Riggs, appunto, fu il capofila),spettacolare (Edberg, tra gli altri) e, diciamo così, di proporzionalità del compenso (Djokovic è stato l’ultimo della serie). Salvo poi essere smentito, o quantomeno messo in discussione, dai fatti. L’ultimo capitolo della serie vede coinvolti John McEnroe e Martina Navratilova, due che sotto i riflettori per polemiche dello stesso tipo ci sono finiti già più e più volte nel corso delle rispettive, strabilianti carriere. Di differente rispetto alle schermaglie passate c’è che questa volta i campioni interessati dalla querelle non hanno generato il corto circuito, ma lo hanno subìto. Con tutte le cautele del caso quando per “subito” si intende “intascato fior di quattrini”. ON AIR I fatti risalgono a Wimbledon dello scorso anno. Erba di casa loro, che sui prati inglesi hanno trionfato 12 volte complessive, nove lei e tre lui. Entrambi sono ingaggiati dalla BBC come commentatori, talent ci piace chiamarli da queste parti. Ma, a distanza di mesi, il colosso british pubblica per trasparenza la lista dei compensi ai vip ingaggiati e… apriti cielo. John figura nella fascia 150-199.000 sterline (all’incirca tra i 170 e i 230 mila euro), Martina “ristagna” intorno alle 15 mila (17 mila euro e spiccioli). Un decimo esatto. E la campionessa che aveva lasciato la Cecoslovacchia per gli Stati Uniti sbotta. «La cosa incredibile è che la voce di una donna sia vista come meno importante di quella di un uomo – è lo smash di Martina – Siamo al solito club per soli uomini». Pronta la replica della BBC. «Martina ha contribuito occasionalmente ed è stata pagata a gettone, mentre John ha avuto una mole di lavoro molto maggiore». «Da legittimare un compenso 10 volte superiore?», si chiede la Navratilova. Le accuse della ex campionessa sono arrivate dagli schermi della BBC stessa, la risposta del network pubblico è arrivata a nota stampa, la posizione di McEnroe non è mai arrivata: pare che la stessa BBC gli abbia chiesto di cucirsi la bocca sull’argomento. Considerando le non felicissime esternazioni del passato, tra cui ne scegliamo una, il «non si paragonano le mele con le arance» riferito a Serena Williams che ambiva a sfidare un collega uomo. Ironico che tutta la discussione nasca intorno al torneo di Wimbledon che è stato l’ultimo dei quattro Slam a pareggiare i montepremi tra i tabelloni maschile e femminile: era il 2007, ma agli Us Open uomini e donne guadagnavano le stesse cifre sin dal 1973. Già: l’anno di Riggs e della battaglia dei sessi.

 

Federer fragile: 19 ko dopo un match point sprecato

 

Ubaldo Scanagatta, il quotidiano nazionale del 20.03.2018

 

Prima o poi doveva accadere che quel purosangue di Roger Federer, imbattuto nel 2018, all’ostacolo n.18 dovesse imbizzarrirsi e inciampare. Aveva appena battuto il suo record del miglior avvio di stagione. Per uno che di stagioni “pro” ne ha già fatte venti… tanta roba. Eppure l’ostacolo altissimo (1,98 metri per la Torre di Tandil) costituito dall’argentino Juan Martin Del Potro, sembrava proprio superato. Roger, annullato un matchpoint a fine secondo set, si è trovato a servire sul 5-4 e 40-15 del termo. Ma neppure il matchpoint numero 3 è bastato per sollevare il terzo trofeo del 2018 dopo l’Australian Open (lo Slam numero 20) e Rotterdam. Anche i fenomeni apparentemente extraterrestri commettono errori. Roger non ha più messo più dentro una prima di servizio, si è fidato del suo talento per rischiare due smorzate che nessun altro avrebbe pensato di giocare e Del Potro lo ha impallinato con le sue terrificanti fucilate di dritto. Poi Roger nel tiebreak, due doppi falli, è finito subito al tappeto: 64 67(8) 76(2). La finale di Indian Wells è stato il match più spettacolare dell’anno. Del Potro non era nuovo all’exploit. Aveva battuto Federer già 6 volte (in 24 duelli) e 3 in 5 finali. La prima all’Us Open 2009 quando aveva conquistato l’unico Slam. Ma di Masters 1000 Del Potro, 29 anni, non ne aveva ancora vinto uno. Sono numeri che rendono più umano il fenomeno Federer: ha perso per la diciannovesima volta dopo aver sprecato matchpoint.

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