Isner dopo del Potro. Chiamatela Past Gen (Crivelli). Dai Moschettieri alla rissa con l'arbitro: Italia-Francia di Davis, caro nemico ti sfido (Semeraro)

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Isner dopo del Potro. Chiamatela Past Gen (Crivelli). Dai Moschettieri alla rissa con l’arbitro: Italia-Francia di Davis, caro nemico ti sfido (Semeraro)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

 

Isner dopo Del Potro. Chiamatela Past Gen

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 3.04.2018

 

Gli ultimi sei Slam? Tutti over 30, dagli Us Open 2016 vinti da Wawrinka (poi tre di Federer e due di Nadal). E i primi due Masters 1000 di stagione sul cemento americano? A un quasi trentenne (li farà a settembre), Del Potro, e a uno che il 3 davanti nell’età ce l’ha da due anni e 10 mesi, John Isner, diventato a Miami il più vecchio giocatore della storia a conquistare il suo primo Masters 1000. INVECCHIAMENTO Intendiamoci, la Next Gen non è più soltanto una straordinaria suggestione sospesa tra marketing e speranza: Zverev a parte, che è già un mezzo crac, i Chung, i Khachanov, i Coric e i Tiafoe in questo inizio di stagione hanno dimostrato di poter vincere tornei, quindi di non essere così lontani dal Gotha. Ma adesso devono fare il salto che è mancato fin qui, ad esempio, ai giocatori nati nella prima metà degli anni 90, la capacità di trasformarsi con continuità in Slam contender, cioè di competere al livello più alto. Ma che il mondo del tennis sia cambiato, spostando l’equilibrio verso le generazioni più esperte, al netto di fenomeni alla Nadal (uno Slam e sei Masters 1000 prima dei vent’anni), è certificato anche dalle classifiche. Nel 2002, alla fine della stagione, i primi 10 del mondo sommavano 246 anni di età (quindi una media di 24.6), nel 2007 erano scesi a 24.1, ma nel 2012 la media si era già impennata a 26.9, per raggiungere il picco a fine 2017, con 27.6. Di più: nelle classifiche pubblicate ieri, il dato indica 28 anni e mezzo per i top ten (dove è rientrato pure Isner), il più alto di sempre. Sono tanti i fattori che incidono: progressi delle metodologie d’allenamento, alimentazione più curata, abilità di amministrarsi in un calendario ormai divenuto massacrante e senza soste. Ma conta soprattutto la mente: i Del Potro e gli Isner, abituati da sempre a confrontarsi con la più forte generazione di sempre, sanno come gestire i momenti caldi delle partite. E infatti a Miami Zverev, avanti di un set e fisicamente più centrato, ha finito per sciogliersi sul 4-4 del terzo. Una situazione di punteggio in cui, per dirla con Borg (a proposito di talenti precoci), tutti sono capaci di arrivare; ma solo pochissimi eletti poi sono in grado di vincere gli altri due game. (ha collaborato Luca Marianantoni)

 

Dai Moschettieri alla rissa con l’arbitro Italia-Francia di Davis, caro nemico ti sfido

 

Stefano Semeraro, la stampa del 3.04.2018

 

Con i francesi, come capita spesso, anche in Coppa Davis ci siamo lasciati male. Sports Palace di Nantes, è il 1996, in palio c’è la finale, in panchina Yannick Noah, e Adriano Panatta, capitani sexy, miti che si assomigliano. Dopo i primi due singolari l’Italia è avanti 2-0, due capolavori di Andrea Gaudenzi contro Pioline e Renzo Furlan contro Arnaud Boetsch. Sembra fatta. «Il mio amico Noah in ginocchio», racconta Adriano Panatta, «io costretto a consolarlo: ma su, Yannick, non fare così, in Davis capita…». Invece Gaudenzi si è fatto male ad un polso e da sabato cambia tutto. Andrea perde il doppio con Nargiso contro Forget e Raoux, dopo il 2-2 di Pioline su Furlan la domenica finisce sotto anche nel singolare decisivo contro Boetsch. In mezzo ci si mette il giudice di sedia, Wayne McEwan: tre, quattro, cinque decisioni a favore dei francesi, una chiamata (sbagliata) che toglie un set point a Gaudenzi nel terzo set. Nargiso che urla, Panatta che scuote il seggiolone, Gaudenzi che invoca con dieci anni di anticipo la moviola in campo. Adriano poi scuoterà anche direttamente McEwan, nel corridoio degli spogliatoi, provocando un caso, ma la Francia ormai ha vinto, adieu mes amis. Anzi: amici un bel niente. E comunque cugini mai. In palio la semifinale Da venerdì a Genova è di nuovo Italia-Francia. Ventidue anni dopo, come in un romanzo di Dumas, in fondo è sempre roba da moschettieri. Loro nel frattempo hanno vinto 3 coppe (e giocato altre 4 finali): in quel ’96, nel 2001 e l’anno scorso. Noi siamo andati e ritornati dall’inferno, più Dante che Rimbaud. Ci giochiamo la semifinale, sulla panca francese è ritornato Noah, bulbo innevato, rughe splendide. Sulla nostra soffre Corrado Barazzutti, il campione-soldato dei giorni di gloria. Nel 1975, a Parigi, furono proprio i francesi a darci l’ultima delusione prima di un ciclo da sogno. Panatta che affonda prima contro Francois Jauffret, la sua bestia nera, poi contro Patrice Dominguez, mancino modesto ma ingegnoso. «Venivano tutti e due a rete, Patrice in più era mancino», spiega Paolo Bertolucci. «Gli davano fastidio». Barazzutti come al solito prova a metterci una pezza, ma deve arrendersi anche lui a Jauffret, 6-3 al quinto. Due anni dopo, un’altra storia. L’Italia è campione in carica, sulla strada di un’altra finale a Roma finisce 4-1 per noi e Jauffret in doppio si becca una pallata nei santissimi che lo lascia esanime. «Era uno scambio a rete, una volée rapida. Giuro: non l’ho fatto apposta», assicura Bertolucci. Dal ’49 la ricostruzione. Dal 1925, l’anno del primo incontro, quando ancora la Davis si chiamava International Lawn Tennis Challenge, ci siamo scornati dieci volte e il bilancio è in perfetta parità, 5-5. La curiosità è che i francesi non ci battono in casa dal 1927, a Roma, quando in campo loro mandavano i Moschiettieri originali – Borotra, Lacoste, Cochet e Brugnon -, capaci di strappare la Zuppiera agli Usa di Tilden e di tenersela 5 anni di fila, e noi i nobiluomini De Stefani e De Morpurgo. La nostra prima vittoria, dopo tre batoste, nel 1949 a Parigi, con Cucelli e Del Bello, il duo della ricostruzione. «Loro hanno sempre sfornato molti più giocatori di noi, ma stavolta, senza Tsonga, Monfils e Gasquet, non dobbiamo perdere», intima Bertolucci. «E un match duro», smorza Barazzutti. «Ma anche una grande occasione». Dai, Fognini. Fatti D’Artagnan.

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