Da Barletta: fratelli di wild card, l'Italia s'è desta, dell'elmo di Klizan

Italiani

Da Barletta: fratelli di wild card, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Klizan

BARLETTA – Le vittorie di Moroni e Pellegrino, l’immancabile ragazza di Coppejans, il quasi Nadal spedito sull’ultimo campo. Quanto è bello il tennis minore

Pubblicato

il

 

Anche quest’anno abbiamo fatto un salto a Barletta. Preme innanzitutto dire che gli organizzatori del Challenger ‘Città della Disfida’ non hanno affatto rinunciato alla continuità né si è azzardato a farlo Kimmer Coppejans: il belga c’era all’ovvio seguito della sua ragazza, della cui storia abbiamo in qualche modo parlato dodici mesi fa. Non si sono ancora sposati né sembra abbiano progettato di farlo, ma Melanie quest’anno ha portato con sé un MacBook Pro per passarci diverso tempo seduta ai tavolini di fronte alla piscina che connota il circolo Hugo Simmen, disperso in mezzo a certi palazzi diroccati. Nessuno la disturba: beve analcolico, pensa ai suoi studi di fisioterapia e tifa silenziosamente il suo promesso sposo. Poco più dietro c’è il mare, il desertissimo mare pugliese di aprile. Ah, Kimmer Coppejans quest’anno ha perso subito; non gli è andata bene, ha incrociato al primo turno quel diavolaccio di Martin Klizan – a cui non hanno dato neanche il centrale! – che ha incredibilmente chiuso l’incontro senza turpiloquio (impresa non riuscita a tale Marko Tepavac, che in serbo-croato ha detto davvero qualsiasi cosa al suo avversario Elias, al pubblico, all’universo tutto). Uno dei raccattapalle indica Klizan con frequenza regolare e a ogni nuova figura che gli si affianca ripete “Se vuole, ‘sta settimana vince lui. Se gli va però!“. Chi scrive gli suggerisce che due anni fa il diavolaccio ha vinto lo stesso torneo grazie al quale Federer, a febbraio, è tornato numero uno del mondo: radioso, andrà a raccontarlo a tutti.

Il livello di competenza dei ragazzini che si danno continuamente il cambio nei campi – per chi attende il proprio turno ci sono un campetto di calcio e una rete da mini-tennis, ottimi per ingannare il tempo – è sorprendentemente alto: conoscono il best ranking di Granollers e alcuni persino il modo in cui gioca, rimbrottano gli amici che abbandonano anzitempo gli spalti di un match che sanno promettere bene. Del resto ce lo conferma Vincenzo Ormas, direttore tecnico del torneo con la sua ‘Wave Productions’ autoctona: “Qui al sud è molto più facile creare coinvolgimento: non c’è il grande calcio, la serie A, a fare concorrenza“. Allude all’esperienza del torneo di Bergamo, incastrato in una realtà che respira sport a un livello sicuramente maggiore.

C’è quindi una fatale meraviglia nel tennis minore che prescinde da quanto accade tra le righe di gioco. C’è lo sfilare tronfio di chi, lo vedi, ha preso un giorno di ferie per annodarsi il maglione al collo e colonizzare un seggiolino che immagina mondano, rispondendo – ad alta voce, certo – a telefonate che sembrano imprescindibili, ma alla fine servono solo ad annunciare che lui è lì e non dove il dovere lo richiamerebbe ad essere. “Domani sarò in corte“, racconta uno che poi partirà con la filippica standard sulla scarsa attitudine di Fognini nell’ultimo singolare di Coppa Davis. L’unica tribuna sistemata alle spalle dei tennisti è strategicamente piazzata per garantire la visuale del centrale e del campo 1; così, quando in contemporanea alla filippica di cui sopra capita che stia giocando Nicola Kuhn contro Granollers (Marcel si ritirerà dopo undici game per una caviglia malconcia), un altro esordisce “E infatti quel biondino lì, che è del 2000, ha battuto Fognini l’altro giorno” e subito la pronta replica “Evvabbè, ma Fognini in certe giornate lo posso battere pure io!“. Tutto meraviglioso, tutto ovviamente falso perché Kuhn contro Fognini ci ha giocato, a Miami, ma ha perso 6-2 6-4.

La tribuna strategica

Kuhn è il pretesto giusto per iniziare a parlare di tennis. Buone soluzioni, sente particolarmente il dritto in cross e sembra al momento più settato sul rimbalzo da terra battuta: il suo impianto di gioco suggerisce però che potrebbe rendere meglio sul veloce, un giorno, quando riuscirà a liberarsi del fardello della nazionalità (acquisita) spagnola. Si ritirerà a sua volta contro Olivera agli ottavi, meno di 24 ore dopo, quando era in controllo del match. Non siamo certi che il rituale ipnotico a servizio di Oliveira non c’entri nulla.

Tra gli altri giovincelli che diventa interessante conoscere in questi ambienti c’è un altro spagnolo, il 20enne Jaume Munar già endorsato da Nadal, che ha battuto all’esordio un altro peperino interessante, il canadese Felix Auger-Aliassime. L’incontro è purtroppo andato in scena di lunedì, tra pochi intimi: in questo martedì Aliassime lo incrociamo solo in palestra, quanto basta per essere certi che stia facendo un notevolissimo lavoro di rinforzo fisico – del resto l’ha confermato anche Raonic; Munar invece si allena a buon ritmo (batterà Milojevic al secondo turno) e trasuda regolarità da ogni poro. Dopo dieci minuti di palleggio con il suo sparring è già chiaro perché piaccia a Rafa. Piace un po’ di più a noi il 18enne ungherese Zsombor Piros, e come spesso accade con quelli che ci piacciono è anche irrimediabilmente lontano dal livello che servirebbe per battere un tennista strutturato (lo elimina Giannessi, senza colpo ferire): Piros ha vinto l’Australian Open junior nel 2017, evidentemente coi pari età riusciva a stendere la sua personalissima e originalissima tela. Ma è veramente leggerissimo e questo non sembra un tennis per quelli come lui.

IL FRONTE AZZURRO

Questo tennis forse di addice molto di più (per personalità) a Lorenzo Sonego, vittorioso d’autorità al primo turno, che becchiamo in players’ lounge immerso in una serratissima sessione di smartphone e auricolari. Ragazzone alto, viso imberbe e genuinamente affabile. “L’obiettivo del 2018 è entrare tra i 100. Dici che sono migliorato fisicamente? Penso di dover lavorare ancora, ma se lo dici tu…” e poi sorride, prima di confessare – non senza il gaudio di chi ascolta – che ormai preferisce il veloce, sente di esprimersi meglio lì. E per fare un altro passo in avanti servirà migliorare il servizio e soprattutto la risposta. L’attitudine è la migliore tra tutti i giovani italiani, migliore sicuramente di quella di Marco Cecchinato, ormai un po’ smarrito, che ha rinunciato alla probabile eliminazione al primo turno a Marrakech – si è cancellato, ma sarebbe entrato in tabellone – per rimediarne una meno prevedibile ma più grave qui a Barletta, da prima testa di serie.

Con particolare interesse affrontiamo i casi di Gian Marco Moroni e Andrea Pellegrino, omaggiati di una wild card. 20 e 21 anni, rispettivamente 406 e 341 del mondo. Il primo deve ringraziare il forfait dell’ultimo minuto di Matteo Berrettini – una wild card era per lui, ma ha giustamente preferito il posto liberatosi a Marrakech – anche se in realtà si tratta di un invito pienamente giustificato: aveva iniziato la stagione fuori dai 700, lunedì romperà per la prima volta la barriera dei top 400. Ci è riuscito raggiungendo due volte i quarti (Santiago e Alicante) e una volta gli ottavi (Punta del Este) a livello challenger e vincendo un Futures in Spagna. Ma la grande crescita di Gian Marco è tutta nel volto scurissimo di Pedro Sousa, quarta testa di serie del torneo di Barletta che al ragazzo nato a Roma deve arrendersi dopo appena 64 minuti di gioco: un 6-1 6-4 rotondo, netto, che sarebbe potuto essere ancora più severo senza un calo di tensione negli ultimi game. Fisicamente Moroni è stereotipico (185×85) e soprattutto – nota di merito – molto elastico: va in spaccata, è dinamico, nonostante l’importante struttura muscolare. Cerca e trova molto bene il dritto, anche in traiettoria anomala, e col servizio sa come prendere il comando dello scambio. Il rovescio a una mano ricorda un po’ quello di Tsitsipas: stilisticamente molto bello, ma prende ancora un po’ d’aria. Incassa tutti i meritatissimi complimenti e sembra lui stesso spaesato dal livello a cui si sta esprimendo. Lo rivediamo qualche ora dopo, sulla terrazza panoramica che domina il circolo, in occasione del match point che regala anche ad Andrea Pellegrino il passaggio del turno: è particolarmente interessato perché i due, fratelli di wild card, si sfideranno agli ottavi.

L’incontro di Andrea Pellegrino contro il ceco Adam Pavlasek (208 ATP) è stato il più bello di giornata. Andrea è nato a Bisceglie, quindi qui è praticamente di casa. Lo scorso anno aveva ricevuto un altro invito e perso al primo turno contro Donati; quest’anno ha fatto un passo in più. Partito come un fulmine (3-0) ha subito un bagel virtuale per perdere il primo set. Le due racchettate ai teloni, strategiche per scaricare la rabbia ma non rompere l’attrezzo, sembravano prodromiche di disfatta. Invece Andrea ha vinto i due successivi tie-break riuscendo nella delicata impresa di non concedere mai match point al suo avversario, spesso a due punti dalla vittoria. Il secondo viene deciso – anche – da uno spettatore tanto sciovinista da urlare ‘out‘ sul punto finale appena dopo un rovescio buonissimo di Pavlasek, il quale si distrae e mette in rete il colpo successivo. Risentitissimo, spaccherà la racchetta: per meglio dire, la polverizzerà, per poi riprenderne in grembo i resti, salutare l’arbitro e lanciarli dall’altra parte del campo. Sembra che non lo rivedremo più a Barletta, mentre lo spettatore-autore-del-gesto-estremamente-british arriverà persino a vantarsi un’oretta dopo, sfilatogli di fianco lo stesso Pellegrino. Che sorriderà imbarazzato, conscio di non poterlo ringraziare ma di doverlo ringraziare.

Pellegrino ha un braccio molto, molto veloce. E colpi con ampia ovalizzazione che ne aiuta la rapidità, il rovescio molto ficcante. Questa vittoria dà fiducia ma il materiale a disposizione è almeno pari al lavoro necessario per imparare a stare meglio in campo, a gestire lo scambio, a mantenere il controllo. Rigiocata dieci volte questa partita forse gli sorriderebbe tre volte, e probabilmente fuori dall’Italia la perderebbe in tutte e dieci le occasioni. Anche Andrea è alto 185 centimetri, l’ATP conta 75 chili ma a vederli forse oggi ce n’è qualcuno in più (meno di Moroni, però). Speriamo bene. Il fatto che ci sia qualcosa di molto buono da plasmare è evidente nella scelta di Filippo Volandri, presente a Barletta, di seguirlo da vicino. ‘Filo’ dice a tutti che sta crescendo, si vede che ne è entusiasta, poi si allena per un paio d’ore con Donati palesando la solita asimmetria di quando era assiduo nel circuito: il rovescio controlla qualsiasi mina di Donati, il dritto balla. I due si divertono, Donati è ancora in gioco tanto in singolare quanto in doppio (fa coppia con Baldi). Volandri è poi preso d’assalto da chiunque al circolo, sembra il salvatore della patria. Se fa diventare Pellegrino uno forte probabilmente gli faranno una statua.

Eppure, eppure, ‘the Oscar goes to l’amico di quel tifoso che, appena arrivato, denuncia la presenza di un terzo campo di gioco che però non ha trovato (ne ha scoperto l’esistenza tramite il livescore, che ormai arriva prima della realtà). Gli suggerisco che il campo è proprio alle sue spalle, lui ringrazia, riguarda il livescore ed esclama “Oh, sta giocando Nagal!“, e l’amico che nel frattempo si era distratto “Ma che, hanno messo Nadal sull’ultimo campo? Se, e Federer allora sta in spiaggia!“. Che poi Nadal qui ci ha giocato davvero. Federer no, ma chissene. Qua è il tennis minore e trovi Sumit Nagal, sfocato e mezzo infortunato.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement