Intervista a Fognini: "Sento di potermi togliere delle soddisfazioni" (Rossi), Nadal cerca rivali sul rosso Thiem si prepara all'assalto (Crivelli), Rafa a Monte Carlo insegue l'undicesimo trionfo (Mancuso)

Rassegna stampa

Intervista a Fognini: “Sento di potermi togliere delle soddisfazioni” (Rossi), Nadal cerca rivali sul rosso Thiem si prepara all’assalto (Crivelli), Rafa a Monte Carlo insegue l’undicesimo trionfo (Mancuso)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Intervista a Fognini: “Sento di potermi togliere delle soddisfazioni”

 

Paolo Rossi, la repubblica del 16.04.2018

 

Il tempo della prima domanda, e nella hall dell’albergo spunta la signora Fognini, Flavia Pennetta, con il piccolo Federico che le sta frignando in braccio. Papà Fabio lo prende, se lo coccola, ed ecco che il piccolo smette di piangere: il tennista ha lasciato tutto lo spazio all’uomo. C’è sempre prima l’uomo, dello sportivo. «Assolutamente, senza ombra di dubbio. Diventare padre mi ha cambiato. Soprattutto sul come affrontare e vivere le cose. Federico mi fa digerire le sconfitte diversamente. Se lui è con me mi pesa meno. Ricordo invece come nel 2014 aver perso contro Tsonga mi stroncò l’intera stagione». Che padre è Fabio Fognini? «Come tutti gli altri: voglio che sia felice, gli dirò semplicemente di fare quello che gli piacerà. Il tennis? Se vuole, ma andrà bene anche l’hockey. Gli dirò di essere se stesso, lo cresceremo con i valori che i nonni – paterni e materni – ci hanno trasmesso». Ma casa Fognini dov’è, tra Mio figlio Federico mi ha cambiato. Allenerei solo Kyrgios, ma ho ancora un languorino in bocca da giocatore. Spero di essere ricordato come un tipo passionale. Brindisi, Arma di Taggia e Barcellona? «Brindisi è troppo lontana. Oggi anche Miami è un po’ casa. La risposta è: Barcellona, anche se ci manco da novembre. Federico è nato li. Ed è lì che io e Flavia ci siamo conosciuti, è lì che abbiamo meno problemi anche per la gestione dei rapporti con i nonni: se vogliono, vengono loro». La Spagna «Non so se fosse scritto essere il paese del destino. Io ci sono andato a 18 anni, anche Flavia c’è stata tanto, 8-10 anni. Ma non sono spagnolo. Sono italiano, mi ci sento e ne sono fiero. Certo, Barcellona è bellissima, mi ha dato l’amore, ma e stato un caso: non sapremmo descrivere come è nato tra me e Flavia… non so cosa faremo, dipenderà da quello che faro dopo». Dopo? Sta pensando al post tennis? «Beh, cose così mi saltano in testa. Se gioco male me lo chiedo. Avendo Federico la vedo in modo diverso, la mia maturazione è venuta più tardi. Comunque mi dicono che vengo bene in tv, non lo so. Certo è che allenerei uno e soltanto uno: Nick Kyrgios». Nicola Pietrangeli ha confidato di aver scoperto «un Fognini delizioso il giorno del suo matrimonio», tutt’altra persona da quella sul campo. «Beh, non fa testo, troppo facile: quello era un giorno speciale. Ma ripeto, sono un ragazzo che in compagnia ci sa stare e a cui piace starci». E allora ipotizzi che ci sia un microfono a totale disposizione e si racconti una volta per tutte… «Seee, sicuro che mi cadrà dalle mani». Ma perché tutta questa paura dei giornalisti? «Ma no, non è paura dei giornalisti. Certo, qualcuno di loro ha superato i limiti. Perché se è vero che ho spaccato le racchette, c’è modo e modo di scriverlo. Però devo dire che sin dall’inizio sono stato sotto pressione e non ho gestito bene questo aspetto, quello dei media». Paradossalmente lei, fuori dal campo, è tipo da profilo basso. «Non si tratta di nascondermi, è che io sono così. Sono un tipo che non gli piace essere esposto. Un tipo istintivo. Non avrò recriminazioni a fine carriera. Sono sempre stato me stesso al 100%, nel bene e nel male. Il fatto è un altro». E qual è? «Che molti miei colleghi si nascondono dietro una pallina gialla. Io invece no: non faccio nomi, ma questa cosa non la tollero. Fai finta di essere un altro perché hai vinto due partite, hai avuto successo? Allora sei stupido». Un ragazzo senza mezzi termini, per questo divide gli appassionati. «Quello è vero, ne sono consapevole. Col passare degli anni, diventato più grande, con gli anni in più posso capirlo: ho avuto atteggiamenti che non sono piaciuti, ma siamo esseri umani. Non sono uno cattivo, e chiunque può confermarlo». Pentito? «Certo, ma vorrei dire: sbaglio io, sbagli tu: qualcuno s’è mai chiesto cosa potesse essermi accaduto in precedenza, perla l’origine dei miei gesti? La verità è che in Italia siamo molto tifosi. Da una parte è un bene, ma dovremmo essere un po’ più aperti, riflettere prima di accusare. Vorrei fossimo più ‘open mind’». ä dispiaciuto di questo? «I fatti dicono che io, quando gioco in nazionale, mi sono fatto in 18 pezzi. Ecco, se fossi stato così anche nei tornei, in passato, avrei potuto avere risultati diversi. Ripeto, ho avuto atteggiamenti sbagliati, ma ho fatto anche delle cose belle, e spero di poter zittire i miei detrattori in questi ultimi annidi carriera, anche se non è che voglio, o posso, piacerea tutti». II suo tennis veloce piace però, soprattutto quel braccio con velocità da Formula 1. «Sì, me lo hanno detto qualche volta. Anche se a me piacciono di più le moto. Sì, il mio tennis tecnicamente non è mai stato un problema, le mie preoccupazioni riguardano la salute e la testa: stare bene, avere la lucidità di giocare certe partite, certi tornei». Settembre 2015: sta toccando la coppa degli US Open, vinta da sua moglie. Che sensazioni le diede? «La coppa… toccare uno Slam è stato inaspettato. Ci ho pensato, mentre la toccavo, ma bisogna essere realisti. Per me maschietto sarà più dura, i nostri tennis sono due sport diversi, e questo lo dico anche a Flavia. La punzecchio sempre, ma lei sa replicare bene». Soddisfatto della sua carriera? «Ni. Ora sono messo meglio rispetto al passato, ho la velocità, la forza. Sono migliorato sul veloce anche se la partita della vita me la giocherei sempre sulla terra rossa e poi vedo che la forbice è diminuita, i Fab Four non ci sono più….

 

Nadal cerca rivali sul rosso Thiem si prepara all’assalto

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 16.04.2018

 

Quella volta, furono le avvisaglie di una rivoluzione. In un’epoca senza padroni, tre Masters 1000 consecutivi finirono a giocatori che li vincevano per la prima volta. Era il 2003: Mantilla a Roma, Coria a Amburgo e Roddick a Montreal. In mezzo, però, si era già aperta l’era beatlesiana del tennis, l’avvio della saga dorata dei Fab Four, con il successo a Wimbledon di Sua Divinità Federer.Adesso è accaduto di nuovo (Bercy a Sock, Indian Wells a Del Potro e Miami a Isner), e chissà se il 2018 aprirà d’improvviso le porte al futuro. Allora, si trattava di un poderoso ricambio generazionale, adesso i fenomeni vivono ancora tra noi ma sono la salute e la programmazione a scavare le speranze di chi arriva da dietro. Il vessillo dei dominatori si sta forse stingendo, ma il colore rosso della stagione europea risplende comunque sull’eterna bandiera di Nadal. Il guerriero è ammaccato da mille battaglie, in Davis è tornato a giocare dopo oltre due mesi dall’infortunio in Australia, ma sulla superficie d’elezione non si vedono ancora nemici pronti all’eversione. LA CACCIALa caccia al possibile rivale di Rafa è lo sport preferito di ogni appassionato di tennis, e se si tenessero le elezioni la maggioranza dei voti confluirebbe probabilmente su Thiem. Nel 2017 l’austriaco contro Nadal ha perso le finali di Barcellona e Madrid, ma lo ha battuto nei quarti a Roma prima di una sonora lezione subita in semifinale a Parigi: «Per ora mi basterebbe ripetere il cammino della scorsa stagione». Avverbio di tempo non casuale: Dominic è fermo dal 12 marzo, quando a Indian Wells si ritirò con una caviglia in fiamme. Si pensava di rivederlo addirittura per la campagna sull’erba, ma Thiem ha affrontato le cure con il piglio del connazionale più celebre, Terminator Schwarzenegger e aspetta solo le risposte dal campo: «Come condizione generale, comunque, sto meglio di un anno fa, perché mi sono dedicato con più calma a ogni dettaglio». È sempre stata la sua pecca: troppe partite a inizio stagione, con la conseguenza di arrivare bollito all’estate. A 24 anni, nel guado di una generazione compressa tra i Fab Four e i Next Gen incombenti, Dominic forse ha capito che è il momento di diventare grande.

 

Rafa a Monte Carlo insegue l’undicesimo trionfo

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 16.04.2018

 

Non si direbbe visto le piogge e le basse temperature, ma siamo in primavera. Stagione che nel tennis vuol dire terra rossa, la superficie sulla quale Nadal si trasforma in un cannibale. Il circuito questa settimana fa tappa a Monte Carlo, dove Rafa ha vinto già 10 volte, come a Barcellona e a Parigi. Dal 2005 sulla terra la fa da padrone e il dato più sorprendente è che 13 anni dopo parte ancora davanti a tutti. Anzi, il divario con il resto del gruppo sembra cresciuto. Federer, come nel 2017, ha deciso di saltare l’intera campagna sul rosso: va per i 37 e si può capirlo. Murray lo rivedremo a giugno, Djokovic è alla ricerca di se stesso. Si fa fatica a individuare un avversario capace di insidiare lo spagnolo e un’occhiata al tabellone del Masters 1000 nel Principato rafforza questa sensazione. Bedene o un qualificato come primo ostacolo, poi uno tra Mannarino, Simon o Khachanov. Tutti lontani anni luce. Il match clou nei quarti: il ranking suggerisce Thiem, la storia Djokovic. Mentre nella parte bassa ci sono Cilic, Carreno Busta e Zverev. Sulla terra il maiorchino (compirà 32 anni a giugno) ha vinto in carriera 389 partite e con ogni probabilità nelle prossime settimane abbatterà il muro dei 400 match. Da quando si è ritirato a Parigi nel 2016, vanta un bilancio di 24 vittorie e una sola sconfitta: l’unico a metterlo ko è stato Thiem lo scorso anno nei quarti al Foro Italico. SEGNALI CONFORTANTI Cinque tornei (Monte Carlo, Barcellona, Madrid, Roma e Roland Garros) e 5.500 punti a disposizione. I problemi fisici (le solite ginocchia) che lo hanno azzoppato facendogli saltare la trasferta sul cemento nordamericano sono alle spalle. Lo scorso week end di Davis ha spazzato via i dubbi: a Valencia ha trascinato la Spagna in semifinale travolgendo Kohlschreiber e soprattutto Zverev, l’unico capace di portargli via un torneo sulla terra nel 2017 trionfando a Roma. La conferma che il campione di Manacor è il favorito d’obbligo in ogni torneo che si gioca su questa superficie. Dovrà però gestirsi al meglio (non è più un ragazzino e il suo tennis è ben più usurante di quello di Federer) e non farsi condizionare dall’ansia di dover difendere la prima posizione mondiale. SPADA DI DAMOCLE Pur saltando Indian Wells e Miami, Nadal ha approfittato dei passi falsi di Federer in California e Florida ed è ritornato sul trono Atp. Nel 2017 si è imposto a Monte Carlo, Barcellona, Madrid e Roland Garros. Un exploit che nei prossimi due mesi rischia di diventare un boomerang perché lo condanna a vincere di nuovo tutti e quattro gli appuntamenti: perdendo anche solo una delle finali, svanirebbero quei risicati 100 punti di vantaggio su Federer e lo svizzero tornerebbe n.l nella graduatoria del computer pur non giocando. Il suo bonus può diventare Roma (12-20 maggio), dove nel 2017 si fermò nei quarti e difende solo 180 punti. Potrebbe incrementare quel bottino, recuperando così un’eventuale sconfitta negli altri suoi feudi sulla terra rossa. Anche se poi sull’erba, tra giugno e luglio, la storia delle cambiali si invertirebbe con King Roger che dovrà difendere i successi di Halle e Wimbledon (2.500 punti). ITALIANI NEL PRINCIPATO Sono in 4 al via: Fabio Fognini, testa di serie n.13, Paolo Lorenzi, Andreas Seppi e Marco Cecchinato (gli ultimi due hanno superato le qualificazioni). Oggi esordio per Lorenzi, opposto al francese Herbert.

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