Il gatto Cecchinato (Azzolini). L'ascesa di Quinzi. Mai avere fretta (P.G.). Cecchinato: "Io, nomade del tennis con Palermo nel cuore" (Filippone)

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Il gatto Cecchinato (Azzolini). L’ascesa di Quinzi. Mai avere fretta (P.G.). Cecchinato: “Io, nomade del tennis con Palermo nel cuore” (Filippone)

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Il gatto Cecchinato (Daniele Azzolini, Tuttosport)

L’aria da gatto scarruffato, i modi pacati e sornioni di chi potrebbe saperla lunga, ma lascia agli altri l’onere della prova, il Ceck pone all’Italia una domanda, non nuova ma troppe volte elusa: c’è talento nell’altro tennis? È probabile che la risposta sia affermativa, e che l’avvento di Marco Cecchinato, 25 anni, in ritardo con le pretese di un circuito che va di fretta, ma non con se stesso, meriti di essere preso a modello. Forse è un talento diverso, quello che ci indica il Ceck, anche con la sua vittoria ungherese, giunta nei modi che sembrano casuali, forse fortuiti, ma non imprevedibili e inattesi. Era fuori, si è ritrovato nel tabellone come lucky loser, ha vinto. Né più né meno di uno che si getti dal terzo piano e giunga al marciapiede illeso, per essere riuscito ad aggrapparsi a una tenda, poi a un lampione, infine a un’insegna. Nella storia tennistica di Marco Cecchinato vi è un’ostinata capacità di cadere in piedi, non esistono percorsi facili e nemmeno fortunati, ma un innato istinto vitale. È il suo talento. E questa volta gli è valso il riconoscimento, che lo consegna alla piccola storia del tennis nazionale: primo siciliano a vincere un torneo del circuito. Figlio della Palermo più agiata, Marco, ragazzo di mare e sabbia, convinto in cuor suo che gli scogli sia meglio aggirarli. Nel cartellone della sua vita, pero, c’è un padre manager che sente il dovere di scuoterlo. Lo fa mettendogli in tasca i soldi per allontanarlo da Palermo, dove si allena con lo zio Gabriele Palpacelli, poi con Francesco Aldi, tennista da n. 111 ATP. Il padre gli indica una strada più impervia. Così, il tennis di Ceck ricomincia sui monti, all’altro capo della penisola. Caldaro, dove ti parlano in italiano solo dopo averti chiesto se capisci il tedesco. Il Ceck si mette nelle mani di Sartori, coach di Seppi, e comincia da lì una rincorsa che presto si rivela un giro sulle montagne russe. Sale e scende, fra un tennis rotondo, tranquillo, lineare, privo di rabbia e asperità, e un carattere che, quando lo mettono sotto pressione, rivela una vitalità non comune. Come assemblare due meccanismi così antitetici? Coach Sartori pensa che il circuito possa fare da test universitario. Lì, se hai l’istinto di sopravvivere a tutto, puoi sfruttare una dote che a molti manca. Il Ceck ci prova, ma continua a salire e a scendere… [SEGUE]. Marco lo sa e coglie al volo il primo insegnamento: è meglio imparare a fare con quello che ci si può permettere. Dal 2010 al 2015 prova a diventare cattivo in campo. Fuori sembra gli riesca meglio. È appena entrato nei 100 (luglio 2015) e si ritrova sulla testa un’accusa che non fa onore e un processo per presunte scommesse con cinque capi a suo carico. C’è il deferimento e la condanna della Procura federale: 18 mesi di stop. Lui avrebbe il ruolo dell’amico che tiene bordone ad Accardi, tennista che la Procura descrive come “ludopatico”. Marco nega, mai alterato quel match di Mohammedia contro il polacco Majchrzak, che è al centro di tutto. È il 20 luglio 2016. Il Ceck ricorre, la Corte d’Appello federale gli dà parzialmente ragione, i mesi diventano 12, ma cade l’accusa più grave d’illecito. L’ultimo passo è farsi restituire l’integrità sportiva dal Collegio di Garanzia del Coni, la Cassazione. Marco la spunta. E in questi mesi non ha mai smesso di giocare. Un’altra caduta, un’altra resurrezione. Ora Marco si allena con Simone Vagnozzi, tennista da poco passato al coaching. Ha imparato tanto negli anni d’apprendistato, ma continua a complicarsi la vita, e non riesce a mordere. All’inizio del 2018 è lì, al n. 109, con cinque Future e quattro Challenger vinti, ma le asprezze del circuito non riesce a superarle, nemmeno a farsene una ragione… [SEGUE]. La quinta vittoria nei Challenger, a Santiago del Cile, lascia un segno, Marco azzecca tre rimonte importanti, una con Tommy Robredo. A Monte-Carlo batte Dzumhur, 31 ATP, poi tiene in ostaggio Raonic tutto il primo set. E siamo a Budapest, qualificazioni: il Ceck perde con Jurgen Zopp, ma in tabellone da fortunato perdente. Recita la parte che conosce meglio, quello che cade in piedi, batte Basic, ancora Dzumhur, Struff, in semifinale con Seppi ribalta il tie break e nel terzo è inarrestabile. La finale, con Millman, è il match migliore. Nella storia del tennis solo nove hanno vinto da lucky loser… [SEGUE].


L’ascesa di Quinzi. Mai avere fretta (P.G., Tuttosport)

Sembra sia nel circuito da una vita e forse per questo c’è chi lo considerava finito, desaparecido. Gianluigi Quinzi ne ha viste e vissute, ma ha soltanto 22 anni e nel 2013 conquistava Wimbledon junior. Ecco, le aspettative, la voglia italiana di avere un top player una vita dopo Adriano Panatta, hanno offerto all’esterno un’immagine diversa, distorta del ragazzo. Ma Quinzi non si è arreso alle difficoltà. E domenica ha conquistato il suo primo Challenger in carriera, a Francavilla. Siccome ci crede e ha un programma fitto, è già ripartito per Ostrava. Un altro challenger a caccia di punti per una classifica che ieri lo ha visto risalire al n. 265 del mondo. È un passo. E l’emozione della vittoria conta pure di più, inietta fiducia. Così il tennis italiano scopre di avere una generazione di prospettiva: 5 tra i primi 300 (Berrettini 102, Sonego 141, Napolitano 191, Donati 256 e il suddetto Gianluigi 265) hanno 22-23 anni, altri tre premono e sono più giovani (Pellegrino 315, Moroni 358 Baldi 366)… [SEGUE]. Insomma, il ragazzo, come tanti italiani, aveva bisogno di tempo. Ognuno ha il suo.


Cecchinato: “Io, nomade del tennis con Palermo nel cuore” (Tullio Filippone, Repubblica Palermo)

Era poco più di un bambino Marco Cecchinato quando giocava nei campetti del Kalta Club. Poi gli allenamenti “in famiglia” al Tc2 fino al trionfo a Budapest, il primo in un torneo ATP 250, che vale l’ingresso nella top 60 del ranking mondiale, il numero 59, e un posto nella storia della racchetta siciliana. Nessun atleta dell’Isola era mai riuscito a spingersi così in fondo, come ha fatto a soli 25 anni il palermitano Marco Cecchinato, classe ’92. «Fino a 10-12 anni – dice lo zio Gabriele Palpacelli, presidente della Federazione Tennis Sicilia, che gli ha messo la prima racchetta in mano quando aveva sei anni – non era nemmeno tra i primi 4 a livello regionale. Ma Marco ha una forza di carattere straordinaria ed è cresciuto negli anni in modo impressionante». La forza di partire, a soli 17 anni, per “una vita nomade”, sognando una carriera da professionista, nel segno dell’idolo russo Marat Safin. E la forza di rialzarsi, dopo l’incubo delle presunte scommesse da cui è uscito, scagionato, nel dicembre del 2016. “Check”, che era già arrivato al numero 82, è ripartito, con sue le qualità: il servizio potente, un ottimo dritto, il rovescio a una mano e le risposte aggressive. I colpi li ha imparati con il cugino Francesco Palpacelli, ex coach e amore palermitano di Roberta Vinci, che lo ha cresciuto a pane e tennis, prima di consegnarlo nel 2009 a Massimo Sartori, a Caldaro, in Trentino Alto Adige. È nella “cantera” di Sartori e Riccardo Piatti, dove è cresciuto Andreas Seppi, che il talento del Tc2, è diventato un giocatore, con maestri come Francesco Aldi e Christian Brandi, fino all’attuale coach, Simone Vagnozzi. «Adesso faccio base a Bologna – dice Cecchinato – ma mi sposto sempre. Lo scorso inverno, ad esempio, mi sono allenato ad Alicante in Spagna». E Palermo? «Ci torno quando posso, l’ultima volta è stato a Natale – dice il tennista – in città posso staccare un po’ e stare con gli amici, poi vedere la mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto e senza la quale non ce l’avrei fatta. E anche per allenarmi a casa mia, i campi del Tc2». Una vita con la valigia e la racchetta in mano di chi non ha ancora realizzato di essere entrato nella storia del tennis siciliano… [SEGUE].

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