Vinci: "Non sono triste, finalmente vacanza" (Cocchi). Vinci perché sei unica (Azzolini). Roma, l'addio della Vinci: "Non ce la facevo più" (Semeraro). Fognini, Cecchinato e Berrettini: avanti. Vinci, che emozione (Crivelli)

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Vinci: “Non sono triste, finalmente vacanza” (Cocchi). Vinci perché sei unica (Azzolini). Roma, l’addio della Vinci: “Non ce la facevo più” (Semeraro). Fognini, Cecchinato e Berrettini: avanti. Vinci, che emozione (Crivelli)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Vinci «Non sono triste finalmente vacanza»

 

Federica Cocchi, la gazzetta dello sport del 15.05.2018

 

Lo aveva aspettato, desiderato, immaginato e ieri, finalmente, è arrivato. L’ultimo giorno di scuola, quello della festa, l’ultima partita della straordinaria carriera di Roberta Vinci. Lo aveva annunciato quest’inverno: «Giocherò al Foro italico e poi mi ritirerb». La speranza che cambiasse idea è apparsa subito vana, perché Robertina da Taranto, dopo 20 anni e più in giro per il mondo a rincorrere palline gialle, non ne poteva davvero più. GENTE Ieri, nel primo turno del torneo femminile, è stata la croata Aleksandra Krunic, n. 46 del ranking mondiale, a mettere il punto al percorso professionale della Vinci. Come passerella per l’azzurra è stato scelto il Pietrangeli, il campo simbolo del Foro Italico, quello che tutti ricordano grazie alle statue e alle gradinate, quello dove il tifo si sente di più. Vicino, appassionato. E Roberta entra nella sua ultima arena col volto un po’ contratto. Si scioglie quando sente gli applausi, i cori, quando vede gli striscioni e la sua famiglia nel parterre. Parte carica, la Krunic si intimidisce, tanto che cede il primo set 6-2. Dirà Roberta: «Ho pensato… “sta a vedere che devo rigiocare mercoledì”. Non che non volessi eh, perb insomma, ero già preparata ai saluti». E infatti negli altri due set Robi crolla. Come a voler tagliare al più presto quel traguardo così atteso. Finisce 2-6 6-0 6-3 per la serba, che salutando si scusa col pubblico, aria contrita e un paio di «i’m sorry» sinceri, visto il rispetto che tutte le colleghe nutrono verso la Vinci. Il risultato è un insignificante dettaglio di cronaca, quello che conta sono gli abbracci, le lacrime, i sorrisi, la standing ovation che il pubblico del Foro, assiepato tutto attorno al Pietrangeli, tributa alla tarantina. COMMOZIONE Dopo il match, la festa, il ricordo. La Vinci indossa una felpa con scritto Roberta in oro, come un pugile. Guarda le immagini della sua carriera che scorrono sullo schermo. Le vittorie in Fed Cup, i trionfi Slam e le gioie in doppio con Sara Errani che la saluterà via Instagram: «Quello che abbiamo vissuto è incancellabile… Prenditi cura di te Cichi». E poi la storica partita in semifinale all’Us Open 2015 contro Serena Williams, e ancora la finale della stessa edizione con Flavia Pennetta, l’abbraccio a rete con la collega di una vita che le rivela «mi ritiro». L’immagine delle due con i rispettivi trofei, una foto che resterà nella storia del nostro tennis. Forse per la prima volta Robertina si commuove, cerca di tamponare le lacrime prima che sgorghino. Si rende conto che quel lungo match iniziato da bambina a Canneto Beach, è finito. Le danno in mano il microfono e l’emozione le strozza la voce: «Che devo dire? Grazie. Grazie alla mia famiglia che mi ha permesso di avere la vita che volevo, grazie a chi mi è stato vicino. State tranquilli, io non sono triste, sono felice. Finalmente sono in vacanza». E lo scandisce urlando vacanzaaa. ULTIMO SHOW Nella giornata delle ultime volte arriva anche l’ultima conferenza stampa post partita. Un altro sollievo per Roberta. «Dai, fatemi solo domande in italiano ragazzi, che l’inglese non lo so. Fatemi `sto favore». Oggi tutto è permesso, è finita la scuola, mancano solo la pizza e i gavettoni. Le chiediamo come si immagina il primo giorno da ex: «Ancora faccio fatica a realizzare. Mi sento una via di mezzo tra una studentessa che ha appena finito la scuola e uno che va in pensione. Di sicuro domani non punterò la sveglia, non prenoterò un campo di allenamento, non prenderti in mano la racchetta. Ah, che bello». Ma il momento del passaggio, quando l’ultima palla ha toccato terra, non pub essere stato indolore: «Ho provato un misto di tristezza e felicità.

 

Vinci perché sei unica

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 15.05.2018

 

come un’onda anomala il divenire delle emozioni che scorre nel volto e negli occhi di Roberta Vinci, nel giorno atteso di un addio che va oltre ogni protocollo, e la solleva di peso consegnandola all’affetto di Roma. Turbamenti che fluiscono in una lacrima trattenuta, una marea di ricordi che dilaga nelle immagini di una carriera senza eguali e finisce per scuoterla più del match giocato. Lo schermo del Pietrangeli è lassù, dai Roberta, è il gran finale che cercavi: tutti a testa alta Eccola, la volée che si posa leggera sull’angolo sinistro del campo di Serena, prostrata e lontana Eccola, la foto mille volte vista, di Roberta che porta le mani alle orecchie e chiede coraggiosa al pubblico di NewYork un applauso tutto per lei, che sta sottraendo il Grande Slam alla tennista che più di tutte lo meritava Eccole, le azzurre strette intorno alla Fed Cup che Roby ha vinto quattro volte. Scatta la ola del pubblico e strappa l’applauso all’arbitro. Le rose rosse del presidente federale Binaghi, sono ventuno come gli annidi lunga permanenza nel professionismo di una ragazza morbida nei gesti e nei sorrisi, ma dentro dura, costruita nell’acciaio. C’è la famiglia che l’aspetta per il bacio, mamma Luisa e papà Angelo, cé mezza Taranto venuta con i pullman colorati di striscioni, ci sono le avversarie di una vita, la Mladenovic davanti a tutte. Parla italiano, «le ho ammirate per una vita le azzurre, Roberta e Flavia, Francesca e le altre, e infine ho imparato anche un po’ della loro lingua. Mi piacerebbe giocare a tennis come la Vinci». Sentimenti che forse condivide la giovane serba Aleksandra Krunic, ma lei è quella che ha vinto, che ha chiuso la carriera di Roby, e chiede scusa «I’m sorry, I’m sorry, dice agitando la mano verso il pubblico. Roma è stata la prima e l’ultima tappa. Roberta vi giunge a sedici anni, la più piccola del Centro tecnico alle Tre Fontane. Ma vive all’Acquacetosa, e vicino c’è il Parioli, dove si allena una giocatrice da piani alti, Sandrine Testud, francese sposata a un italiano che la porta in giro e le insegna il doppio. Roby ci mette il talento, e a diciotto anni è già nel Master di coppia. Il singolare verrà dopo, con calma, qualche chilo in più e l’esperienza che la rende più solida C’è una novità, nel circuito femminile, e Roberta è troppo smagata per non rendersene conto: quelle che giocano come lei ormai si contano sulle dita di una mano. «Mai fare come tutte», è il motto Vinci. Altre avrebbero imitato le più forti, lei ci dà dentro con il suo stile. Lo perfeziona, dà forma a un rovescio in back che è una lama nel cuore delle avversarie. Uno dei colpi più belli del circuita Di fronte a quel tennis da manuale, rivisto e corretto, modemizzato, molte vanno in confusione. anni dopo pure Serena Williams, nella semifinale degli Us Open che avrebbero dovuto consegnarla a una finale da Grande Slam. Imbambolata di fronte a quello sferruzzare di attacchi, a quel taglia e cuci di palle lunghe e corte. «t stato bello, anche oggi, nella sconfitta. E sarà bello domani, perché sarò ufficialmente, definitivamente, in vacanza. Poi penserò al da farsi». Non è vero, ci ha già pensata Commenterà il tennis in tv? Forse no, «non sono il tipo». E perché mai? «Finirei per essere troppo cattiva con le colleghe». Proverà a insegnare il suo tennis, quello dei gesti che corrono fluidi verso la palla, quello delle smorzate che spariscono fra refoli diventa «Io so giocare», ha sempre detto. Bene, è giunto il momento di insegnare l’arte a qualche bimba del vivaio. Roby sa come si fa. «Ora il percorso è completo». Da Taranto a Roma, passando per Melbourne, Parigi, Wimbledon e New York «Se mi avessero detto che avrei avuto una carriera così, mi sarei messa a ridere». Invece, «è stato un dona», ma guadagnato palla su palla Numero 7 in singolare e numero 1 in doppia Un career Grand Slam di coppia in tre stagioni, con la consulenza di Sara Emani: Roland Garros e Us Open 2012, Australian Open 2013, ancora Australia e Wimbledon 2014. Dieci titoli in singolare, e una sconfitta grande come una vittoria, quella su Serena, che trascinò Roberta alla prima finale tutta italiana, contro Flavia Pennetta, pugliese e amica. Settembre 2015. «Sono stanca, gli ultimi mesi sono stati i più difficili, non avvertivo più neanche la voglia di allenarmi»…

 

Roma, l’addio della Vinci: “Non ce la facevo più”

 

Stefano Semeraro, la stampa del 15.05.2018

 

Per noi erano delizie, per lei anche un lavoro. Tagli di rovescio, smorzate, attacchi in controtempo, un campionario che oggi pochi sanno esporre a richiesta, settimana dopo settimana. Roberta Vinci oltre che finalista agli Us Open nel match tutto azzurro con Flavia Pennetta del 2015 (dopo aver battuto Serena Williams), numero 7 del mondo l’anno dopo, oltre che un pilastro della nostra Fed Cup è stata anche per anni uno dei 10 giocatori al mondo, maschi compresi, che valeva la pena vedere. Pagando il biglietto, alzandosi di notte, dal vivo o davanti alla tv. «Ma non ce la facevo più», ha confessato ieri, microfono in mano, davanti al Pietrangeli farcito di gente e di affetto, dopo aver perso l’ultima partita della carriera in tre set contro la russa Krunic. «E da adesso sono in va-can-zaa…». Si chiama sport professionistico: incanta senza fine chi lo guarda, alla lunga logora chi lo fa. «E ora sono in vacanza» La paga è buona — attorno ai 12 milioni di euro in montepremi, nel suo caso -, la fatica, lo stress, i viaggi, le delusioni cocenti da smaltire da soli, in una camera d’albergo, lontano da casa, sono partite più difficile da contabilizzare. Quella di Roberta è stata una carriera lunga 21 anni, 21 come le rose rosse che eri le hanno offerto in campo, da quando il fuoco si era un po’ spento erano state più le giornate no che le settimane felici, l’appuntamento era fissato da mesi. «Per arrivare qui ho passato momenti difficili», ha detto con la lingua un po’ rallentata dall’emozione, e lo smalto nero sulle unghie. «Sollievo e felicità» «Ma non è lutto, è che il nero sta bene con tutto… Oggi sono stata bene, anche se ho perso. Dopo l’ultimo punto ho provato insieme sollievo, felicità. Un po’ di tristezza. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ero preparata, ma l’ultimo periodo è stato duro: Roma non arrivava mai. Ora mi sento come quando finisce la scuola e iniziano le vacanze. Oppure quando vai in pensione, ma la mia è una vacanza che non durerà per sempre, qualcosa farò. Cosa? Non lo so, però domani di certo non metterò la sveglia e non prenoterò un campo». Se c’è un traguardo per cui vuole essere ricordata, «non è solo la vittoria con Serena, ma soprattutto essere entrata nelle top10: Flavia (Pennetta), Francesca (Schiavone) e Sara (Errani) ce l’avevano fatta, io ero sempre 12, 13, 11, sembrava una maledizione, persino quando si ritirò la Bartoli ma non usciva mai dal ranking… ». Chi è la Vinci del futuro, in questo tennis sempre meno sorprendente? «Non lo so…». Neanche noi, orfani di fantasia. Grazie di tutto, Roberta

 

Fognini, Cecchinato e Berrettini: avanti. Vinci, che emozione

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 15.05.2018

 

Godiamo, dunque, finché il successo bacerà giovani e meno giovani regalandoci giornate da circoletto rosso sul calendario. Quanta grazia, uomini d’Italia: in quattro al 2° turno (tre dalle partite di ieri), col sogno di averne addirittura sei come nel 1990 (oggi giocano Seppi e Baldi) in un torneo che per ambiente e atmosfera ai nostri richiede sempre un surplus di pressioni e adrenalina, magari senza il corredo dei sorrisi finali. Per una volta, gonfiamo i muscoli senza A I MOTIVI Oggi Seppi e Baldi possono portare a sei gli italiani al secondo turno timore, ma con merito e ambizioni: Cecchinato, Berrettini e Fognini, gli eroi del pomeriggio del Pietrangeli e della serata del Centrale, uniscono qualità e forza mentale alle loro vittorie. In alto in calici. SENSAZIONI Fogna non sta bene, lo conferma lui stesso con onestà: la caviglia destra gli fa male e il tendine è infiammato. Il dolore, nell’ultimo mese, si è perciò accompagnato a esibizioni non all’altezza del talento e delle aspettative, e proprio nel viaggio europeo sulla superficie prediletta: Ma preoccupano le condizioni fisiche del ligure che adesso sfida Thiem «La realtà è che per guarire dovrei fermarmi, ma per ora non è un’opzione, perché non posso abbandonare i tornei sul rosso, i miei preferiti. Ma non c’è dubbio che il vero Fognini si sia fermato a prima della Coppa Davis, adesso per come sto mi interessa solo vincere, il modo conta poco». Il disastrato Monfils, che sugli infortuni subiti di recente potrebbe scrivere un trattato di medicina, è messo pure peggio e infatti gli regala un confronto fin troppo morbido, anche se Fabio rimane sempre sul pezzo e non complica mai una partita facile, ottenendo l’89% dei punti con la prima e tagliando il traguardo delle 300 vittorie Atp: «Magari al prossimo turno con Thiem ritroverò le sensazioni che sto cercando, lui sulla terra ha appena battuto Nadal, ma è con avversari del genere che mi piace giocare, anche da acciaccato. Parigi è l’obiettivo più importante, magari miglioro: però poi si sposa mia sorella e sull’erba mi rivedrete solo a Wimbledon». CRESCITA Al Roland Garros ci sarà e nel tabellone dei grandi, pure Berrettini, un bel salto in alto dopo che l’anno scorso rimase fuori di poco dalle qualificazioni. Il premio gli viene comunicato via mail dagli organizzatori, che confermano la rinuncia di Tsonga e dunque l’ingresso trionfale nel tempio. Per festeggiare, Matteo si offre una gran partita contro Tiafoe, il torello del Maryland classe 1998 che in patria profetizzano tra i dominatori del circuito in tempi brevi. Però stavolta le 40 posizioni di differenza (lo statunitense è 63, il nostro 103) sono sterilizzate dalla solidità del ragazzone di casa (si allena all’Aniene con Santopadre), che regge anche fisicamente e legge con sagacia le saette al servizio del rivale, compilando poi nel secondo set un tie break perfetto, con sei punti consecutivi dall’1-1 iniziale. Il Pietrangeli è in sollucchero, e quel nome scandito a lungo dalla gente che non se ne vuole andare è il primo timbro su una carriera destinata a esplodere: «Lo spero, per me giocare a Roma è qualcosa di speciale, ho avvertito subito che avevo feeling con la palla». Matteo sta crescendo con intelligenza, è sensibile e intelligente e ha ragionato sempre passo dopo passo, non dimenticandosi mai il pane duro della gavetta giovanile, come quando in un torneo al Cairo voleva andarsene per la logistica pessima ma poi rimase per rispetto dei genitori che gli avevano pagato il biglietto. Nel cammino verso la gloria attesa, la sfida che lo attende con Zverev diventa un’occasione e non uno spauracchio: «Sarà fondamentale l’approccio, se entrerò in campo rassegnato sarà una sconfitta per il mio spirito, una frenata verso la maturazione. Lui è fortissimo e in fiducia, ma io credo di avere le qualità per metterlo almeno in difficoltà». Eppur si muovono, dopo anni di speranzosa attesa di nuovi protagonisti che restituissero linfa al movimento maschile tricolore, ora finalmente stimolato anche dalla competizione interna, come conferma Matteo a proposito dell’amico Sonego: «Tra noi non c’è rivalità astiosa, ma una sana contrapposizione: lui tira me e io tiro lui, insieme speriamo di ritrovarci in alto». E perfino la generazione di mezzo alza la voce, sull’onda del momento magico di Cecchinato, che tiene fede al nuovo soprannome (Ceck Mate, scacco matto) e si impone di tigna e carattere su Cuevas, califfo del rosso seppur in lieve disarmo….

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