Nadal non si ferma più, suo anche l’XI Roland Garros e sono 17 Slam (Piccardi, Clerici, Semeraro, Crivelli, Lombardo, Scanagatta)

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Nadal non si ferma più, suo anche l’XI Roland Garros e sono 17 Slam (Piccardi, Clerici, Semeraro, Crivelli, Lombardo, Scanagatta)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

 

La terra promessa di Rafa undici volte re di Parigi

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 11.06.18

 

Ora che la storia si è ripetuta uguale a se stessa per l’undicesima volta, u titoli del Roland Garros in 1,3 anni (i tre missing: kappaò con Soderling nel 2009, con Djokovic nel 2o15 e un ritiro nei 2016), i paragoni strabordano per forza dal centrale di Parigi. Valgono di più, tra i vincitori seriali, le 13 Champions League del Real Madrid, i 23 ori olimpici di Michael Phelps, gli 82 successi in Coppa del Mondo di Lindsey Vonn o «la più grande impresa sportiva di sempre», come la definisce Il finalista battuto e frustrato, quel Dominic Thiem che a u anni guardava alla tv il Niño conquistare il suo primo Roland Garros? La risposta di Rafa Nadal, il nevrotico di successo che aggancia Margaret Court (u Australian Open, ma in un paleozoico a cavallo dell’era open, quando fino a Melbourne si spingevano in poche) dopo aver già abbondantemente superato Navratilova e Federer (9 e 8 Wimbledon), sgorga insieme alle lacrime: «Questo non è un sogno: va oltre. E 11 qualcosa che è persino difficile immaginare». La demolizione di Thiem in finale è stata scientifica (6-4, 6-3, 6-2), violenza bruta dentro una partita densa, umida e lenta nell’incedere (2 ore e 42 minuti), giocata a velocità siderale eppure mai vibrante, come se il risultato non fosse in dubbio, nemmeno quando a Rafa sono venuti i crampi al braccione sinistro, autore di 26 colpi vincenti contro i 34 di Thiem però avaro di errori (24 contro 42), il margine che ha fatto la differenza. E entrato il fisioterapista, gli ha massaggiato il flessore e l’estensore da Popeye mentre Nadal si liberava con rabbia dalle fasce ai polsi e alle dita, per permettere al sangue di circolare. «In quel momento ho avuto paura», ha detto. Ma l’uomo sotto pressione, in quel perimetro affollato di vip e granelli di leggenda, era l’altro, l’austriaco romantico che rende omaggio alla fidanzata Kiki Miadenovic sui social («Senza di te la mia vita non sarebbe la stessa»), costretto dalla furia cieca nadaliana a smarrire la misura dei colpi (15 errori di dritto e 20 di rovescio che è arduo definire «non forzati»), a viaggiare stabilmente fuori giri per necessità. Asfissiante da laggiù, da quei 5,27 vittorie a Parigi in 13 anni per Nadal: è record in un Open (Navratilova e Federer hanno 9 e 8 Wimbledon) 3 insuccessi soltanto a Parigi per Nadal: 2009 (k.o. con Soderling), 2015 (k.o con Djokovic), 2016 (ritiro) 17 m dietro la riga di fondo che ha eletto a domicilio, attentissimo a non concedere un millimetro di spazio al rivale, lo spagnolo ha ridotto l’aspirante erede all’impotenza nonostante l’inferiorità nel servizio: la velocità di punta di Thiem (22o km/h), superiore di 4o km a quella di Nadal, ha prodotto 7 ace (a zero) però anche 5 doppi falli, altra zavorm per la missione impossibile dell’austriaco. Il Niño a Parigi ha fatto ciò che ha voluto, incluso prendersi ben più dei 25″ tra i punti ammessi dallo shot clock (un solo, timido, warning). Ma che vuoi dire al campione che qui è di casa, che si è annesso il diciassettesimo Slam (meno 3 dal record di Roger Federer, che torna questa settimana sull’erba di Stoccarda dopo ottanta giorni di vacanza)…

 

Il più grande da quando è nato il mito Roland Garros

 

Gianni Clerici, la repubblica del 11.06.2018

 

Nadal stava vincendo il suo undicesimo Roland Garros, e un mio vicino statistico, al Club, sollevava l’ammirazione dei soci dicendo che, durante simili prodezze nelle 11 finali, aveva perduto in tutto 5 set, e mai era stato costretto una sola volta al quinto. Nell’ascoltarlo contro voglia, perché ero seduto lì vicino, mi domandavo se si potesse dar conto di un ritiro, in favore di Thiem, perché, in quello stesso istante, Rafa stava mostrando una mano al fisioterapista. Una mano con le dita sommerse di cerotti, in cui l’anulare e il medio parevano muoversi con difficoltà, e che Nadal si ostinava senza troppo successo ad attivare. Nel frattempo lo statistico non pareva avvertire il rischio che l’undicesima vittoria sfuggisse al più grande tennista sul rosso dal 1925,l’anno in cui era iniziato il Roland Garros, costruito grazie alle vittorie dei Quattro Mousquetaires in Coppa Davis. Fin li lo spagnolo mi aveva spinto a chiedermi come mai l’austriaco l’avesse battuto recentemente. La risposta che un amico spagnolo mi aveva dato, l’altura, il cattivo umore di un tennista favorevole alla Catalogna e non a Madrid, un rapporto non ideale con l’organizzatore Tiriac, non mi avevano convinto. Il giovane austriaco pretendeva di battere Rafa come gli era riuscito nella capitale spagnola forzando da fondo campo il diritto liftatissimo e cambiando a volte la traiettoria del rovescio, smorzato invece che nell’angolo alla sua destra. Il risultato di ciò, la pretesa di battere Nadal forzando soprattutto il diritto dal fondo, aveva condotto ad un lungo primo set di 54 minuti risolto sullo 0-40 e servizio dell’austriaco, ad un secondo per Rafa, sempre con un break nel secondo disputatissimo game di 12 punti, ed eccoci all’intervento del fisio sulla mano che non pareva più in grado di assecondare il suo padrone. Nadal è tuttavia un individuo diverso. Quell’incidente che avrebbe potuto sollevare dubbi in tutti noi non faceva che aumentarne la determinazione, e dopo un game perduto, ecco giungere 8 punti a 2, e sui 5 games a 2 il gioco finale, al quinto match point. Nell’apoteosi si fa ora un gran parlare e scrivere di Borg, dei suoi 4 consecutivi Roland Garros, dei suoi 4 Us Open mancati per un difetto visivo la sera, dei suoi 5 Wimbledon contro i 2 solidi Rafa. Ma il più grande sulla terra rimane Nadal.

 

 

Parigi ai suoi piedi

 

Stefano Semeraro, il secolo XIX del 11.06.2018

 

Il primo dei finalisti sgranocchiato da Rafa Nadal al Roland Garros è stato l’argentino Mariano Puerta, che oggi ha giusto 40 anni e dopo essersi ritirato fa il maestro in America. L’ultimo, fresco fresco, è Dominic Thiem, 26 anni, da oggi n.7 del mondo, che appena dopo essere stato archiviato come l’l lesimo pretendente respinto (6-4 6-3 6-2), il quarto più malleabile stando al numero dei game rimediati (9, Federer nel 2008 ne raccolse 4) ha confessato, con il sorriso da bravo ragazzo viennese ancora ammaccato dall’urto, che «nel 2005 quando hai vinto per la prima vota, io avevo 11 anni e stavo davanti alla tv». Gli avversari, le generazioni di avversari, passano. Nadal resta. Con la sua grinta, la sua conoscenza assoluta del tennis su terra battuta. I ganci mancini di diritto che deformano il campo, la tigna difensiva che scoraggia gli avversari— anche Quei crampi alla mano La finale è durata un set, il primo, con una extension di incertezza all’inizio del terzo, quando Rafa ha avvertito un crampo alla mano e ha interrotto il game per farsi trattare («Ho avuto paura, non sentivo le dita»). Una nuvoletta passeggera sopra il sole di un match perfetto, «il mio più bello di questo torneo». Si pensava che Thiem, l’unico capace di batterlo sulla terra per due volte negli ultimi 13 mesi, avrebbe potuto impensierirlo — ma era la speranza coltivata da chi, come Ken Rosewall, che ha premiato Rafa in quanto vincitore a Parigi nel 1953 e nel 1968 «sperava di vedere qualche set in più…». Invece no. La Next Generation invece non è ancora pronta, quella di mezzo è già quasi archiviata. Gli ultimi sei Slam li ha vinti una creatura a due teste di 69 anni — i 32 di Rafa più i 37 di Roger — e che chiamano Fedal. Gli altri sono tornati ad accontentarsi. «Giocherò finché reggo» L’ultima impresa di Nadal è probabilmente una delle più grandi nella storia dello sport, non sono del tennis, e l’hanno ammirata dalla tribuna anche Zinedine Zidane e Pau Gasol, due che di immensità sportive se ne intendono, più una leggenda del rock come Roger Waters. Gli vale almeno un’altra settimana da numero 1 (a Stoccarda, sull’erba, mercoledì torna in campo il dioscuro svizzero, che ha appena 100 punti di distacco nel ranking), il 79esimo titolo in assoluto, il 57esimo sul rosso, il quarto del 2018. E il17esimo Slam a 3 di distanza dal solito Federer. «Certo che mi piacerebbe vincerne 20 come lui, ma io non sono uno che bada agli altri, non mi faccio ossessionare dai record», ha ribadito il vecchio Niño di 32 anni dopo essersi asciugato i lucciconi e aver assorbito l’infinita ovazione del Philippe Chatrier — l’ultima che ha risuonato nello stadio che ora sarà demolito e ricostruito. «Ho avuto una grande carriera, e anche tanti infortuni. Giocherò fino a quando mi regge il fisico, fino a quando mi divertirò. Il tennis è importante, ma c’è altro nella vita, il futuro non mi spaventa». Quello immediato spaventa invece gli altri. Compreso, probabilmente, Roger Federer. — *** ll 17 86 Con l’11° trofeo al Roland Garros Nadal eguaglia il record di Margaret Court di più titoli vinti nello stesso Slam (per lei in Australia). Quello di ieri è il 1T titolo di Nadal nello Slam: davanti a lui solo Federer con 20.

 

Nadal fa 11. Il marziano sulla terra

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 11.06.2018

 

Il Re Sole. C’è una luce lassù, irraggiungibile e di incomparabile bellezza. Rossa come il cuore. Rossa come il sangue. Rossa come la passione. Nadal è ancora e sempre al centro della terra, un eroe senza tempo che vinceva da ragazzo, meravigliando il mondo con quel dritto mai visto prima e le tenute colorate, e trionfa adesso che è uomo, come recitano le rughe attorno agli occhi e i segni di mille battaglie e mille ammaccature. Conquistare uno Slam è un traguardo per il quale tutti sarebbero disposti a dare la vita sportiva: senza contare gli altri titoli lui, al Roland Garros, il più difficile e dispendioso, ci è già riuscito 11 volte Solo Margaret Court mise 11 sigilli su un Major, gli Australian Open: ma stiamo parlando di un’altra epoca e di un altro tennis. La preistoria. DIVANO Questo è l’evo di Rafa, cominciato nel 2005 con il successo in quattro set su Puerta e ancora vivo e fremente, con l’eternità che si avvicina e nessuno che possa sottrarlo dal suo regno di ocra e sudore. Thiem non aveva ancora 12 anni, allora, e come tutti i bambini appassionati della racchetta si emozionb davanti alla tv: «Per?) avrei faticato di meno se avessi continuato anche stavolta a rimanere sul divano». Già, se l’immaginava diversa, Dominator, la prima finale Slam in carriera, forte e baldanzoso del ruolo di unico eversore sul rosso del diavolo mancino nelle ultime due stagioni. Non c’è stata partita. Nadal, nella quotidianità, ha paura dei tuoni ma sullo Chatrier, casa sua, è una tempesta che ti avvolge e travolge, soprattutto se non lo tieni lontano dalla riga di fondo cominciando dal servizio. E l’austriaco batte con percentuali troppo povere nel primo set (45%) per non finire scosso dalle angolazioni maiorchine, concede troppe palle break (alla fine ben 17) per resistere alla marea montante di Rafa, non trova *** mai un antidoto alla sua ferale risposta che non gli consente di prendere il controllo. Sotto di due set, spossato da scambi pesantissimi che premiano sempre le cannonate dell’altro e malgrado la fasciatura del polso troppo stretta provochi una lieve perdita di sensibilità alla mano sinistra dell’avversario nel terzo set, Dominic si inchina al suo destino da sconfitto: «Non credo neppure di aver giocato male, ma quello che sta facendo Nadal a Parigi è una delle imprese più grandi della storia dello sport». IN MARE E pensare che dopo il primo successo di 13 anni fa, il teenager Rafael si ritrovò a immaginare per sé un futuro di medio respiro: «Cosa farò quando avrò 30 anni? Sarò a pescare nella mia Maiorca». Domenica scorsa ne ha fatti 32 e per Soderling, uno dei due eletti capaci di sconfiggerlo sulla terra parigina (nel 2009, l’altro è Djokovic nel 2015) e certo non l’amico del cuore, il romanzo è ben lontano dal vedere un epilogo: «Ha una fame che non vedo negli occhi degli altri e si muove meglio di quando era giovane: se rimane in salute, pub tornare qui per altri tre o quattro anni e macinare tutti gli avversari». Perfino l’inesorabile trascorrere delle stagioni, perciò, si è arreso alla ferocia di un guerriero inimitabile: «Non è vero – si schernisce Rafa – contro il tempo devo farci i conti e non posso fermarlo. Per questo mi godo il presente e assaporo questo trionfo, che mi lascia senza parole. Perché sembra tutto così naturale e invece arriva dopo momenti difficili, prima di Montecarlo non giocavo una partita da gennaio. Per questo non sono agitato per il mio futuro, mi preoccuperò quando non sarti più felice di alzarmi al mattino per il tennis». AL ENAMENTI E’ vero, nemmeno gli sfregi di un fisico lacerato da cento e cento sfide senza ritorno sono stati capaci di piegarlo, Rafa non si è mai arreso all’idea che la fine sarebbe arrivata per consunzione. Si lotta fino all’ultima stilla di energia, si cede solo quando scema la passione, perché il coraggio di guardare in faccia il dolore non morirà mai. Proprio vent’anni fa, Parigi festeggiava il successo di un altro figlio dell’isola di Maiorca, Carlos Moya, che adesso è all’angolo di Nadal come coach dopo il distacco da zio Toni (ieri in tribuna). Basta qualche parola di colui che fu il primo spagnolo numero uno del mondo per comprendere da dove sta germinando l’immortalità del pupillo: «Non gli ho mai sentito dire “sono stanco, per oggi basta così”. Si allenerebbe ancora con l’intensità che ci metteva quando aveva 18 anni, a volte sono io a doverlo tenere a freno. Vederlo durante la preparazione è qualcosa di sconvolgente». MILIONARIO Una vita dedicata al proprio sport, scandita nelle ore libere dal legame profondissimo con la famiglia e dai rapporti con gli amici d’infanzia. Se chiedete a chi lo conosce bene e perfino agli avversari che continua a torturare in campo di descrivervi l’uomoNadal, vi dipingeranno un ritratto di enorme rispetto e di profonda umiltà. Anche e soprattutto adesso che è entrato nel ristretto club dei tennisti che hanno guadagnato più di 100 milioni di dollari in carriera di soli premi (grazie ai 2.200.000 euro del trionfo di ieri), perché i soldi non sono mai stati un’ossessione e vengono per la maggior parte investiti nella Fondazione e nell’Accademia. Si è concesso solo un paio di svaghi: l’ormai celebre barca per dormire in mezzo al mare cullato dalle onde e un’Aston Martin di cui si era invaghito nel 2008 a Londra, prima di Wimbledon. Il padre promise che lo avrebbe accompagnato a comprarla se avesse vinto il torneo: non immaginava che due settimane dopo il figliolo sarebbe stato capace di far piangere Federer sui prati più amati. FORTUNA Quel Roger con cui sta marchiando un avvio di secolo irripetibile, con il quale si è spartito equamente gli ultimi sei Slam dagli Australian Open 2017 e da cui lo separano adesso solo tre Major (17 a 20), prima che la rivalità rifiorisca sull’erba e, più che altrove, sul cemento americano. Rafa intanto mantiene il numero uno del mondo, che l’arcirivale pub sottrargli già questa settimana a Stoccarda se raggiungerà la finale. Un duello che ha fermato la storia, ma che nei numeri non lo appassiona: «Ancora una volta, lasciatemi godere questa coppa. Certo, sono ambizioso, voglio sempre fare al meglio il mio lavoro, ma non sono il tipo di persona che invidia gli altri se hanno di più: perché c’è sempre qualcuno che possiede più cose di te e se ci pensi finisci per diventare frustrato.

 

Nadal, leggenda a Parigi È il suo trionfo numero 11

 

 

Marco Lombardo, il giornale del 11.06.2018

 

 

A «Voi non capite quanto sia difficile vincere un torneo lungo due settimane»: lo diceva Boris Becker, quando allenava un Novak Djokovic impossibile da fermare. «Ti può succedere qualsiasi cosa: una mattina ti svegli col piede sbagliato, un litigio con la fidanzata o la moglie che ti fa pensare ad altro, un raffreddore che ti prende all’improvviso, una storta quando meno te lo aspetti… Vincere uno Slam è una cosa da matti». Ecco allora cerchiamo di capire cosa vuol dire vincerne undici nello stesso posto – dal 2005 ad oggi – e altri sei altrove per un conto che adesso fa 17. Cerchiamo di capire quanto Rafa Nadal abbia fatto nel tennis moderno. E in quello di tutti i tempi. Il numero uno di sempre sulla terra rossa ha trionfato ancora, insomma. E l’ha fatto «giocando la mia miglior partita di quest’anno al Roland Garros». Proprio infatti quando serve a un campione. Dominic Thiem ce l’ha messa tutta, in fondo era lui l’unico quest’anno ad averlo battuto, e due volte, sul clay. E si può anche dire che abbia giocato una buona partita: per questo il risultato finale (6-4, 6-3, 6-2) fa ancora più impressione, perché Rafa ha mostrato il suo dominio quando molti pensavano che fosse la volta buona per trovargli un avversario credibile sulla superficie preferita. E invece i numeri parlano chiaro: in 86 match giocati in camera nello Slam francese, Nadal ne ha persi solo 2; nel conteggio delle partite giocate tre su cinque sul rosso siamo a 111 contro 2; e ancora: questo è il cinquantasettesimo torneo vinto sulla superficie preferita dei 78 totali. Non c’è altra da dire, c’è solo l’ovazione finale quando Thiem sbaglia di poco l’ultimo colpo dopo essersi salvato già da quattro match point: «Il tennis ha bisogno di campioni come Dominic – dice alla fine con la solita eleganza Rafa – è un buon amico e un grande giocatore. A metà del terzo set ho avuto paura perché mi sono venuti i crampi e lui mi stava portando al limite: c’era grandissima umidità e ho rischiato. Adesso non so neanche descrivere le mie emozioni: undici volte è qualcosa di impossibile». La prima, tra l’altro, senza lo zio Toni nei box, ma con l’amico-coach Carlos Moya: «E il più straordinario atleta di sempre in ogni sport» lo celebrerà alla fine Dominic. Mentre Nadal, dopo aver alzato ancora una volta al cielo la Coppa dei Moschettieri, mostra l’umiltà che lo rende grandissimo finendo in lacrime, come se per lui vincere fosse qualcosa di straordinario. Perché in effetti per lui lo è. E adesso si riparte, ancora una volta, nella sfida con Federer che torna in campo a Stoccarda per preparare Wimbledon: dall’Open d’Australia 2017 ad oggi Rafa e Roger si sono spartiti gli Slam come una volta, un dominio irripetibile che ci fa capire in questo caso la fortuna di aver vissuto l’era di una rivalità così incredibile. Così com’è incredibile la conferma all’indiscrezione arrivata sabato dal sito italiano Sportsenators che riguarda il nuovo contratto di sponsorizzazione dello svizzero: Federer, 37 anni, dovrebbe vestire “Uniqlo” per i prossimi 10 a fronte di 30 milioni di euro d’ingaggio. Nadal, che di anni ne ha 32, ieri ha detto: «Sono sicuro: un giorno toccherà a Thiem». Che, con faccia scura, si chiedeva: sì, ma quando?

 

Infinito Nadal. Undici volte re di Parigi

 

Ubaldo Scanagatta, il quotidiano nazionale del 11.06.2018

 

E’ stato ancora una volta, per l’undicesima in final, un Rafa Nadal imperial, fenomenal, brutal, special, sensational, triunfal. E ora quasi irreal. Ma anche, inevitabilmente, è stata la conclusione più… natural. Undici finali a Parigi senza perderne una. Mai trascinato al quinto set, in sei finali ha concesso un set, in altre cinque neppur quello. Anche ieri contro il pur irriducibile austriaco Dominic Thiem che pure ci ha provato fino all’ultimo, il campione di Manacor, ha vinto in tre set. Un punteggio discendente e disarmante: 64 63 62. L’anno scorso in semi Thiem aveva perso 63 64 60. Quattro volte Federer, due volte Djokovic, una volta Puerta, Soderling, Ferrer e un anno fa Wawrinka si sono tutti dovuti arrendere al re tiranno. Thiem aveva annunciato “Ho un piano per battere Rafa” e siccome in passato tre volte c’era riuscito aveva facoltà di illudersi. Sennonchè come è entrato in campo ha perso subito i primi sei punti, otto dei primi nove, e il servizio. Da lì in poi è stato un inseguimento senza speranza. Non ha più visto Rafa neppure nei rettilinei. Una sola volta è riuscito a prendergli il servizio, ma sul 5-4 è stato lui a cederlo di nuovo. La missione che si preannunciava impossibile si è presto confermata tale. Per Rafa è il 17esimo Slam. Sono 3 di meno dei 20 di Roger Federer che sarebbe ritornato n.1 se Rafa ieri avesse perso. Al NADAL è imbattibile sulla terra rossa perché, anche se tutti si soffermano sulle sue qualità fisiche e il dritto mancino, gli aspetti più percepibili, lui ha nel braccio una forza enorme che gli consente di tirare fortissimo e lunghissismo anche da lontano. Fino a qualche anno fa Rafa aspettava i servizi a 3 metri e 24 di media oltre la linea di fondo. Ora se ne sta a 4 m e 57. Riesce a tirar forte e lungo lo stesso e a darsi il tempo per avvicinarsi poi alla riga facendo arretrare gli avversari per cominciare a mulinare con il suo dritto. E chi gli sta davanti può solo fare il tergicristallo. Sarebbe poi un errore trascurare l’intelligenza tattica di Rafa. Non fa mai una scelta sbagliata. Qui ha perso solo un match con Soderling nel 2009 e uno con Djokovic nel 2015. Sulla distanza dei 3 su cinque ne ha vinti — sul “rosso” —111 su 113.

 

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