Cecchinato riparte da Eastbourne: "Sull'erba niente da stravolgere"

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Cecchinato riparte da Eastbourne: “Sull’erba niente da stravolgere”

Dal silenzio sul passato giudiziario alle nuovi ambizioni: “Giocare sull’erba mi diverte, e sul cemento sono già competitivo”. Tra gli idoli Safin e Kakà, esuberante come la sua isola

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La carriera di Marco Cecchinato è cambiata in quaranta giorni, come può accadere solo a chi fa qualcosa di molto grande. Vincere un titolo da lucky loser e poi raggiungere la semifinale di uno Slam, per esempio, da perfetto sconosciuto. Incontrare il proprio idolo. Entrare tra i primi 30 giocatori del mondo e aggiudicarsi una testa di serie per lo Slam successivo, un torneo a malapena assaggiato dodici mesi fa contro Nishikori. Vedersi assalito da proposte di sponsorizzazione da parte di diversi marchi, come confermato negli scorsi giorni dal manager Luigi Sangermano, salvo rimandare ogni decisione a fine stagione per concentrarsi sul tennis giocato. Sul presente.

Nel passato di Marco Cecchinato non c’è però soltanto il tennis giocato. C’è una brutta pagina, che il palermitano ritiene di avere il diritto di non leggere più, quantomeno in pubblico. “Non ne voglio parlare” è quanto si sono sentiti ripetere i cronisti presenti al Roland Garros, dai meno scafati fino a Ben Rothenberg del New York Times. Qualcuno in federazione ha storto il naso, ritenendo fuori luogo questa serie di domande troppo assillanti in concomitanza di un risultato sportivo fuori portata da quarant’anni per l’Italtennis. Come non fosse compito del giornalismo presentare la verità per quella che è, anche se a volte può risultare spiacevole. Se di quella storiaccia sembravano aver perso memoria persino quelli che il tennis lo seguono assiduamente, poi, figurarsi quelli che si sono accorti dell’esistenza di Cecchinato per la prima volta a Parigi. È ragionevole credere che avessero il diritto di saperne di più, magari proprio dal diretto interessato. Che invece ha scelto il silenzio.

La storiaccia riguarda un processo sportivo lungo e intorcigliato. Cecchinato è stato accusato di aver alterato il risultato di un proprio incontro (a Mohammedia nel 2015) e favorito di conseguenza la puntata dell’amico Riccardo Accardi, nonché di aver lasciato trapelare informazioni (a fini bettistici) su Seppi durante il Roland Garros dello stesso anno. Circostanza ammessa dallo stesso Cecchinato, che ha però giurato di aver divulgato notizie che erano già di dominio pubblico. Nei fatti però, nonostante una prima squalifica di 18 mesi poi ridotti a 12, il tennista palermitano non è mai stato costretto a dismettere l’attività agonistica. A decidere il procedimento in suo favore sono stati due grossi errori giudiziariIl primo commesso dalla Procura Federale, organo inquirente, che pur avendo riscontrato l’evidenza che Cecchinato scommettesse anche sul tennis non ha ‘posto la questione’ e ha così impedito che gli venisse contestato l’illecito sportivo in fase di giudizio; il secondo dal Tribunale Federale, che non ha emesso la sentenza entro i termini previsti (90 giorni dall’inizio delle indagini) provocando la definitiva estinzione del processo.

Si può essere certi che Cecchinato fosse colpevole? No, è pretestuoso affermarlo. Ma l’evidenza degli atti indica che il procedimento è stato estinto esclusivamente per vizi procedurali, e non perché la verità giudiziaria abbia confermato l’innocenza dell’imputato. Questo non sposta di una virgola la portata dell’impresa parigina di Marco Cecchinato, non la rende meno bella né meno degna di essere raccontata, è semplicemente una parte della storia. E le storie vanno raccontate per intero, così come si scava nell’infanzia dei campioni per cercare aneddoti in grado di renderli più umani, più vicini a noi. Il processo è lo stesso, l’impeto di verità il medesimo, e non deve cambiare in ragione del risultato più o meno edificante che ci si attende di raggiungere.

Ora c’è la parte di storia che speriamo Marco Cecchinato possa continuare a scrivere. Il suo presente ripartirà da Eastbourne. Dopo una settimana di assoluto relax a Porto Cervo, per sua stessa ammissione a debita distanza dalla racchetta, il palermitano ha ripreso ad allenarsi sui campi bolognesi del Cierrebi Club. Come ha raccontato a Stefano Semeraro in un’intervista per il Corriere dello SportBologna è la sua città d’adozione: “Bellissima città, ci sto benissimo. Mi sento adottato: sono due anni che mi alleno qui e da sei mesi lavoro con Umberto Ferrara, il mio preparatore, che è di Bologna. Quando sono qui sto a casa sua“. La città dei portici è anche quella in cui ha sperimentato i primi effetti della notorietà. “Sono orgoglioso di aver riacceso l’interesse per il tennis in Italia (chissà cosa ne pensa Fognini, ndr), in fondo uno dei miei obiettivi sin da piccolo era vincere e diventare famoso“.

Una breve parentesi emiliana prima di volare alla volta di Devonshire Park, sede del Nature Valley International, torneo nel quale Marco Cecchinato giocherà appena il suo secondo incontro in carriera su erba. “Giocherò a Eastbourne dove sono in tabellone anche in doppio con Seppi“, ha confermato il siciliano che dovrebbe rientrare tra le prime quattro teste di serie e beneficiare quindi di un bye; l’atteggiamento è positivo e si augura di “giocare tanti match per arrivare in buona condizione a Wimbledon“. Nonostante la scarsa esperienza con la superficie, le sensazioni sono positive: “Sull’erba non c’è niente da stravolgere, semmai adattare. Giocare sull’erba mi diverte e comunque non mi voglio accontentare. Quest’anno mi sono messo in gioco per migliorare tutti i colpi“.

Marco è un ragazzo esuberante. È apparso chiaro a Parigi, quando ha detto di sentirsi in grado di battere Djokovic – e poi lo ha fatto davvero – o quando ha reagito con una smorfia al paragone tra il suo rovescio e quello di Kuerten, rispondendo di ‘voler assomigliare solo a Cecchinato‘. La presunzione non è solo indicata ma anche necessaria per raggiungere certi traguardi, ma serve trovare la corretta miscela con l’umiltà. Sembra una rivisitazione del paradosso di Russell, e per certi versi lo è. Alla fine è il campo a decretare la verità, e l’esuberanza può diventare una dote in più quando si traduce in vittorie o un pericoloso boomerang se il campo risponde… picche. Di sicuro c’è una componente infantile – e per questo vitale – in Marco Cecchinato. Il genuino imbarazzo di fronte a Marat Safin, l’ammissione di essersi emozionato più che per ogni altro messaggio di congratulazioni per quello di Kakà, il suo idolo calcistico. Il regalo per la ragazza Gaia – sarà un gioiello, l’ha già scelto – della cui consegna sarà teatro probabilmente Wimbledon. Ma ‘vediamo se mi comporto bene’, tentenna Marco. Non si capisce esattamente cosa intenda.

Una cosa è certa, tornando al tennis. La nobilitade di Cecchinato non si parrà certo durante la striminzita parentesi erbivora. Sarà il cemento, superficie principale del circuito ATP, a dirci dove può arrivare il palermitano. “Sul cemento credo di essere già competitivo, ho giocato match molto buoni contro ottimi giocatori” assicura lui, ma la terra battuta può diventare una mamma iperaffettiva dalle cui braccia è difficile divincolarsi. La programmazione post-Wimbledon lo conferma: Marco si è iscritto ai tornei di Umago (16 luglio) e Amburgo (23 luglio), rinviando la transizione verso il cemento al mese di agosto. Poi però non ci sarà altra terra fino al febbraio successivo, e per rimanere a galla – leggasi mantenere la top 50 – toccherà imparare a fare punti anche dove la pallina corre più veloce. No other way, caro Marco. Vediamo cos’altro sai fare.

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