Giorgi s'illude e cade, la regina è sempre Serena (Piccardi). Camila è già oltre Serena: "Ora punto sull'America" ​​(Rossi). Camila se ne va Serena (Azzolini). Camila sbatte su Serena: "Ma ora ho un piano B" (Lombardo). Camila dura un set. Poi mamma Serena torna una pantera (Semerano)

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Giorgi s’illude e cade, la regina è sempre Serena (Piccardi). Camila è già oltre Serena: “Ora punto sull’America” ​​(Rossi). Camila se ne va Serena (Azzolini). Camila sbatte su Serena: “Ma ora ho un piano B” (Lombardo). Camila dura un set. Poi mamma Serena torna una pantera (Semerano)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

Giorgi s’illude e cade, la regina è sempre Serena (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Chissà che giocatrice sarebbe diventata Camila Giorgi con un vero coach accanto (e papà Sergio come tutor), un rovescio in back dignitoso, qualche volée tradizionale nel bagaglio e quella palla corta con cui a Parigi Marco Cecchinato ha flagellato Novak Djokovic. A Wimbledon la storia non deraglia ed è un peccato, perché una Serena Williams post partum nei quarti di finale non si affronta tutti gli anni. «Ma io sono contenta, ho giocato ad alto livello e con continuità, parto per i tornei americani con la consapevolezza di quanto valgo» dice l’azzurra che lunedì entrerà nelle top-35 mentre, forse, Serenona avrà agguantato Margaret Court nei titoli Slam (24). Poteva essere leggenda e invece è il racconto di tre set sul centrale contro la più grande di sempre, fisicamente il triplo di Camila, vestita con un tutù di pizzo disegnato da mamma Claudia (sfida del look stravinta) e armata del solito piano tattico affidato alle leggi del caso: colpire ogni palla come se fosse l’ultima, o la va o la spacca. Attaccata all’arma bianca da ogni angolo, costretta a un tennis difensivo a cui non è abituata, la Williams nel primo set va in tilt: break di Camila al sesto game (4-2) con rovescio svirgolato dall’americana, quattro palle del contro break annullate con coraggio (alla ragazza, che spesso viaggia ai confini dell’incoscienza, non manca), 6-3 intascato con il solito volto immobile («Non sono una che si emoziona facilmente»), uguale che vinca o perda… [SEGUE]. Calano le percentuali al servizio di Camila (53%, troppo poco a questi livelli, 6 doppi falli), salgono quelle di Serena (71% con l’81% di punti ottenuti sulla prima) e il match cambia strada («Mai pensato di essere in pericolo» dirà l’americana). 3-1, 5-2, 6-3 il secondo set; break a zero sul 2-1 nel terzo, 4-2, 6-4, la Williams scala marcia e non si fa più riprendere: «È un sogno essere di nuovo in semifinale». Sembra voler dire qualcosa a Camila a rete, forse le parole dolci che le ha riservato prima e dopo («Avversaria pericolosa, strabiliante la sua potenza essendo così piccolina»), ma Giorgi non ha tempo da perdere. Volta la testa, esce senza un saluto né un autografo. «Non gioco a tennis per fare amicizia, non interagisco mai troppo con la gente» spiega. Sarà. Però c’è più umanità nello sguardo mammoso di Serena, che al quarto torneo dopo il parto resta in carreggiata per l’impresa da dedicare alla piccola Olympia, che qui a Londra ha mosso i primi passi. «Ero ad allenarmi e non me lo perdono: quando l’ho saputo, ho pianto».


Camila è già oltre Serena: “Ora punto sull’America” (Paolo Rossi, Repubblica)

Giocare ai propri limiti, prendersi gli applausi ma non il premio. Camila Giorgi si ferma sul più bello, dopo aver accarezzato l’idea dell’approdo nella semifinale di Wimbledon: aveva preparato bene, a modo suo, la sfida contro Serena Williams, si era portata in vantaggio, aveva sperato, si era illusa. L’azzurra aveva esibito un tennis ineccepibile, in una partita tesa con l’atmosfera da finale, dove entrambe le tenniste mostravano un’attenzione totale. L’azzurra aveva sorpreso il Centrale di Wimbledon, confermando la sua sfacciataggine, dovuta alle parole della vigilia «io gioco il mio tennis e stop, non mi emoziona Serena, non mi emoziona il Centrale». Era tutto vero: zero sudditanza psicologica, nessun timore reverenziale. Il tennis “pum pum”, nient’altro. E il suo «tennis semplice, perché io non penso» ha funzionato: nei 35 minuti del primo set, l’azzurra ha tolto il servizio all’americana nell’unica occasione offertale, e ha chiuso 6-3… [SEGUE]. Serena Williams ci ha messo un maggiore impegno, si è applicata ulteriormente, nell’esatto momento in cui Camila Giorgi ha accusato un impercettibile calo. Risultato? Un altro set gemello, esattamente di altri 35 minuti, con lo stesso risultato. Ma a favore di Serena. Una partita allo specchio, con due tenniste impegnate nella gara di chi tira più forte. Null’altro. Nessun’altra strategia. Un match senza una smorzata voluta, strategica. In questo ping pong sull’erba non poteva che prevalere quella più muscolare, più esperta, forse più desiderosa: Serena Williams. Ha ricordato quanto il servizio sia importante e, alla fine, ha ceduto solo 14 punticini. «Io ho servito bene, sapevo di doverlo fare perché lei ha delle risposte aggressive, ma magari sbagliava anche perché prendeva rischi» ha spiegato Serena, che continua la sua scalata alla classifica (ora n. 51, se vince Wimbledon diventa n.19). E la Giorgi? «Sono felice per come ho giocato. Sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato, allenandomi bene e giocando con continuità. Non sono arrabbiata, non sono delusa. Ora punto sui tornei americani: li giocherò tutti quanti». Guardare sempre avanti, forse anche questa è la ricetta della felicità.


Camila se ne va Serena (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Non è mai un problema, perdere con Serena Williams. Una come lei offre scuse a non finire, una lista lunga quanto il suo curriculum di giocatrice aliena, giunta dallo spazio venti anni fa a mostrarci il futuro del tennis. Avrebbe l’imbarazzo della scelta, la nostra Camila, potrebbe raccontarci che Serenona tira troppo forte, che ha una presenza di spirito forgiata nel minerale più resistente, che sa come gestire ogni momento del match, e riceverebbe comunque il conforto di chiunque sia interessato alle sue sorti e a quelle del nostro tennis. Ha perso con la Regina, in fondo, e dunque, che male c’è? Nessuno, infatti. E a dire il vero, Camila Giorgi non cerca neanche troppe scuse. È convinta di aver giocato un match generoso e di aver mostrato ancora una volta quelle doti di continuità e di sostanza tennistica che da questi Championships sembra abbia fatto sue, definitivamente, utili per dare una forma migliore di quella che è stata finora la sua avventura nel tennis. «Tornerò vicina al numero trenta», valuta Camila, «nei prossimi tornei, Us Open compresi, potrò essere fra le teste di serie. Non sono contenta della sconfitta, ma penso di aver dato tutto e di aver limitato gli errori. Posso fare meglio, ma in questo torneo ho trovato cose importanti». Ha persino dato forma a un primo set molto complicato per Serena, che era scesa in campo con una traccia tattica ben precisa, poi in realtà dimostratasi azzeccata. Ma in quel primo approccio, gli scambi veloci, angolati e le improvvise discese a rete che Camila proponeva, avevano fatto breccia nel gioco dell’americana, la costringevano a rincorrere, ad affrettarsi, che è quello che le riesce meno bene, ora che le forme pingui della maternità la costringono a faticare di più e ne hanno ridotto la rapidità dei movimenti. Ma alla fine, il piano tattico di Serena ha trovato l’applicazione prevista, e ha scardinato il gioco di Camila. Perso il primo, mamma Williams ha accentuato la potenza sul primo colpo di ogni punto, arrivando a sparare sberle che sembravano colpi di obice. Su quelli, violentissimi e quasi sempre molto ben piazzati, Camila era costretta a rispondere alla meglio, e a concedere a Serena lo sviluppo del gioco, che l’americana tendeva a ridurre all’essenziale. Tre colpi e via, in modo da evitare che Camila entrasse nello scambio. Anche a costo di commettere qualche errore di troppo. «Avrei dovuto essere più aggressiva in certi momenti del match», è l’unico appunto che la Giorgi è disposta a farsi, «ma lei non mi lasciava molto spazio di manovra». C’è una mamma in semifinale, dunque. Serenona, mammona… Non è una novità, ma resta comunque un’impresa, di quelle che invitano a scriverne con affetto. Tanto più dopo un ritorno così rapido ai piani alti del tennis, da parte di un’atleta ormai trentaseienne. Erano sei le mamme al via di questi Championships, Serena e la Rodina, la tedesca Maria e la lussemburghese Minella, la russa Zvonareva e la bielorussa Azarenka. Ma Serena ha avuto una figlia appena dieci mesi fa, e se dovesse vincere finirebbe per aggiungere una nuova pagina al romanzo del tennis. Solo Margaret Court fece qualcosa di più e forse di meglio, aggiudicandosi gli Us Open sei mesi dopo la nascita del primo figlio, Daniel. Aveva trent’anni, però… Da mamma (lo divenne nel 1976) vinse due Slam Donne Goolagong gli Australian Open del 1977 e Wimbledon nel 1980. Nel tennis del dopo guerra non vi sono altri casi, e per i precedenti occorre scorrere gli almanacchi fino ai primordi del tennis delle donne. Mamma Serena è in lizza per un posto nella storia anche in questo particolare aspetto delle competizioni al femminile… [SEGUE].


Camila sbatte su Serena: «Ma ora ho un piano B» (Marco Lombardo, Giornale)

…[…]… Camila Giorgi ci ha raccontato che il tennis è solo un lavoro e che fuori di lì c’è un’altra vita. È vero insomma, adesso qualcuno l’ha visto, ma non si può dire che essere sul quel campo, in quel momento, e giocare così bene davanti alla più forte di tutte sia solo una giornata per sbarcare il lunario. Ci ha creduto Camila, e ci abbiamo creduto tutti. Tre quarti d’ora perfetti, una prima palla implacabile, Serena che gioca quasi da ferma e che non riesce a trovare la chiave per fermarla: «Non mi sono sorpresa di quanto Camila tiri forte, lo sapevo – dirà poi -. E in fondo è solo il mio quarto torneo da quando sono rientrata. Se vinco sono contenta, se perdo è quasi normale». Però non ha perso. Camila Giorgi non sarà insomma la prima semifinalista italiana sull’erba più bella del mondo: il tabellone alla fine racconta un 3-6, 6-3, 6-4 che le rende onore, ma quando i doppi falli sono diventati più degli ace, quando la Williams ha cominciato a servire pallate, la giornata di colpo è cambiata. C’era anche (stavolta davvero) papà Sergio in tribuna che friggeva sulla sedia vicino al Royal Box, e chissà dov’era quel ragazzo a soffrire: Camila alla fine è uscita dal campo senza neanche aspettare la rivale, dopo una stretta di mano fredda e repentina. Chissà, magari vincere o meno non è così una questione ininfluente, se è vero che Serena anche a questo riguardo ha qualcosa da insegnare: «Io odio perdere, si sa. Ma adesso che ho una figlia so anche che voglio essere un modello per lei». Ci sarà un’altra occasione per dimostrarlo pure per Camila, che ha armi e suo malgrado il tennis, sempre se saprà cedere al suo carattere inflessibile. Per adesso ci accontentiamo di un sogno svanito e delle solite poche (ma un po’ di più) parole per raccontarlo: «Ho giocato bene, sono contenta. Alla fine sono uscita in quel modo dal campo perché lo faccio sempre, anche quando vinco: saluto l’avversaria, l’arbitro e via. Serena voleva dirmi qualcosa? Non potevo mica saperlo. Certo: non si può non essere arrabbiati, ma ho capito che posso lottare con le più forti. E per il futuro sono ottimista: gioco meglio, ho qualche variante, ho un piano B…»[SEGUE].


Camila dura un set. Poi mamma Serena torna una pantera (Stefano Semerano, Stampa)

Nel tennis puoi perdere un partita per un punto o per la vita che ci sta dietro, Camila Giorgi contro Serena Williams l’ha persa per entrambi i motivi. Nessuna italiana è mai arrivata in semifinale a Wimbledon, a Camila è mancato un set (3-6 6-3 6-4). Il primo lo ha vinto volando sull’erba, sbattendo di qua e di là Serena, mamma Serena, che dopo il parto non è ancora lei: rauca, impacciata, lenta, infuriata, la Pantera; apparentemente impotente. Tira zampate, ma da ferma. All’inizio del secondo, la sliding door, il perno della giornata: 1-1 e 15-30 servizio Williams, Camila ha sul rovescio, e un rovescio facile, a campo aperto, negli immediati dintorni della rete, la palla che la porterebbe a due palle break con vista semifinali. Ma lo manda lungo, una spanna: 30 pari, e sembra niente, invece l’ingranaggio Serena si rimette in modo, quello della Giorgi si inceppa. Camila, che a quel momento ha servito 5 ace, al game successivo cede il servizio in fretta, ed è tutto quello che basta a Serena, che ha capito e deciso che da lì in poi si scambierà il meno possibile, aggredendo l’aggredibile, dentro o fuori, perché io sono io e tu fammi vedere quello che vali, ragazzina. Così dopo un’ora e 10 la ex Number One pareggia il conto, e a inizio del terzo piazza l’artigliata definitiva, profonda, ristrappando, questa volta a zero, il servizio all’avversaria. E lo difende il suo come farebbe una pantera vera con il cucciolo preferito: 3 punti persi in 5 turni, l’81% con la prima palla, e poi orgoglio, classe, quel che volete. Il peso di una vita passata a vincere, contro l’insostenibile leggerezza di chi crede che la vittoria sia una variabile indipendente dagli altri. Camila è uscita dal Centre Court senza neanche aspettare l’avversaria («Ma faccio così anche quando vinco. Perché penso di aver perso? Non lo so, io non penso tanto…»), da lunedì sarà 34 del mondo… [SEGUE].

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