Numeri
Dominio Fab e la speranza Giorgi: Wimbledon dà i numeri
Le prime volte tra gli uomini, gli psicodrammi tra le donne. E gli azzurri che avrebbero potuto fare meglio

2 – i tennisti nel singolare maschile di questo Wimbledon – Mackenzie McDonald, classe 95, e Stefanos Tsitsipas, nato nel 98 – ad essere arrivati per la prima volta agli ottavi in un Major. Nei quarti di questi Championships 2018 le tradizionali gerarchie sono state ancor di più rispettate che nella precedente parte del torneo: non era presente nemmeno un giocatore nato dal 1991 in poi (Milos Raonic, il più giovane degli otto, è del dicembre 1990), ben cinque tennisti erano over 30 e i restanti due (Nishikori e Del Potro) erano in procinto di divenire trentenni. Va in archivio un’edizione del singolare maschile di Wimbledon spettacolare nelle fasi finali, rivelatasi anche “conservatrice” dal punto di vista dei protagonisti proposti nelle fasi calde del torneo, al netto degli harakiri di Cilic e, soprattutto, Federer. Una caratteristica di questa edizione confermata anche da un altro dato: ben sette dei tennisti (faceva eccezione Isner) giunti ai quarti avevano già giocato almeno una finale Slam. Si sa del resto, che Wimbledon ha gran rispetto per il rispetto delle tradizioni.
3 – i soli Majors nei quali Garbine Muguruza è riuscita ad arrivare quantomeno nei quarti, dopo aver vinto il primo Slam della sua carriera a Parigi nel giugno 2016. La vittoria in finale su Serena sembrava la definitiva consacrazione ad altissimi livelli della spagnola di origine venezuelana. Invece, nei successivi nove Slam giocati, l’ex numero 1 al mondo ha deluso con sconfitte assolutamente inspiegabili rispetto al suo grande valore: fatta eccezione per il grande successo a Wimbledon 2017, capace di lanciarla sino al primato in classifica, per ben quattro volte Garbine si è fermata già al secondo turno, di cui ben due quest’anno. A gennaio a Melbourne aveva perso da Su-Wei Hsieh, all’epoca 88 WTA; a Londra dieci giorni fa ha ceduto invece alla Van Uytvanck, 46 WTA. Sconfitte che confermano la grande discontinuità della spagnola classe ’93, sempre incapace di fare il salto di qualità definitivo (anche dopo la sua prima finale Slam a Wimbledon 2015, prima di vincere a Parigi l’anno successivo, era incappata in due sconfitte molto premature a New York e Melbourne).
4 – i giocatori capaci di vincere Wimbledon nelle ultime sedici edizioni. Dopo l’inarrivabile Federer (8 titoli e 3 finali a Wimbledon, 179 vittorie e 27 sconfitte nelle partite giocate su erba, per una percentuale di successi pari all’87%) anche i numeri confermano quanto suggerito dalle ultime due settimane. Il secondo gradino del podio appartiene infatti a Djokovic (4 titoli e una finale a Church Road, nonché la seconda migliore percentuale di successi sull’erba tra i protagonisti dell’ultimo quindicennio presi in considerazione, grazie alle 88 vittorie e 18 sconfitte rimediate in carriera, pari all’83%). Nadal (2 titoli e 3 finali, 66 v/19s, corrispondenti al 77% di successi) e Murray (2 titoli e una finale, con un lusinghiero 81% di vittorie derivanti da 110 vittorie e 25 sconfitte sui prati) completano, ancor più che in qualunque altro torneo, i nomi di chi ha monopolizzato l’albo d’oro dei Championships.
Dal 2003, anno del primo successo di Federer, gli ormai celeberrimi Fab Four si sono divisi i successi a Church Road e giocato tra loro la metà delle finali (ben otto). Solo altri sei tennisti sono stati così bravi da giungere quantomeno in finale: Philippousis (58-30, 66%), Roddick, capace di arrivarci ben tre volte (86-22, 80%), Berdych (67-30, 69%), Raonic (42-20, 68%), Cilic (66-27, 71%) e, quest’anno, Anderson (46-29, 61 %, la percentuale più bassa tra chi dal 2003 è arrivato a giocare la seconda domenica). Il tennis resterà uno sport stupendo anche quando appenderanno le racchette al chiodo, ma quanto ci mancheranno i Fab Four!
5 – le eliminazioni, in 35 secondi turni giocati nei Major, di Marin Cilic. Il tennista nato a Medjugorje, oramai sulla soglia dei 30 anni (li compie a settembre) è incappato in una clamorosa sconfitta contro l’argentino Guido Pella, 72 ATP. Una grossa sorpresa negativa: da molti era considerato come il secondo favorito per la vittoria del titolo, dopo aver giocato la migliore stagione sulla terra della carriera e aver conquistato il titolo al Queen’s, sconfiggendo Kyrgios e Djokovic. Un tonfo reso tra l’altro ancora più amaro dall’andamento del punteggio della sua partita contro Pella, che lo aveva visto vincere facilmente i primi due set, nonché dalla prematura eliminazione di Federer, suo possibile avversario in semifinale. E dire che Marin nei tornei dello Slam, dove ha vinto un titolo, raggiunto due finali e complessive cinque semi, dal 2011 solo una volta ha perso al primo turno (Trungelliti al Roland Garros 2016). Inoltre, in tutta la carriera, si era fermato solo quattro volte al secondo turno e in ben tre di questi casi, contro tennisti di valore elevato, capaci quantomeno di arrivare nella top ten (Wawrinka al RG 2008, Nishikori agli US Open 2010, Simon agli AO 2014). L’unica eccezione in tal senso è costituita da quella che era l’ultima sconfitta in ordine di tempo in un secondo turno di un Major: l’anno scorso agli Australian Open, contro il controverso Daniel Evans.
7 – le eliminazioni al primo turno, due delle quali negli Slam (Roland Garros e US Open), rimediate da Angelique Kerber nel suo fallimentare 2017, nel quale aveva conquistato una sola finale (nel piccolo International di Monterrey) e due semifinali. Risultati che le erano costati, dopo aver chiuso il 2016 da numero 1 del mondo, il dover ripartire quest’anno fuori dalla top 20. Un inizio di 2018 confortante in quanto a continuità ad alti livelli – vittoria al Premier di Sydney, seguita dalla sconfitta di un soffio in semi con la Halep a Melbourne e dall’essere giunta sempre almeno ai quarti sino a fine aprile, quando ha perso al secondo turno di Stoccarda – le avevano consentito il ritorno nella top ten. Sul rosso, i due quarti raggiunti a Roma e Parigi (sconfitta rispettivamente da Svitolina e in tre set Halep) avevano confermato la sua lenta ma costante risalita, un’inerzia interrotta solo parzialmente dall’esordio nella stagione sull’erba, timbrato con una sconfitta inopinata al primo turno, seppur con una erbivora come Riske.
Le semifinali raggiunte a Eastbourne avevano fatto da buon prologo al magico cammino di Wimbledon, nel quale Angelique ha perso un set (3-6 6-2 6-4) solo nel secondo turno, contro la statunitense classe 2000 Claire Liu, 238 WTA. Negli ultimi cinque incontri del suo straordinario torneo londinese l’ex numero 1 del mondo ha avuto la meglio – dopo il primo turno conquistato ai danni della Zvonareva (7-5 6-3), 141 WTA, e il su citato sofferto successo sulla Liu in quello successivo – su Naomi Osaka (6-2 6-4), 18 WTA; Belinda Bencic (6-1 7-6) 56 WTA, Daria Kasatkina (6-3 7-5), 15 WTA; Jelena Ostapenko (duplice 6-3), 12 WTA; Serena Williams (6-3 6-3), 181 WTA. La vittoria ai Championships fuga ogni residuo dubbio sulla “casualità” del suo fantastico 2016.
9 – le partite vinte da Grigor Dimitrov, nei dieci tornei ai quali ha partecipato, dopo aver raggiunto la finale a febbraio all’ATP 500 di Rotterdam, un piazzamento che sembrava stesse per restituire il 27enne bulgaro ai livelli di fine 2017, dopo il per lui deludente Australian Open (eliminazione ai quarti contro Edmund). Invece, il peggio per l’ex numero 3 del mondo doveva ancora venire: ben cinque eliminazioni nell’esordio nel torneo (Dubai, Indian Wells, Madrid, Roma e Wimbledon) e altre due entro il turno successivo. Non può bastare la buona semifinale raggiunta a Monte Carlo per cancellare le deludenti sconfitte contro tennisti non al loro meglio (Djokovic al Queens, Wawrinka a Wimbledon) o dalla mediocre classifica e dal minor talento (due volte Verdasco, Chardy, Jaziri). Che fine ha fatto il tennista brillante ammirato a Londra appena lo scorso novembre?
10 – i tennisti italiani ad aver partecipato ai tabelloni di singolare in questa edizione di Wimbledon. Sei di loro (Berrettini, Cecchinato, Fognini, Giorgi, Lorenzi, Seppi) sono stati ammessi per diritto di classifica; Fabbiano e Travaglia sono stati bravi a qualificarsi, altri due (Bolelli e Sonego) sono stati un po’ meno abili ma quantomeno fortunati: sono stati ripescati nel main draw come lucky loser dopo aver perso al terzo turno delle quali. La più brillante di tutta la spedizione azzurra è stata l’unica donna, Camila Giorgi, bravissima a raggiungere i primi quarti della carriera in uno Slam e ad affrontare con personalità Serena Williams, strappandole per la prima volta, dopo tre precedenti confronti, un set. Tra gli uomini, chi può definirsi più soddisfatto è Thomas Fabbiano: dopo aver vinto le tre gare di quali sui prati di Roehampton, ha sconfitto nel main draw l’indiano Bhambri, 85 ATP, e soprattutto Wawrinka, 225 ATP. Quella contro lo svizzero è stata sin qui la vittoria più importante della carriera per Thomas: Stan non è più il campione che eravamo abituati a conoscere, ma è pur sempre un tennista capace di sconfiggere nel turno precedente Dimitrov.
Terzo turno raggiunto anche da Fabio Fognini, ma con stati d’animo opposti rispetto al pugliese: il ligure aveva sconfitto l’anno scorso sugli stessi prati facilmente Vesely, 103 ATP, capace di prendersi quest’anno un’amara rivincita sul nostro tennista. Tanti i rimpianti per il numero 1 azzurro: Fabio ha convertito una sola delle quattordici palle break avute a disposizione contro il ceco e, arresosi in quattro set, ha sprecato la grandissima chance di eguagliare il suo best career ranking, 13 ATP, e, soprattutto, di diventare il primo italiano a raggiungere almeno una volta gli ottavi in ognuno dei quattro Slam. Bene anche Berrettini, capace di sconfiggere per la prima volta in carriera un top 20 (Sock, 15 ATP), Lorenzi (appena alla quinta vittoria stagionale nel circuito maggiore, speriamo sia un segnale di ripresa, il suo successo su Djere!) e Bolelli (dopo un anno nuovamente al secondo turno in un Major). Nulla da recriminare a Seppi, Sonego e Travaglia, sconfitti da avversari attualmente più forti di loro, soprattutto sull’erba (rispettivamente Anderson, Fritz e Millman). Infine, lascia qualche ombra di delusione la sconfitta al primo turno dell’eroe di Parigi, Cecchinato, fermato al primo turno dal promettente australiano De Minaur, 77 ATP. Bene, ma non benissimo.
12 – le partecipazioni al main draw di Wimbledon da parte di Caroline Wozniacki, dalle quali è riuscita a ricavare solo sei approdi agli ottavi di finale, tre eliminazioni al secondo turno e due al primo. Numeri che confermano le difficoltà psicologiche della danese, forse prematuramente apparse superate lo scorso gennaio, dopo la sua vittoria a Melbourne. Wimbledon resta almeno per un altro anno l’unico Slam dove non è riuscita a raggiungere i quarti. Non si può trattare certamente di un problema meramente tecnico, ricordando come la danese sia capace sui prati di esprimersi meglio di come fa a Wimbledon. Basta analizzare del resto lo score di Wozniacki nel prestigioso Premier di Eastbourne: la danese nell’East Sussex ha vinto due titoli (l’ultimo quest’anno in finale sulla Sabalenka), raggiunto una finale e tre semifinali. Erba sempre amara per Caroline.
13 – gli Slam già giocati da Alexander Zverev, una categoria di tornei nei quali appena due volte è riuscito ad arrivare alla seconda settimana. L’anno scorso, quando si fermò agli ottavi di Wimbledon, vi approdò per la prima volta. La seconda è arrivata invece un mese e mezzo fa, quando al Roland Garros è stato sconfitto ai quarti da Thiem. In quest’edizione dei Championships il giovane tedesco ha deluso nuovamente le grandi aspettative riposte su di lui, fermandosi al terzo turno contro il talento cristallino, ma decisamente incostante, di Ernest Gulbis. Alcuni iniziano a credere che la sua sia una vera e propria maledizione e soprattutto, una cronica difficoltà psicofisica ad adattarsi alla distanza del tre su cinque. In tal senso, visto che gli è stata predetta da tanti addetti ai lavori una carriera a livelli altissimi, per provare a capirci qualcosa in più è utile andare a vedere cosa avevano fatto i grandissimi campioni di questi ultimi quindici anni – i cosiddetti Fab 4 – alla attuale età di Zverev, 21 anni e 2 mesi (Alexander è nato il 20 aprile del 1997). Nell’analisi non può essere dimenticato l’attuale score di Sascha, già capace di essere numero 3 del mondo, vincere tre Masters 1000 e fare altre due finali in tornei di questa categoria.
Da tale confronto si evince come l’unico tennista col quale il tedesco non possa in tal senso paragonarsi sia Rafael Nadal, che all’età di Sascha aveva giocato 14 Slam, era già numero 2 del mondo, aveva vinto tre Roland Garros, fatto due finali a Wimbledon, raggiunto complessivamente sette volte i quarti nei Major, vinto nove Masters 1000 e raggiunto altre due volte la finale in tornei di questa categoria. Risulta già più similare l’andamento di Zverev con quello di Novak Djokovic, che a 21 anni e 2 mesi era anch’egli 3 del mondo, ma aveva già giocato due finali nei Major (vittoria agli Australian Open 2008 su Tsonga e sconfitta agli Us Open 2007 da Federer), raggiunto complessive sei volte i quarti in questi tornei, vinto quattro Masters 1000 (Miami e Canada 2007 , Indian Wells e Roma 2008) e raggiunto una finale in quest’ultima tipologia di tornei.
Risulta soprattutto interessante notare come l’attuale primatista di Major vinti, Federer, a 21 anni e 2 mesi fosse solo numero 9 al mondo e che, in 14 Slam giocati, avesse raggiunto solo due volte i quarti (sempre nel 2001: al Roland Garros sconfitto da Corretja e a Wimbledon eliminato da Henman). Inoltre, l’elvetico nei Masters 1000 era giunto solo due volte in finale (entrambe nel 2002, vittorioso ad Amburgo su Safin e sconfitto da Agassi a Miami). Ancora più confortante per Sascha diviene infine il confronto con Andy Murray: lo scozzese a 21 anni e 2 mesi aveva raggiunto al massimo la nona posizione del ranking, solo una volta era arrivato ai quarti di finale in uno Slam (Wimbledon 2008, sconfitto nettamente da Nadal) e nei Masters 1000 aveva raggiunto quattro semifinali, sparse tra il 2006 e il 2008, una per ciascun Masters 1000 nordamericano. Dieci e passa anni fa era tutto diverso e questi dati sono puramente indicativi e studiati per curiosità, ma si può asserire che per Sascha non sia già troppo tardi per compiere il definitivo salto di qualità.
ATP
Un occhio ai numeri: è stato il dritto di Sinner a fare la differenza contro Fritz
19 vincenti, oltre 120 km/h di velocità media e una “shot quality” di 8.9: (anche) così Jannik si è preso la semifinale a Indian Wells

Una prestazione da 9 in pagella ha permesso a Jannik Sinner di superare il campione in carica di Indian Wells Taylor Fritz e di ottenere la seconda semifinale in un Masters 1000. Il 9 Jannik se l’è guadagnato per quanto fatto vedere nell’arco dei tre set, ma è soprattutto il suo dritto ad aver meritato un voto così alto. Non a caso, è la stessa ATP ad averglielo assegnato in collaborazione con Tennis Insights che dalla fine dello scorso anno fornisce nuove misure statistiche in grado di offrire nuove prospettive sull’andamento dei match. Tra questi innovativi dati c’è anche la shot quality che viene tradotta in un punteggio su una scala da 0 a 10. Ebbene, il dritto di Sinner nel match contro Fritz ha raggiunto una quotazione di 8.9. Ma rendiamo meglio l’idea di cosa ciò significhi: il punteggio medio nel circuito è di 7.2.
La domanda che sorge spontanea è però come venga calcolata questa misura. Alla base di tutto c’è l’intelligenza artificiale che riconosce che ogni tipo di colpo (dritto, rovescio servizio, smorzata, etc.) richiede una diversa combinazione di vari fattori e che elabora i dati di tracciamento della palla e del giocatore. Il calcolo della shot quality avviene in tempo reale analizzando velocità, spin, profondità, angolazione e impatto sull’avversario di ogni colpo. Inoltre, vengono prese in considerazione anche le caratteristiche del colpo immediatamente precedente dell’avversario: maggiore è la qualità della palla proveniente dall’altra parte del campo, infatti, più difficile sarà controbattere con un colpo in modo altrettanto qualitativo.
Le statistiche messe insieme da Sinner sul dritto contro Fritz sono a dir poco impressionanti e rendono giustizia a quell’8.9. L’azzurro ha tirato 184 volte questo colpo, sbagliandone solo il 10%. La velocità media è stata di 122 km/h, quella massima, invece, ha toccato i 168 km/h. Questa punta è stata raggiunta da Jannik nel corso del suo primo turno di battuta, proprio quando ha dovuto annullare l’unica palla break del set. Con quel dritto fulminante, a cui ne sono seguiti altri tre tutti sopra i 150 km/h, il 21enne di San Candido ha difeso il vantaggio conquistato nel game precedente in cui aveva strappato il servizio all’americano.
In totale Sinner ha messo a segno 19 vincenti con il dritto, ben 11 in più rispetto a Fritz che pure non è uno che si limita a rimettere la palla in campo quando può colpire dal suo lato destro. I gratuiti di Jannik sono stati 18 e anche in questa statistica la differenza con Taylor è di 11 unità, ma questa volta è davanti, a suo discapito, il californiano. Insomma, il gap è evidente qualsiasi dato si metta a fuoco. Un ultimo numero importante è quello che si trova alla voce net clearance, ovvero l’altezza media – in questo caso del dritto – sopra la rete. 71 cm, un dato di poco superiore alla media del circuito maschile e quindi piuttosto incoraggiante: Sinner non dispone, né vuole disporre per caratteristiche di gioco, del top di Nadal che ha permesso allo spagnolo di raggiungere nel corso della carriera picchi di net clearance superiore al metro e venti, ma ha comunque bisogno di aumentare la sua solidità da fondocampo prendendosi margini più ampi, pur senza eccedere.
Non è un caso, a tal proposito, che Jannik abbia fatto suoi 24 dei 31 scambi che si sono protratti oltre il nono colpo: un dato che porta a galla anche i progressi fatti dall’altoatesino dal punto di vista fisico e che si colloca all’interno di una tendenza che si era palesata già nella recente finale di Rotterdam con Medvedev, quando Sinner era riuscito a fare partita pari proprio nei punti più lunghi e faticosi (29 pari negli scambi sopra i nove colpi).
A conclusione di questo focus statistico, possiamo affermare che forse si è parlato fin troppo della necessità di Sinner di aumentare l’efficacia del suo servizio e di migliorare nel gioco a rete, mentre si è persa di vista un’altra chiave fondamentale, rappresentata proprio dal dritto. Sinner non è certamente basso, ma rimane difficile pretendere da lui un numero di ace pari a quello che possono mettere insieme giocatori come Medvedev, Berrettini, Aliassime, Tsitsipas e Zverev (e comunque la differenza si sta assottigliando – qui un’analisi specifica su questo colpo, confrontato a quello di Medvedev nella finale di Rotterdam, ad opera di Federico Bertelli). Per quanto riguarda il gioco al volo (aspetto nel quale Jannik si sente sempre più sicuro, come lui stesso ha detto nella conferenza stampa dopo la vittoria su Fritz), invece, è chiaro che una maggiore efficacia a rete è legata ai colpi con cui ci si arriva e un buon dritto in avanzamento non può che facilitare il compito.
ATP
Quegli inizi di stagione in controtendenza: chi ben comincia è a metà dell’opera… se non si chiama Berrettini
Quasi mai, nella sua carriera ad alti livelli, Matteo ha avuto una stagione coerente con l’inizio. Numeri alla mano, vediamo come si sono evolute le sue ultime 4 annate fino ad oggi

La sconfitta di stanotte contro Taro Daniel ha consegnato l’ennesima versione fin troppo spenta, in campo, di Matteo Berrettini. Il romano sta vivendo un periodo duro, come se ancora i problemi fisici che lo hanno tanto angustiato nel 2022 non siano solo un ricordo (e, in effetti, poco più di una settimana fa hanno bussato alla porta in quel di Acapulco). Ciononostante Matteo si è dimostrato ben lucido e consapevole del dover ripartire quasi da zero, come testimoniano le sue parole in conferenza stampa, e soprattutto ha offerto uno sguardo d’insieme che la dice lunga sulle sue ambizioni. Il n.3 d’Italia ha infatti ricordato come anche nel 2019, anno della consacrazione con la semifinale allo US Open e la prima partecipazione alle ATP Finals, iniziò la stagione in maniera tutt’altro che incoraggiante, per poi alzare il livello gradualmente. Che anche questo 2023 possa andare così? É ancora presto per dirlo, ma certamente fare un paragone tra stagioni per quanto riguarda i primi tre mesi (fino ad Indian Wells dunque, in modo da contestualizzare anche l’attualità) di Matteo dal 2019, cioè da quando è entrato nell’élite del tennis, per poi paragonarli a come le ha chiuse quelle annate, può essere un esercizio utile per inquadrare la situazione.
2019: per aspera ad astra – 4 anni fa Matteo Berrettini iniziò l’anno da n.52 del mondo, senza le pretese odierne e ben lontano da certe attenzioni. Nei primi due tornei principali, Australian Open e Indian Wells, si arrese al primo turno rispettivamente a Tsitsipas (che in quello Slam segnò la sua ascesa) e Hurkacz, che era ancora lontano dai livelli odierni. Giocò 13 partite fino appunto alla sconfitta contro il polacco in California, con un record di 6-7, e l’unico risultato degno di nota fu una semifinale all’ATP 250 di Sofia persa da Fucsovics. Come si concluse quell’inatteso 2019, è ormai storia: Matteo si issò tra i primi 20 grazie a una grande stagione su erba (vittoria a Stoccarda, semifinale ad Halle, ottavi contro Federer a Wimbledon), prima del colpaccio della semifinale nelle notti americane a Flushing Meadows, che lo portò definitivamente nel mondo dei grandi. Addirittura scalò quasi 50 posizioni rispetto all’inizio dell’anno, chiudendo da n.8 al mondo con 2870 punti, giusto un tantino in più rispetto ai 916 iniziali. Dunque nonostante un inizio tutt’altro che indimenticabile, nel 2019 Berrettini seppe trovare la giusta quadratura del cerchio con l’evolversi dell’anno, arrivando al massimo passando anche per tante avversità.
2020: il COVID inficia il giudizio – il primo anno da top consolidato sin da subito, per Matteo, è stato quello macchiato dal COVID-19, con tutte le conseguenze che ben conosciamo nel circuito. Difficile prenderlo come unità di analisi, dato che l’azzurro giocò 15 partite in tutto l’anno, e solo 2 nei primi tre mesi, entrambe in Australia, dove si arrese a sorpresa al secondo turno a Tennys Sandgren. Il record di 9-6 lo portò a chiudere al decimo posto, quindi due posizioni in meno rispetto al 2019, ma con qualche punto in più, 3075, anche se non riuscì a qualificarsi alle ATP Finals, per qualche partita giocata in meno rispetto ad altri giocatori (Schwartzman, Rublev). Per quel che vale, anche 3 anni fa la stagione iniziò quindi male per Berrettini, che, per quanto molto particolare, riuscì comunque a chiuderla ad un ottimo livello.
2021: inizio tenue per la stagione migliore – poco da dire in merito: il 2021 è stata la stagione della carriera, per Berrettini, quella sì della definitiva consacrazione come giocatore di assoluto livello. Eppure l’inizio, in questo caso considerando anche il torneo di Montecarlo (Indian Wells non si disputò in primavera ma in autunno, e Matteo non giocò a Miami), fu poco più che discreto. Su 11 partite giocate, il record è altamente positivo: 8-3, ma 3 vittorie e una sconfitta arrivarono in ATP Cup, dove l’Italia raggiunse la finale, quindi in tornei del tour il conto fu di 5-2. Tre di queste vittoria maturarono in Australia, dove per la prima volta raggiunse la seconda settimana, ma poi diede forfeit contro Tsitsipas, perdendo senza giocare. Nessun’altro risultato da sottolineare, dunque inizio di rispetto, ma che non lasciava presagire chissà quanto quello che sarebbe avvenuto dopo: prima finale 1000 a Madrid, persa in tre con Zverev, quarti in tutti gli altri Slam rimanenti, e la storica, immensa finale a Wimbledon, dove andò anche un set avanti con Djokovic. La seconda parte di 2021 di Berretto è stata strepitosa, con il solo Djokovic capace di batterlo nei Major. Chiaramente, come ricordiamo, staccò il pass per le Finals, e chiuse l’anno nella posizione più alta che abbia finora fatto registrare a fine stagione: n.7 al mondo, con 4568 punti, ben 1493 in più rispetto a quell’inizio un po’ timido.
2022: chi ben comincia… – l’ultimo anno, per come era iniziato e come si è concluso, ha quasi una punta di triste ironia. Senza ombra di dubbio, specie in termini di risultati, contando che il 31 gennaio 2022 raggiunse anche il miglior ranking al n.6, l’inizio della stagione scorsa è stato il migliore della carriera per l’italiano. Record di 9-6 (1-2 in ATP Cup), che è il maggior numero di partite vinte da Matteo nei primi 3 mesi delle stagioni dal 2019 ad oggi, e soprattutto la ciliegina sulla torta della terza semifinale Slam della carriera, all’Australian Open. Anche un quarto di finale a Rio e un ottavo ad Indian Wells sembravano comunque tracciare un percorso più che positivo… fino alla sconfitta con Kecmanovic in California. Da allora Matteo ha avuto problemi fisici in serie, ha dovuto passare tre mesi lontano dai campi, con il colpo di grazia del COVID che gli ha impedito di partecipare a Wimbledon. E così il miglior inizio della carriera si è trasformato nel peggior finale degli ultimi 4 anni: per la prima volta dal 2019 infatti Berrettini ha chiuso la stagione fuori dai primi 10, addirittura come n.16 del mondo (9 posizioni in meno) e a quota 2375 punti, più di 2000 mancanti rispetto all’inizio.
E ora? Il 2023 dell’azzurro è finora in perfetto equilibrio: 5 vittorie e 5 sconfitte, ma levando la United Cup (in cui aveva dato grandi speranze) siamo 2-3, l’uscita dai primi 25 appare sempre più vicina. Ora è però inutile piangersi addosso, Berrettini lo sa, e sa che deve darsi da fare per realizzare un passo avanti sin da Miami, torneo dove non ha mai vinto neanche una partita. Se c’è qualcosa che può consolarlo è che, da quando gravita nei piani alti del tennis, quasi mai la stagione ha seguito poi l’andamento dell’inizio. Sono esemplificativi i due estremi: miglior avvio, 2022, è coinciso con il peggior piazzamento finale dal 2019 in poi; lo stesso 2019 fu l’anno in cui iniziò nella maniera più timida, unico con un record negativo a inizio primavera, per chiudere con il suo secondo miglior ranking finale. Dunque il passato parla chiaro: chi ben comincia è a metà dell’opera…se non si chiama Matteo Berrettini. In quel caso la sua vera forza è lo scatto in avanti quando meno ce lo si aspetta. E, la speranza per tutti gli appassionati e tifosi italiani, è che la storia anche in questo 2023 possa dargli ragione.
Flash
Numeri: sul cemento nessuno ne ha vinte più di Medvedev. Ma in percentuale spicca Djokovic
112 partite vinte su cemento outdoor dal 2019 a oggi: nessuno meglio di Daniil Medvedev. Lo inseguono Rublev e Fritz

112- le partite vinte sul cemento all’aperto da Daniil Medvedev a partire dall’estate 2019. L’ex numero 1 del mondo è tornato prepotentemente alla ribalta nelle ultime settimane, durante le quali ha vinto tre tornei consecutivi (Rotterdam, Doha e Dubai). Un ruolino di marcia davvero impressionante, anche perché Medvedev per accumulare i 1250 punti raccolti (e gli oltre 1 milione e 130 mila euro di montepremi guadagnati) in queste quattordici partite vinte (nelle quali ha perso appena tre set), ha sconfitto top 20 come Sinner e Coric, top ten del valore di Auger-Aliassime (due volte) e Rublev. Soprattutto, nella bella semifinale di Dubai Daniil si è imposto nettamente contro un grande campione reduce da una impressionante serie di successi, Djokovic, legittimando le speranze di ritorno ad altissimi livelli da parte dei suoi tifosi sparsi per il mondo, accumulati durante le 16 settimane passate come numero 1 del mondo e le altre 129 già trascorse in top 5 ATP.
I recentissimi risultati di Medvedev non sorprendono però più di tanto e non solo perchè Daniil tra fine 2020 e inizio 2021 ha inanellato una serie di partite vinte ben più lunga (20, terminata con la finale degli Australian Open persa contro Djokovic). Non va infatti dimenticato che Doha e Dubai si giocano su campi in cemento outdoor e nessun suo collega ha vinto -in queste condizioni di gioco- tante partite come riuscito al 27enne tennista moscovita. Daniil, quasi quattro anni fa, entrato da poco meno di un mese nella top ten, ha dato una svolta alla sua carriera con un piuttosto repentino miglioramento del suo rendimento. La sua ascesa definitiva nei grandi tennisti del decennio è iniziata con la finale persa contro Kyrgios a inizio agosto 2019 all’ATP 500 di Washington: da quella settimana nella capitale statunitense Medvedev ha inanellato una serie di risultati che lo ha imposto all’attenzione generale come uno dei tennisti più forti al mondo, in particolar modo quando si gioca sul cemento, indoor o outdoor che sia. Nel suddetto periodo nei palasport europei ha vinto il Masters 1000 di Parigi-Bercy, le ATP Finals e ben altri quattro tornei (l’ultimo a Rotterdam meno di un mese fa): una quantità di titoli non raggiunta da nessun altro collega e che testimonia il suo valore assoluto sui campi indoor.
Ma è soprattutto sul cemento all’aperto, superficie sulla quale ha giocato inevitabilmente anche molto di più, che la sua credibilità di grande campione è confermata anche statisticamente, nonostante un 2022 non brillante, chiuso “solo” da 7 ATP e con appena due titoli aggiunti nella sua bacheca, l’ATP 250 di Los cabos e l’ATP 500 di Vienna. Per verificarlo, basta dare un’occhiata alla tabella 1, nella quale sono raggruppate una serie di statistiche dei giocatori più forti (secondo l’attuale classifica ATP) e di alcuni specialisti eccellenti come Sasha Zverev e Nick Kyrgios. Ci si rende facilmente conto della pregevole portata dei risultati di Medvedev quando ha partecipato a tornei che si giocavano sul cemento all’aperto. Non solo Daniil ha vinto con ampio margine più partite di tutti (come detto, ben 112, con il secondo, Rublev, fermo a 86), ma è dietro al solo Djokovic nella percentuale di match vinti (83.6%, una statistica davvero impressionante, anche rapportandola al grandissimo numero di partite giocate, ben 134). Medvedev è inferiore al solo campione serbo pure nella percentuale (78.9) di set vinti, così come è secondo -tra i colleghi che li hanno affrontati almeno cinque volte- nel bilancio contro i top 5, mentre è primo in assoluto (con un notevolissimo 12-1) contro tennisti tra la sesta e la decima posizione ATP. Quello che impressiona è la qualità dei numerosi successi di Daniil: delle 112 partite vinte, ben 17 sono arrivate contro top 10, e altre 15 sono contro tennisti comunque nella top 20. Che teoricamente Daniil non sia secondo a nessuno quando si gioca sul cemento all’aperto lo testimoniano anche gli scontri diretti: contro Djokovic, che pure in molte categorie ha numeri qualitativamente superiori ai suoi, Daniil dall’estate del 2019 ha giocato sul cemento all’aperto sei volte, vincendone tre. Nel periodo considerato, dando un’occhiata agli h2h contro alcuni degli avversari più forti, è 2-0 con Zverev e 3-1 con Tsitsipas, mentre è sotto 1-3 con Kyrgios e 0-3 con Nadal.
La continuità ad altissimo livello di Medvedev è testimoniata anche dalla seconda tabella che ho preparato, nella quale sono indicati i principali piazzamenti ottenuti da ciascuno dei giocatori presi in considerazione. Il russo dall’estate di quattro anni fa ha raggiunto ben dodici finali in tornei che si giocavano sul cemento all’aperto -numero ineguagliato dai colleghi- dalle quali ha raccolto ben sette titoli. Il solo Djokovic ne ha vinti altrettanti, ma va in verità evidenziato come il serbo abbia conquistato un numero maggiore, tre, della categoria più importante del circuito, i Major. Medvedev, che pure ha vinto lo US Open nel 2021, paga in tal senso lo scotto di aver raggiunto “inutilmente” ben altre tre finali Slam (due delle quali perse piuttosto rocambolescamente con Nadal). Al russo non basta di certo la grande soddisfazione di essere il tennista ad aver vinto più Masters 1000, ben tre, sul cemento all’aperto negli ultimi quattro anni: dal ritrovare fame tennistica e serenità in campo e, soprattutto, dal miglioramento del suo bottino negli Slam e del proprio tennis quando gioca su terra rossa ed erba passano le fortune della sua ancora giovane carriera.
Tabella 1- Risultati sul cemento all’aperto a partire da luglio 2019
Giocatore | Tornei giocati | Partite W-L TOT | Set W-L TOT | Partite W-L Vs top 5 ATP | Partite W-L Vs 6-10 ATP | Partite W-L Vs 11-20 ATP |
Djokovic | 15 | 75-9 (89.3%) | 187-42 (81.7%) | 7-2 (77.8%) | 8-3 (72.7%) | 10-1 (90.9) |
Medvedev | 27 | 112-22 (83.6%) | 276-74 (78.9%) | 5-9 (35.7%) | 12-1 (92.3%) | 15-5 (75%) |
Alcaraz | 14 | 31-12 (72.1%) | 81-40 (66.9%) | 2-1 (66.7%) | 2-2 (50%) | 7-2 (77.8%) |
Tsitsipas | 27 | 73-30 (70.9%) | 182-102 (64.1%) | 3-7 (30%) | 3-1 (75%) | 11-4 (73.3%) |
Ruud | 26 | 43-27 (61.4%) | 107-79 (57.5%) | 1-4 (20%) | 1-3 (25%) | 7-5 (58.3%) |
Fritz | 41 | 78-42 (65%) | 194-128 (60.2%) | 2-6 (25%) | 5-2 (71.4%) | 12-5 (70.5%) |
Rublev | 36 | 86-32 (72.9%) | 207-99 (67.6%) | 2-4 (33.3%) | 4-4 (50%) | 8-4 (66.7%) |
Nadal | 13 | 52-11 (82.5%) | 137-45 (75.3%) | 3-2 (60%) | 2-1 (66.6%) | 7-3 (70%) |
Auger-Aliassime | 31 | 52-38 (57.8%) | 133-108 (55,1%) | 1-6 (14.3%) | 1-5 (16%) | 6-3 (66.7%) |
Sinner | 23 | 49-20 (71%) | 125-195 (64.1%) | 0-4 (0%) | 0-1 (0%) | 5-3 (62.5%) |
Zverev | 23 | 65-27 (70.7%) | 175-261 (67%) | 4-7 (36.4%) | 1-6 (14.3%) | 10-4 (71.4%) |
Kyrgios | 21 | 43-19 (69.4%) | 108-56 (65.9%) | 2-4 (33.3%) | 5-3 (62.5%) | 2-2 (50%) |
Tabella 2- Principali piazzamenti sul cemento all’aperto a partire da luglio 2019
Bilancio Complessivo Titoli/finali | Titoli/Finali Slam | Titoli/Finali Masters 1000-Olimp. | Titoli/Finali ATP 500 | Titoli /Finali ATP 250 | |
Djokovic | 7-1 | 3-1 | 1-0 | 2-0 | 1-0 |
Medvedev | 7-5 | 1-3 | 3-1 | 1-1 | 2-0 |
Alcaraz | 2-0 | 1-0 | 1-0 | 0-0 | 0-0 |
Tsitsipas | 0-5 | 0-1 | 0-1 | 0-3 | 0-0 |
Ruud | 1-2 | 0-1 | 0-1 | 0-0 | 1-0 |
Fritz | 3-3 | 0-0 | 1-0 | 1-1 | 1-2 |
Rublev | 4-2 | 0-0 | 0-1 | 1-1 | 3-0 |
Nadal | 6-1 | 2-0 | 1-1 | 2-0 | 1-0 |
Auger-Aliassime | 0-1 | 0-0 | 0-0 | 0-0 | 0-1 |
Sinner | 2-1 | 0-0 | 0-1 | 1-0 | 1-0 |
Zverev | 3-2 | 0-1 | 2-1 | 1-0 | 0-0 |
Kyrgios | 2-0 | 0-0 | 0-0 | 2-0 | 0-0 |