Continuate a chiamarli Trinità (Crivelli). Bravo Nole, rilanciato dal ritorno alle origini (Bertolucci). Nole uomo del mistero (Azzolini)

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Continuate a chiamarli Trinità (Crivelli). Bravo Nole, rilanciato dal ritorno alle origini (Bertolucci). Nole uomo del mistero (Azzolini)

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Continuate a chiamarli Trinità (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello sport)

La Rete è una miniera, ma anche uno specchio della fallibilità umana. Bastano pochi clic, per esempio, sul tennis del 2012, la pronosticata caduta dei divini Fab Four e le proiezioni sui futuri numeri uno per trovare previsioni di ogni genere: da Goffin a Dimitrov, da Raonic a Janowicz (addirittura), era tutto un fiorire di nomi di eredi. E cosa accade sei anni dopo? Che un quasi 37enne (Federer) e un 32enne (Nadal) si dividono tre Slam a testa in 18 mesi e quando fanno cilecca, torna a vincere il trentunenne (Djokovic) che con loro ha segnato un’epoca, anziché qualche nuovo cavaliere. Il successo di Novak a Wimbledon marca una volta di più la grandezza leggendaria di un terzetto irripetibile (Murray ci perdoni) e manda definitivamente dietro la lavagna la generazione perduta dei nati nei primi anni 90, incapaci di approfittare di qualche amnesia dei più grandi. Con il ritorno al top di Djokovic e la prevedibile conseguenza, per lui, di altri successi di peso, è molto probabile che all’inizio del prossimo decennio, nella classifica dei plurivincitori Slam, i primi tre saranno giocatori contemporanei (Nole ora è quarto a un solo trionfo da Sampras). Insomma, l’incrocio magico tra alcuni dei più forti di sempre (o forse i più forti) ha polverizzato ogni avversario venuto dopo, devastazione che non tutti hanno gradito. Safin, ad esempio, che fu n. 1 prima dell’avvento di Federer (e lo batté in semifinale in Australia nel 2005), non le manda a dire: «Quando giocavo io, in ogni torneo eravamo in dieci a poter vincere. Poi sono arrivati loro. Roger è un fenomeno, ma a me il tennis di oggi non piace, non mette i brividi. La Next Gen? Una cavolata pazzesca». In attesa di capire se il tranciante pronostico del russo avrà fondamento, rimane sul tavolo la questione dell’inavvicinabilità attuale dei tre soliti noti. Secondo McEnroe, la rivalità è uno dei motori del loro dominio: «Io mi sono ritrovato a duellare con Borg, abbiamo dovuto aumentare le conoscenze del nostro gioco per non farci sopraffare l’uno dall’altro. Credo che avversari stimolanti siano fondamentali per crescere». Concetto approfondito da Patrick Mouratoglou, uno dei coach di riferimento del circuito: «Quando è apparso Roger, ha cambiato il tennis, Nadal ha dimostrato fin dalla prima partita a Miami nel 2004 di voler stare al suo livello. Le loro sfide hanno permesso a entrambi di andare oltre i limiti, fino a renderli imbattibili. Solo Djokovic ha avuto la forza mentale di pensare che non fossero inavvicinabili. Gli altri si sono arresi, lui no». Nole ha vinto 11 dei suoi 13 Slam battendo in finale uno tra Federer, Nadal e Murray e con tutti e tre ha i confronti diretti a favore. Alla fine, spingere fisico e concentrazione a confini disumani gli è costato molto, e negli ultimi 15 mesi prima di Wimbledon, causa anche l’infortunio al gomito destro, quegli sforzi lo hanno fatto disamorare del suo sport. Ma gli è bastato ritrovare equilibrio per tornare lassù: «Ciò che fa la differenza tra i campionissimi e noi – ha detto Anderson dopo la sconfitta nella finale di Londra – è che alzano il livello di gioco quando serve di più». Dote che non si insegna, ma che può essere affinata con l’esperienza. Ecco perché, per la prima volta nell’Era Open, a Wimbledon sono arrivati in semifinale 4 ultratrentenni e nella classifica Atp di oggi, 5 dei 10 dieci hanno già superato i 30 (Nadal, Federer, Anderson, Isner e Djokovic) e due li compiranno quest’anno (Del Potro e Cilic): «Il tennis di adesso – dice Borg, fenomeno già a 16 anni – richiede uno sforzo fisico non sostenibile da un teenager»… [SEGUE].


Bravo Nole, rilanciato dal ritorno alle origini (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello sport)

Bentornato Djokovic! La vittoria a Wimbledon ha ridato ossigeno puro al tennis e allontanato lo spettro di dover rinunciare anzitempo ad un campione assoluto. Dopo 15 mesi infarciti da capitomboli inspiegabili, infortuni irrisolti nel breve periodo, coach poco presenti e un linguaggio del corpo che rasentava l’indolenza hai effettuato un viaggio interiore e un’analisi della situazione. Hai capito che tutto partiva dalla testa, dalla necessità di tornare indietro, di chiedere aiuto al fidato Vajda, di riformare il team e di rivedere al centro del box il sorriso di tua moglie per ricostruire la miscela magica che ti aveva consentito di dominare il mondo. Solo il lavoro combatte il vuoto, lo riempie di significato e può costruire qualcosa di nuovo dopo la sconfitta. Essere campione richiede silenzio, elaborazione del momento e un certo grado di penitenza… [SEGUE].


Nole uomo del mistero (Daniele Azzolini, Tuttosport)

È un mistero il ritorno del Nole, ed è difficile addentrarvisi, penetrare nei meandri dei perché più sfuggenti. Non si tratta di solo tennis, lo dice anche lui, ma della sua vita, e se da un lato c’è la privacy a stringere la cerniera sulle questioni sin troppo personali, dall’altro c’è il rischio di fare i conti con le piccinerie della nostra umanissima realtà. L’unica certezza è che un tragitto s’è compiuto, simile a un lungo tunnel probabilmente. Un viaggio vagabondo alla ricerca di se stesso, lungo due anni e un mese, dal titolo del Roland Garros 2016 ai Championships 2018. Un percorso fra paura e redenzione, sconosciute fragilità e voglie di riscatto, licenziamenti (Vajda, Becker, Agassi, Stepanek) e pentimenti (Vajda, richiamato), turbe casalinghe e infortuni risanabili solo tramite chirurgia (al gomito), dal quale è sortito con il timbro della riammissione stampigliato a mo’ di tatuaggio. Secondo tentativo. C’è solo da chiedersi se si rende conto, il Djoker, della fortuna che ha avuto: una seconda vita non sono in tanti quelli che riescono a procurarsela. E ancora meno quelli che trovano il modo di darle un aspetto compiuto. Ma questo si vedrà. Al di là degli alti consensi ricevuti per la vittoria nei Championships, e per i cinque set con Nadal (sui quali Rafa continua a chiedersi – non a torto – come abbia potuto uscirne sconfitto), Nole non sembra tipo da accontentarsi, non lo era quello della prima versione e non crediamo lo sia questo di oggi. Certo è che per dare il via alla ricostruzione, non poteva esservi viatico migliore di una vittoria a Wimbledon. Del resto, non si capisce se sia l’iscrizione al Club dei Favolosi, a garantire la vittoria ai Championships, o il contrario. Vinci il torneo e ti ritrovi talmente Fab che in famiglia fanno fatica persino a riconoscerti. Dal 2003, anno d’avvio dell’Era Federer, divenuta Fedal dal biennio 2007-2008, i Campionati si sono consegnati otto volte al Più Grande, due a Nadal, due a Murray e con il successo di domenica quattro volte anche a Djokovic. Quattro nomi per sedici stagioni, e tutti gli altri a guardare. Ma proprio tutti, tutti… Mid e Next Gen, oltre ai rimasugli della Old Generation di cui fa parte anche il finalista Kevin Anderson, trentaduenne. Due presenze appena dei più giovani negli ottavi (il greco Tsitsipas, il russo Khachanov), nessuna nei quarti, ma in compenso quattro Old Gen in semifinale. «Ero convinto che per me sarebbe stata una finale difficile, per tutto ciò che mi portavo dietro. Ma per Kevin molto di più. Wimbledon è un torneo speciale, nel giorno della finale nessuno riesce a sentirsi tranquillo». Sono state queste considerazioni a tranquillizzare Djokovic. Wimbledon impone un vero e proprio esame tennistico, ai suoi candidati. Occorre sapere di tattica, non è ammesso un solo modulo di gioco, è importante sapersi districare negli improvvisi sbalzi d’umore del torneo stesso. «Ero curioso di vedere come avrei cominciato la finale, ma sapevo che superato quel momento tutto sarebbe filato liscio. Wimbledon occorre saperlo giocare, non è un torneo come gli altri, è più difficile, più esigente». Anderson era alla sua prima finale sull’erba, e il Djoker immaginava che si sarebbe consegnato senza colpo ferire. Così è stato. Si va in America, a breve. Obbiettivo Us Open, passando per Montreal e Cincinnati, Masters 1000. Il Djoker sarà ovunque, smanioso di testare da capo la ritrovata vena. Nadal sarà sicuro numero uno fino allo Slam che l’anno scorso ha vinto. Federer si riposerà fino a Cincinnati, un torneo per entrare in forma, poi cercherà il riscatto sul cemento di Flushing… [SEGUE].

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