Fognini e i tornei minori: quando l'opportunismo paga

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Fognini e i tornei minori: quando l’opportunismo paga

I numeri ci dicono che la grande fortuna del numero uno azzurro deriva in gran parte da eventi di piccolo calibro. Ma ora che il ranking sale è d’obbligo alzare il tiro

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Con il successo della scorsa domenica a Bastad, il settimo della sua carriera, Fabio Fognini ha scavalcato Paolo Bertolucci e ha ottenuto il secondo posto nella classifica degli italiani con il maggior numero di titoli ATP nell’Era Open. Davanti c’è il solo Adriano Panatta con dieci (che comprendono Roland Garros e Internazionali). Per accaparrarsi i duecentocinquanta punti del torneo svedese Fognini ha dovuto rinunciare a quello di Umago, al quale era ospite fisso da dieci anni consecutivi e del quale fu campione due anni fa. Per difenderne altrettanti in Svizzera – non ci è riuscito, cadendo all’esordio contro Jurgen Zopp – ha rinunciato al più ricco ma malridotto ATP 500 di Amburgo, che nel 2013 gli regalò il suo secondo e finora più importante trofeo in carriera.

La concentrazione in queste due settimane di eventi importanti nel palmares di Fognini non è una coincidenza. Una rapida analisi del suo palmares mostra come i titoli ATP in singolare del numero uno d’Italia siano tutti giunti non soltanto sulla terra, ma su quella che potremmo definire “terra fuori stagione”. Da Amburgo a San Paolo, da Vina del Mar a Stoccarda (oggi riconvertita in torneo su erba), i tornei che hanno incoronato Fognini si sono sempre tutti svolti tra febbraio-marzo e luglio. La vera e propria stagione sul mattone tritato, che inizia con Monte-Carlo e dopo altri due Masters 1000 culmina nello Slam parigino, ha luogo in primavera. La gira sudamericana e la parentesi tra Wimbledon ed estate sul cemento, ovvero quelle in cui il tennista di Arma di Taggia ha fatto incetta di titoli, sono decisamente meno competitive, tanto che numerosi tornei di quelle settimane faticano a tenersi in vita e meditano un cambio di superficie.

Il campo di partecipazione di eventi come questo è spesso limitato agli specialisti (non sempre di primo piano) ed è terreno di caccia per gli outsider. A dimostrazione di ciò, una lettura degli avversari sconfitti da Fognini nel corso delle sue sette cavalcate vincenti mostra il ripetersi di alcuni nomi, anche ad anni di distanza. Non solo: cinque dei finalisti dei tornei vinti dal ligure erano al loro esordio nell’atto conclusivo di un evento ATP, e tre di loro non ne hanno ancora raggiunto un secondo (Andrej Martin, Yannick Hanfmann e quest’anno Nicolas Jarry, al quale bisogna tuttavia concedere tempo). Allargando la ricerca dei numeri, il ranking medio dei tennisti affrontati in ogni singolo torneo oscilla tra 51 e 147, scendendo in tre occasioni sotto il centinaio. Non varia invece il numero di top 10 affrontati: zero. In una occasione (Umago 2016) Fognini non trovò sul suo cammino neppure un giocatore tra i primi 70 della classifica mondiale.

Grattando sotto la superficie si scopre dunque quello che già si sapeva: Fognini è stato bravissimo a cogliere delle specifiche opportunità fornite dal calendario del circuito, cosa che senza una enorme dose di talento non sarebbe riuscito a fare. Una conferma di ciò sta nel fatto che, tolto Andreas Seppi, l’unica superficie su cui gli italiani in attività hanno vinto titoli è la terra battuta e Fabio ne ha vinti più di tutti gli altri messi insieme. Adesso però la classifica obbliga a pensare in grande. Da numero 14 ATP (a una sola posizione dal best ranking) e numero 12 nella Race per le Finals di Londra, Fognini deve riuscire a tenere il passo della concorrenza migliore nei tornei importanti, cercando di svincolarsi il più possibile dagli eventi più semplici ma meno remunerativi. Il monte-punti di ognuno dei tredici colleghi che lo precedono dipende dalla fascia 250 per appena il 10% come cifra massima, mentre nel suo caso si sale a oltre la metà (53,4%).

Il termine inglese ricorrente vulturing, traducibile nell’italiano “sciacallaggio”, fa riferimento alla pratica dei grandi giocatori di approfittare dei tornei di piccolo calibro per aumentare il numero di punti e di titoli nel palmares. Il senso dispregiativo del termine è fuori luogo – i tennisti sono lavoratori professionisti – ma la ATP si è dimostrata comunque sensibile alla questione: nel circuito Challenger ai top 50 è impedita l’iscrizione tramite entry list, mentre ai top 10 è proibito anche di ricevere wild card. Discorso finora diverso per i tornei ATP 250, la cui sopravvivenza dipende in molti casi dalla presenza in tabellone di uno o due grandi giocatori in grado di attrarre pubblico, in cambio spesso di un cospicuo assegno di partecipazione. A breve, tuttavia, il rimodellamento del tour sfoltirà questo gruppo di eventi: a quel punto, per un campione come Fognini la pesca a strascico dovrà cedere il posto alla ricerca del pesce più grosso.

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