Berrettini, i viaggi in camper sono finiti: "Non fatemi fretta" (Piccardi). Berrettini un gigante (Semeraro). Impresa Berrettini (Azzolini). Berrettini conquista Gstaad: "È solo un punto di partenza" (Crivelli), Berrettini, prima gioia. Danilovic conquista Mosca, la millennial è già campionessa (Scanagatta)

Rassegna stampa

Berrettini, i viaggi in camper sono finiti: “Non fatemi fretta” (Piccardi). Berrettini un gigante (Semeraro). Impresa Berrettini (Azzolini). Berrettini conquista Gstaad: “È solo un punto di partenza” (Crivelli), Berrettini, prima gioia. Danilovic conquista Mosca, la millennial è già campionessa (Scanagatta)

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Rassegna stampa a cura di Daniele Flavi

Berrettini, i viaggi in camper sono finiti «Non fatemi fretta»

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 30.07.2018

 

Papà Luca al volante, mamma Claudia ai fornelli, il fratello Jacopo (più piccolo di due anni) come sparring partner sui campi periferici del tennis mondiale. Le peregrinazioni in camper per tornei Futures e Challenger della famiglia Berrettini, sono ufficialmente finite. Da ieri, a 22 anni e io8 giorni, Matteo da Roma — cresciuto con il maestro Raoul Pietrangeli, d.t. del circolo Magistrati Corte dei Conti, e sbocciato sotto l’ala protettiva di Vincenzo Santopadre alla Canottieri Aniene —, è il secondo italiano più giovane ad essersi annesso il primo titolo Atp nell’era open dai tempi di Filippo Volandri (che a Umago 2003 non aveva ancora compiuto 22 anni). Gstaad, ricca enclave di terra rossa tra il verde delle Alpi svizzere, è un Atp 250. La categoria di tornei in cui Fognini ha vinto sei dei suoi sette titoli (non a caso in Svizzera era campione uscente), la stessa del successo d’esordio di Marco Cecchinato in questa stagione magica del tennis italiano, al quinto centro in sette mesi (Fognini a San Paolo e Bastad, Cecchinato a Budapest e Umago), il terzo in otto giorni dopo la doppietta del Fogna e del Ceck tra Svezia e Croazia domenica scorsa. Si comincia da lì, insomma, con i big in vacanza post-Wimbledon e il resto del mondo diviso tra l’ultimo sprazzo di terra e il cemento americano (dove Matteo è atteso da importanti conferme), si comincia battendo in finale il tignoso spagnolo Bautista Agut, n.i7 del ranking: 7-6 in cima a un tie break infinito, annullando due set point al rivale, 6-4 producendo un tennis intelligente e moderno («Il migliore di tutta la mia carriera» dirà «Berretto» sulle ali dell’entusiasmo), servizio di tutto rispetto dall’alto di 196 cm e dritto alla nitroglicerina, le basi del gioco moderno. Perché Matteo, alla sua età, è il tennista più contemporaneo che l’Italia abbia saputo pescare dal cilindro, il prospetto più interessante alle prese con la stagione che gli cambia la vita. Ottavi a Doha dalle qualificazioni, primo tabellone Slam a Melbourne da lucky looser, ottavi a Budapest, secondo turno a Roma, terzo a Parigi strappando un set al finalista Thiem, gran rimonta a Wimbledon con Sock. «Proprio l’erba gli è servita per migliorarsi sulla terra — racconta da Roma Santopadre, che adesso trema all’idea di raggiungere l’allievo a Kitzbuehel per paura di rompere la magia —. Teniamo i piedi per terra. Arriveranno batoste e momenti brutti, ma Matteo sa imparare: sta bene in campo, ha uno sguardo e un linguaggio del corpo sempre positivi. Ci vuole tempo per crescere: sappiamo cosa fare». Matteo non ha i 31 anni di Fognini né il pasticciaccio brutto di scommesse di Cecchinato nel curriculum. E dai due zioni non pare aver ereditato l’irresistibile — e orrenda — tentazione alla bestemmia in campo. Ha una bella faccia da italiano in gita («Dedicato alla mia famiglia, che mi ha accompagnato ovunque…»), la barbetta per sembrare più grande, che però non dispiace alla fidanzata Lavinia.

 

Berrettini un gigante

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 30.07.2018

 

La vittoria nell’Atp 250 di Gstaad, 6-4 7-6 al numero 17 del mondo Roberto Bautista Agut, è roba fina. Una camera con vista su un futuro di lusso. «la dedico alla mia famiglia», dice Matteo Berrettini, con in mano il massiccio trofeo di un torneo che in passato hanno vinto anche Laver e Pietrangeli. Edberg e Vilas. «E da quando sono ragazzino che credono in me, e mi hanno accompagnato ovunque, anche in posti meno belli di questo. Sono molto orgoglioso di loro». Trattasi di realtà di due vittorie, visto che un’oretta dopo aver chiuso la finale di singolare, la sua prima in carriera, con una smorzata perfetta, quasi commovente, piazzata nel posto giusto al momento giusto – il primo matchpoint – Matteo è tomato in campo coni suoi molto maturi 22 anni e 3 mesi a fianco di Daniele Bracciali, quarant’anni e non dimostrarli, per prendersi anche quella di doppio, 7-6 7-6 al duo ucraino slovacco Molchanov-Zelenay. Era dal 1975 che un italiano non faceva l’en plein, Adriano Panatta vincitore a Kitzbühel in singolare e in doppio con Paolo Berolucci. Anche allora, un romano e 30 61 Pozbised guadagnate In classifica da Matteo Berrettini, arrivato in Svizzera da n. 84 del mondo: oggi sarà n. 54. Pro’ dal 2015, era 135 a inizio 2018,170 a fine luglio 2017 un toscano: chissà che non sia un ricorso felice. Di sicuro è il segnale che un nuovo .corso del tennis italiano maschile sta iniziando, e Corrado Barazzutti, capitano di una squadra di Coppa Davis che improvvisamente può contare su una panchina lunghissima, si frega le mani. La finale di Berrettini, «la ciliegina sulla torta di una settimana perfetta», come dice il suo coach Vincenzo Santopadre, è la terza che i nostri vincono in otto giorni, dopo quelle della scorsa settimana di Fabio Fognini a Bastad e Marco Cecchinato a Umago; la quinta dell’anno dopo i centri sempre di Fogninl a San Paolo e Cecchinato a Budapest (meglio di cosl solo le 7 del 1977, 3 Barazzutti, 3 Bertolucci e 1 Panatta, e le 6 del 1976). Per Matteo, che si allena allAniene dopo aver iniziato al Circolo della Corte dei Conti, il più giovane vincitore azzurro dopo il 20enne Claudio Pistolesi (Bari 1987) e i 21 enni Paolo Canè (Bordeaux 1986) e Adriano Panatta (Senigallia 1971), significa anche scalare la classifica mondiale. Era 135 a inizio 2018, da oggi è numero 54, a ridosso dell’Empireo. Del resto a Gstaad ha giocato davvero alla grande. Non ha perso un set, e nemmeno ceduto un turno di servizio; a Bautista Agut, spagnolo atipiTornei ATP vinti dagli italiani nell’era Open. Con Berrettinl, diventano 24 I giocatori ad averne vinto almeno 1: il leader à Adriano Panatta con 10, seguito da Fabio Fognini con 7 co e universale, non ha concesso una sola palla break, servendo 17 ace e una prima palla che – nell’aria sottile dei 1050 metri sul mare di Gstaad – è filata via ai 227 l’ora Bautista lo ha graziato nel tie-break del primo set, esalando un doppio fallo sul set point, Matteo è stato bravo a prendersi il resto, compreso il primo matchpoint dopo un’ora e tre quarti, con la smorzata di cui sopra. «È il successo più importante della carriera, vale anche più della prima vittoria nel tabellone principale di Wimbledon e del terzo turno a Parigi. Però so che devo lavorare ancora molto, questo è solo un punto di partenza». Molto vero. Il tempo di una battuta con il fratello Jacopo, tennista anche lui, e con coach Santopadre che sarà con Berrettini a Kitzbühel («Vincenzo ha detto che resta a casa perché tanto ho vinto senza di lui? Be:; c’ha ragione…»), e ora bisognerà pensare a Gilles Simon, che lo attende al primo turno in Austria in un remake del secondo turno di Wimbledon, quando Matteo si arrese prima mentalmente che tecnicamente. «A volte in campo pretendo troppo da me stesso», disse allora Matteo, ma era l’erba, ed erano i trucchi da sciamano del veterano francese. A Gstaad si è presentato con i compiti fatti, dimostrando carattere e lucidità da over 30, esibendo non solo un tennis adattissimo ai tempi – e poco frequentato in Italia, anche per caratteristiche fisiche – che può ricordare quello di Sascha Zverev (servizio, diritto, qualche variazione al momento giusto) ma anche una maturità, una consapevolezza inattesa Visto da qui, il futuro non è affatto male.

 

Impresa Berrettini

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 30.07.2018

 

Non ditelo che è come gli altri. Non è esatto. E non è quel complimento che pensate che sia. Matteo Berrettini gioca il tennis dei ragazzi di oggi, spara servizi che sembrano meteoriti, e il dritto viaggia come un treno ad alta velocità, ma lo fa con una nota tricolore, nelle scelte con le quali costruisce i suoi match, che alla fine lo discosta dai “tutti uguali; e lo rende riconoscibile. Ecco uno che gioca da italiano il nuovo tennis, ci permettiamo di suggerire, convinti come siamo che sia stato proprio quel Dna tricolore a farsi strada, nei momenti più tosti del match con Roberto Bautista Agut, e permettergli la prima conquista di una carriera che ci auguriamo lunga e ricolma di trofei. Questo di Gstaad è pesante, una roccia delle Alpi che circondano la cittadina svizzera. Matteo lo solleva un po’ incerto, serve una presa bimane per non farlo cadere. Ha la confusione in testa, succede nei momenti in cui le emozioni si accavallano. Nella prima intervista dopo la vittoria aveva salutato e ringraziato tutti, persino l’albergo «molto bello» e il cuoco che aveva cucinato ottimi piatti. Rivolto allo spagnolo, si era augurato di incontrarlo tante altre volte in finale, mentre il povero Bautista lo guardava smarrito, l’espressione di chi spera nell’esatto contrario. Dovrà imparare a stare lassù, sul podio, il nostro Matteo, ma come vincere una finale difficile, la prima nel circuito Atp, contro un avversario ben più rodato di lui e con otto trofei già in fila nella sua bacheca, l’ha capito subito, per vie naturali. Duecentoventisette chilometri orari, il servizio. E il dritto passante che ha inchiodato Bautista Agut nel tie break del primo set, su un’avventurosa sortita dalla linea di fondo, è stato calcolato intorno ai 140. Potrebbe bastare questo a spiegare l’andazzo della finale. Sarebbe sufficiente aggiungere che gli ace sono stati 17, per un conto finale di 54 in 49 turni di battuta dall’inizio del torneo. Matteo non ha mai perso il suo servizio, e ha sempre vinto in due set. Anche contro gente robusta come Rublev, il finalista della Next Gen milanese di un anno fa; come Feliciano Lopez che ha tre “quarti” a Wimbledon e uno agli Us Open; infine Bautista Agut, numero 17 Atp, alla terza finale quest’anno. Sono numeri che la dicono lunga ed esortano al sorriso, ma non danno ancora un quadro definitivo, e rischiano di far passare l’avversario spagnolo per uno che abbia preso randellate dall’inizio alla fine. Non è così. La finale è stata a lungo in equilibrio, ed è servita la “parte italiana” del gioco di Matteo, per fare la differenza. Valga un esempio: a estrarre Bautista Agut dai suoi alloggi, in quel tie break serrato che aveva visto i due procedere appaiati fino al 5 pari (e aveva concesso a Bautista Agut il primo set point, sotterrato con un doppio fallo), era stato un chiaro invito da parte di Berrettini, una palla centrale che sapeva di trappola, sulla quale lo spagnolo ha accettato di muovere in verticale, verso la rete. LI Matteo lo aspettava con due missili già in canna. Lo spagnolo ha cercato l’intercetto con la prima volée, e sulla replica si è visto passare da un proiettile avvelenato. Ha capito l’antifona, ha ringraziato in cuor suo di non essere sulla traiettoria di quella palla, e ha ceduto il primo set. Non solo, nei momenti meno propizi della partita, due volte 0-30 nel primo set, una nel secondo, Matteo ha calibrato smorzate assai simili a ricami. Su di una, con doppio avvitamento carpiato, e rimbalzo a tornare indietro, c’è mancato poco che Bautista Agut si avvitasse nella rete. L’avrebbero dovuto ripescare e liberare, prima di rimetterlo in libertà. Il tutto a significare che Matteo ha saputo aggiungere qualcosa di suo a un match tutto servizi e dritti assassini, e lo ha fatto con l’inventiva spensierata di chi se lo può permettere. Ed è quella la parte più italiana del suo gioco, da conservare per tutti i momenti difficili che arriveranno in futuro. Vinto il primo, nel secondo set il gioco del tennista romano è persino migliorato. Ha avuto le prime 4 palle break sul primo servizio dello spagnolo, e ha dominato gli scambi. Il game della vittoria è nato in rimonta dal 30-0 per Bautista Agut al servizio. Sull’ultimo punto, Matteo ha calato sui piedi dello spagnolo una mattonata talmente pesante che quello ha fatto giusto in tempo a scansarsi. Coach Santopadre ha una convinzione. «E’ nato sulla terra, deve imparare a vincere sul suo elemento, ma vedrete che nei prossimi anni diventerà fortissimo sul cemento». Anche in questo Berrettini è in linea con i ragazzi della sua generazione. Intanto non rinuncia al doppio, «che ne affina le qualità nel gioco al volo», e vince anche li, con Daniele Bracciali (che ha 40 anni, ed è stato fermo per 2 stagioni). Prima doppietta, appena la terza (le altre 2 sono di Panatta) da che il tennis è Open. Oggi la classifica del singolare consegnerà Berrettini al numero 54. Un anno fa vinceva il primo challenger, ora il primo Atp. Tutto procede per il verso giusto. Il 2018 è un anno di grazia per il tennis italiano al maschile. Un anno che trova similitudini solo con le stagioni più lontane, storiche e gloriose, quelle degli Anni 70, quando i tennisti italiani vincevano di più, ma non troppo di più, e portavano a casa i tornei più importanti. Cinque vittorie, in questo 2018. Su 5 finali. I nostri tennisti hanno smesso di perdere “quando il gioco si fa duro; e già questa è un’ottima notizia Tre vincitori: Fognini a Sao Paulo, Marco Cecchinato a Budapest, ancora Fognini a Bastad e Cecchinato a Umag, la scorsa settimana, ora Berrettini a Gstaad. Anni migliori di questo sono stati soltanto il 1977, con 7 vittorie (Barazzutti a Bastad, Parigi indoor e Charlotte, Bertolucci a Firenze, Amburgo e Berlino e Panatta a Houston) e il 1976, con 6 successi (Panatta a Roma e Parigi, Bertolucci a Barcellona e Firenze, Barazzutti a Nizza e Zugarelli a Bastad). Il trofeo di roccia delle Alpi sollevato da Matteo Berrettini è i1610 per il nostro tennis, e Matteo da ieri è, insieme, uno dei nostri 24 vincitori nell’Era Open e uno dei nostri 36 finalisti. Ma il tennista romano non è il più giovane, malgrado i suoi freschissimi 22 anni. Al traguardo sono giunti in 5 prima di lui. Claudio Pistolesi il più giovane, vincitore a Bari 1987 ancora ventenne. Poi Panatta a Senigallia 1971, Cancellotti a Firenze (e anche a Palermo) 1984, Canè a Bordeaux 1986, Pescosolido a Scottsdale 1992, tutti ventunenni. Gli altri azzurri di oggi hanno atteso più a lungo. Seppi vinse il primo torneo sull’erba di Eastbourne nel 2011 e aveva 27 anni, Fognini ha cominciato a vincere da Stoccarda 2013, facendo seguire subito il torneo 500 ATP di Amburgo, e di anni ne aveva 26. Lo stesso Cecchinato, altra novità di stagione, è giunto alla vittoria (Budapest, poi Umag) ormai venticinquenne. Lorenzi il più anziano: Kitzbuhel nel 2016, a 35 anni. Anche a livello Slam l’anno in corso è stata fra i migliori. L’approdo di Fognini e Seppi agli ottavi di Melbourne ha dato modo di ritoccare un record, mai due nostri tennisti vi erano riusciti insieme. A Parigi, la semifinale di Cecchinato ha permesso di rinnovare un pezzo di storia: era dal 1978 di Barazzutti che un italiano non si spingeva tanto in alto. A Wimbledon in due sono finiti al terzo turno, risultato che non segna alcun record, ma ha garantito una nostra presenza per tutta la prima settimana del torneo. Al resto (fino ai quarti) ci ha pensato Camila Giorgi.

 

Berrettini conquista Gstaad «E solo un punto di partenza»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 30.07.2018

 

Dal mare alla montagna per scoprire che i miracoli non esistono, ma sono solo la proiezione nella realtà del lavoro, del sacrificio e della fiducia in se stessi. Il 23 luglio di un anno fa, a San Benedetto del Tronto, Matteo Berrettini vinceva il primo torneo Challenger della carriera e poteva assaporare finalmente l’ingresso tra i 200 migliori giocatori del mondo. Aveva 21 anni e tre mesi, né presto ma neppure tardi se l’obiettivo non è un numero fine a se stesso, bensì la costruzione graduale di una base tecnica, fisica e mentale che ti tenga al top: «Insieme a quello, ci metto pure il Challenger di Andria nel 2016 e la finale persa contro Vanni, perché quella settimana mi fece capire che potevo avere una carriera nel tennis. Ma certo non pensavo di poter raccontare di un titolo Atp appena un anno dopo». CUORE E CORAGGIO II romanzo di Matteo è ancora alla prima pagina, ma l’opera è già d’autore: d’ora in avanti, dopo il trionfo a Gstaad, il cielo dei grandi diventa casa sua e il pane duro degli appuntamenti minori solo un ricordo da conservare per mantenere l’umiltà dei forti. Che vittoria, il battesimo di un campione: «Berretto» non ha mai perso il servizio in 49 turni di battuta, aiutandosi con il coraggio e lo sfrontato talento della gioventù nei momenti caldi e affidandosi a 54 ace complessivi in 5 partite, di cui 17 nella finale contro Bautista Agut e addirittura sei nel tie break del primo set che marchierà a fuoco l’esito della sfida contro il numero 17 del mondo. Lì, Matteo si sottrae a due delicatissimi set point (sul primo lo spagnolo è sciagurato con un doppio fallo) e poi con il solito dritto bum bum si prende il parziale, continuando a martellare anche nel secondo fino al cedimento del rivale, mai in grado di procurarsi una palla break in tutto l’incontro. L’apoteosi: Berettini diventa 1124° italiano a vincere un torneo nell’Era Open e l’unico con Panatta (Kitzbuehel 1975) a fare il bis in doppio nello stesso giorno (con Bracciali): «E’ assolutamente incredibile. Credo di aver giocato il miglior tennis della mia carriera, dedico il titolo alla mia famiglia: è da quando sono ragazzino che hanno creduto in me, mi hanno accompagnato ovunque, anche in posti meno belli di questo: sono molto orgoglioso di loro. E poi c’è Vincenzo Santopadre, il mio coach, per me è un secondo papà, anche se non era qui e ho vinto. Forse dobbiamo cambiare qualcosa…» TESTA Massì, nel giorno più bello della vita (fin qui) ci si pub abbandonare allo scherzo, anche perché una delle doti più marcate di Matteo è la solidità di testa, come fa sapere di rimbalzo da Roma proprio Santopadre: «E’ il premio al lavoro, un cammino a volte complicato che però sta percorrendo con grande impegno e dedizione. Bisogna restare con i piedi per terra, ma lui in questo è perfetto, è un ragazzo serio. E poi ha grandi margini di miglioramento. La sua prima qualità? Un’enorme forza mentale». Una caratteristica del nuovo corso azzurro, incarnato pure da Cecchinato: giocatori che sanno vincere le partite. Dici poco. E intanto in una settimana il tricolore si è piantato su tre tornei (con Fognini, Ceck e appunto Berrettini), come solo nel 1977 con Panatta (Houston), Bertolucci (Firenze) e Barazzutti (Charlotte). In quell’anno vincemmo sette tornei, un record: ora siamo a cinque. Avete capito  bene: possiamo addirittura fare paragoni con l’epoca d’oro. Eppure Matteo, l’ultimo dei nostri eroi, da oggi 54 del mondo, vola basso: «E’ solo un punto di partenza, devo migliorare ancora molto»…

 

Berrettini, prima gioia Con Lui, Fognini e Ceck ora L’italia sa volare

 

Ubaldo Scanagatta, il quotidiano nazionale del 30.07.2018

 

Senza  perdere né un set nè un solo game di servizio, ieri come in tutto il torneo per 49 turni, Matteo Berrettini alla sua prima finale ha sconfitto 76(9) 64 anche lo spagnolo Bautista Agut, n.17 ATP (8 finali vinte su 15 ora, incluse 2 nel 2018) e conquistato sulle Alpi svizzere, il primo titolo di una carriera che a 22 anni e 3 mesi si preannuncia a dir poco promettente. E’ il 61° titolo vinto da un tennista italiano. Lui è il 24° campione e il sesto più giovane di sempre. Appartengono ad altri tempi i 5 più precoci: Pistolesi (19,7 m. Bari `87), Pescosolido (20,8 Scottsdale `92), Adriano Panatta (21 Senigallia `71), Cancellotti (21,2 Firenze `84) e Canè (21,3 Bordeaux `86). A mia memoria nessuno dei precedenti 60 trionfi italiani era stato vinto con uno zero nei set e nei servizi persi. Approfittando anche dell’aria rarefatta di Gstaad, 1100 metri, il ragazzone romano dall’aria e dai modi gentili ha letteralmente seppellito di ace (17 nel match e 6 addirittura nel solo Qualità indiscutibili Grazie a una battuta e a un dritto micidiali non ha perso un set tiebreak!) e di servizi vincenti (anche a 227 km orari) lo spagnolo che pure, lottando strenuamente, non aveva neppur lui concesso alcuna pallabreak nel primo set. Nel tiebreak Bautista Agut era comunque riuscito a conquistarsi due set-point, uno dei quali sul proprio servizio ma commettendo un doppio fallo certamente costatogli carissimo. Berrettini, che non ha soltanto una battuta monstre dall’alto del suo metro e 93 – ha un dritto che fa paura e che spara da tutte le posizioni, una smorzata micidiale sia di dritto sia di rovescio – è riuscito anche nel secondo set a non concedere neanche un breakpoint. Ha fatto 40 punti su 47 con la “prima”, cioè 1’85% e 14 su 19 con la “seconda”. Non ho mai visto in 40 anni un italiano battere così. Sebbene cercasse sempre l’ace ha messo quasi 3 prime su 4 (il 71%): un dato pazzesco. Bautista ha salvato 5 breakpoint su 6, ma sul sesto, che era anche il secondo matchpoint sul 4-5, ha servito una “seconda” molto esterna sulla quale Berrettini, spostandosi tutto sulla sua sinistra, ha tirato un tram di dritto che ha quasi tolto la racchetta di mano allo spagnolo. Un attimo dopo volava gioiosamente in aria anche la racchetta di Matteo, quasi incredulo per l’inatteso exploit. E’ UN SUCCESSO che si aggiunge a quelli di Fognini a Bastad e Cecchinato a Umago una settimana prima. Sono 5 i titoli Atp azzurri nel 2018. Fognini aveva vinto a San Paolo, Cecchinato a Budapest. Nel ’77, 41 anni fa, furono 7. Ma da allora mai più di 3 (1991). Di questo giugno anche il risultato tecnicamente più importante: la semifinale raggiunta da Cecchinato al Roland g arros, 40 anni dopo Barazzutti. Non è ancora sui livelli delle 4 top-ten, Schiavone n.4, Errani n.5, Pennetta n.6, Vinci n.7, ma finalmente il tennis maschile sembra tornato in salute.  Come servono soprattutto Berrettini e Cecchinato, per l’imminente stagione sul cemento, i Masters 1000 del Canada e di Cincinnati prima dell’US Open (27 agosto), il tennis italiano può sognare. A Kitzbuhel però, ancora sulla terra e in altitudine e contro l’ostico Simon che lo ha battuto a Wimbledon, “Berretto” domani è chiamato a una difficile prova del nove. Interviste dei protagonisti su www.ubitennis.com Matteo Berrettini, 22 anni: è il primo titolo in carriera.

 

 

Danilovic conquista Mosca, la millennial è già campionessa

 

Ubaldo Scanagatta, il quotidiano nazionale del 30.07.2018

 

Trentaquattro anni in due a Mosca per la più giovane finale di un torneo Wta dal 2005, la prima fra due ragazzine nate nel terzo millennio. Fra le due diciassettenni prodigio, amiche e talvolta anche compagne di doppio, l’ha spuntata 75 67 64 dopo una lotta durissima di 2 ore e 20 minuti – e pur con tutto il tifo per l’avversaria russa Anastasia Potapova – la mancina serba Olga Danilovic. La figlia d’arte era stata tradita dal “braccino” quando aveva servito un doppio fallo chilometrico sul primo matchpoint, avuto già nel secondo set. Ma, pur in difficoltà nella fase centrale del terzo, la Danilovic ha reagito con la grinta del padre campione alla comprensibile emozione. In possesso di un rovescio spettacolare, e straordinariamente incisivo soprattutto con la risposta bimane, la piccola grande Danilovic (1 metro e 83 centimetri) ha servito 7 aces in un match ricco di break (14 su 36 game) e sembra decisa a farsi un nome tutto suo per non essere più presentata soltanto come la figlia di Predrag Danilovic, il grande campione della Virtus e del basket mondiale anni ’90. IL DUELLO fra le due ragazze ormai a un passo dalle top 100, ma che paiono destinate a sfondare molto più su, sebbene oggi la Potapova sia numero 204 e la Danilovic 17 posti più avanti, si è concluso con un lunghissimo e bellissimo abbraccio. Piangevano tutte e due.

 

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