La prova del 9. Djokovic supera Federer e rompe l’incantesimo (Cocchi). Halep battuta dalla Bertens in rimonta. È il 5° titolo (La Gazzetta dello Sport). Cercasi campione (Azzolini). Serena vuole una risposta (Azzolini)

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La prova del 9. Djokovic supera Federer e rompe l’incantesimo (Cocchi). Halep battuta dalla Bertens in rimonta. È il 5° titolo (La Gazzetta dello Sport). Cercasi campione (Azzolini). Serena vuole una risposta (Azzolini)

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La prova del 9. Djokovic supera Federer e rompe l’incantesimo (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

La prova del nove è riuscita. Se servivano conferme sullo stato di forma fisica e mentale di Novak Djokovic dopo la vittoria di Wimbledon, eccole. A Cincinnati il serbo riesce a sfatare il tabù conquistando il titolo dopo cinque tentativi falliti in finale e completando la collezione dei nove Masters 1000, unico a riuscirci. Dall’altra parte della rete, nella riedizione di una sfida infinita, uno dei grandi classici della storia del tennis, Roger Federer che sul cemento di Cincy, al contrario, aveva già trionfato sette volte. Sono bastati due set a Nole, perfetto alla risposta, per battere lo svizzero, che nel settimo game del primo parziale ha ceduto il servizio. Roger è stato piuttosto impreciso quando si allungavano gli scambi e abbastanza nervoso, tanto da meritarsi addirittura un warning per aver imprecato dopo un dritto steccato. Il primo parziale si chiude 6-4 per Nole che però cede la battuta a inizio del secondo spedendo Roger in vantaggio 2-0. Un paio di errori gravi col dritto e di doppi falli costano allo svizzero la battuta subito dopo e il set si rimette in parità. Stavolta tocca a Djokovic beccarsi un warning per aver sforato lo shot clock. La partita prende la piega decisiva ancora una volta nel settimo game, con Nole che di nuovo mette avanti la testa strappando il servizio a Federer per il 6-4 6-4 finale. Si interrompe così la lunga striscia di successi di Federer a Cincinnati. Il Magnifico, che in semifinale aveva superato David Goffin, ritirato per infortunio a inizio del secondo set, è arrivato indubbiamente più fresco all’appuntamento finale, mentre il serbo aveva faticato per avere la meglio su Cilic in tre set come era accaduto già con Mannarino, Dimitrov e Raonic. Il pronostico sembrava propendere per lo svizzero ma il serbo, che da maggio è tornato a lavorare con lo staff di un tempo insieme a Marian Vajda, alla condizione fisica ha aggiunto un’altra dose di fiducia, di forza mentale, l’ingrediente spesso letale del suo tennis. E anche questa volta la testa di Nole ha fatto la differenza: «Mi sembra irreale essere qui con il trofeo grande, di solito avevo quello piccolo. Ed è incredibile, dopo Wimbledon, vincere anche questo titolo. Quello che mi mancava». Una cosa è sicura: mentre impazza la Next Gen mania, è ancora il passato a farla da padrone nei grandi appuntamenti, come prova la puntata numero 46 della grande saga Djokovic-Federer che si allunga a favore del serbo 24-22. Dall’ultima volta che si erano incrociati, nella semifinale degli Australian Open 2016, entrambi ne hanno passate delle belle. Passaggi sul tavolo operatorio, cambi tecnici, crisi di risultato e personali. Salite affrontate e domate con successo tanto che, 934 giorni dopo, hanno nuovamente incrociato le racchette per una sfida senza tempo tra due uomini, due atleti che del tennis hanno scritto la storia a suon di record.

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Halep battuta dalla Bertens in rimonta. È il 5° titolo (La Gazzetta dello Sport)

Kiki Bertens è la regina del torneo femminile a Cincinnati (Wta premier 5). Con una splendida rimonta e dopo aver anche annullato un match point, l’olandese ha battuto in tre set la numero 1 al mondo Simona Halep. Dopo aver perso il primo set per 6-2, la Bertens ha vinto il secondo parziale al tie-break (per 8-6) e poi ha fatto suo il terzo con uno schiacciante 6-2. Per la olandese numero 17 al mondo era l’ottava finale in carriera, la terza in questa stagione, dopo quella persa a inizio maggio a Madrid e quella vinta in aprile a Charleston, dove ha messo in bacheca il quinto trofeo Wta. Sfida per il titolo numero 33 invece per la Halep, la sesta nel 2018, stagione in cui ha perso in finale agli Australian Open e a Roma e ha fatto centro a Shenzhen, al Roland Garros e una settimana fa a Montreal. Camila Giorgi ha guadagnato l’accesso al tabellone principale a New Haven, ultimo appuntamento prima degli Us Open al via lunedì 27 agosto a Flushing Meadows. Nel turno decisivo di qualificazione la maceratese ha superato l’australiana Samantha Stosur, numero 65. Intanto Paolo Lorenzi ha vinto il Challenger di Cordenons battendo in finale Mate Valkusz (n. 367) 6-3 3-6 6-4.

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Cercasi campione (Daniele Azzolini, Tuttosport)

C’è un posto libero nei Fab Four, quelli d’annata intendiamo. C’è un posto da riempire al fianco di Nadal, Federer e Djokovic. Rafa, Roger e Nole ci sono ancora, e sembrano sufficienti a garantire un’edizione degli Us Open diversa da quella di un anno fa, che si chiuse con una finale già decisa nel risultato, malgrado l’ammirevole tentativo di scardinare il gioco di Rafa condotto dal sudafricano Kevin Anderson.  L’anno scorso l’unico a presentarsi in condizioni decenti agli Us Open fu Rafa Nadal. Federer forzò la programmazione decisa dal suo team per tentare di riprendersi il primato, giocò il Masters canadese senza un numero di allenamenti adeguato e si fece male alla schiena compromettendo il resto della trasferta americana. Djokovic neanche c’era, aveva mollato tutto dopo Wimbledon e ora ha un mare di punti da recuperare qui e là (e lui sembra intenzionato a giocare tutti i tornei possibili), una pesca che presto lo porterà in zona podio. Racconta Marian Vajda, il coach allontanato dopo l’addio a Becker e oggi recuperato da Djokovic dopo essere passato per le mani di Agassi, del fratello Marko e di Stepanek, oltre che in quelle del guru spagnolo Pepe Ymaz – ieri guida indispensabile oggi nella lista degli scaricati – che quando giunse la telefonata di Nole, prima del torneo di Monte-Carlo, lui lo tenne sulla graticola per qualche giorno, poi gli disse che avrebbe accettato solo se avesse ritrovato un giocatore pronto a fare le cose seriamente. La risposta fu positiva, e il dialogo fra i due è ripreso, tra i molti bassi del periodo rosso di Nole (le sconfitte con Thiem a Monte-Carlo, con Klizan a Barcellona, con Edmund a Madrid, con Nadal a Roma e con Cecchinato a Parigi) e la ripartenza improvvisa avvenuta sul erba del Queen’s (finale) che ha condotto alla vittoria di Wimbledon, meritata dal Djoker eppure regalata da Nadal che non seppe approfittare in semifinale di una supremazia evidente. Federer resta nel gruppo dei molto forti, ma la spinta propulsiva del 2017 sembra essersi esaurita con la conquista dello Slam numero 20 in Australia. Nel resto della stagione Federer ha mostrato che a 37 anni si può giocare come una volta, con la stessa intensità, ma anche che sulle lunghe distanze gli anni si fanno sentire. Ogni qualvolta Federer ha superato le tre settimane consecutive di gioco, il suo rendimento si è affievolito: a marzo ha voluto giocare Rotterdam per riconquistare il primo posto in classifica, ha vinto, poi si è presentato a Indian Wells ed è stato battuto in finale, e al terzo appuntamento consecutivo, a Miami, ha ceduto al primo turno. Lo stesso, più o meno è accaduto sull’erba: ha vinto Stoccarda, è andato in finale ad Halle già stanco, e gli sono mancate le gambe nei quarti contro Anderson a Wimbledon, in un match praticamente vinto. Rafa sembra il più in palla. Quaranta vittorie e tre sole sconfitte, cinque titoli già vinti: Monte-Carlo, Barcellona, Roma, Parigi e Toronto. È partito lento (quarti in Australia) ha saltato i tornei della primavera americana, si è calato appena possibile sull’amata terra. Ha una scorta di energie infinita, e come Federer è attento a non forzare la mano. Vinto il Masters canadese, si è subito ritirato da Cincinnati. Resta un posto fra i Favolosi, dicevamo. A chi assegnarlo? La classifica indica Del Potro, Zverev e Cilic… E non v’è dubbio che Delpo abbia qualcosa in più: è il numero tre, ama il cemento americano, è in discrete condizioni: finalista a Los Cabos battuto da Fognini, nei quarti a Cincinnati superato sul filo da Goffin. Stenta Zverev, che ha vinto a Washington, poi è stato superato da Tsitsipas a Toronto ed è crollato a Cincinnati. Cilic si barcamena fra risultati discreti, ma forse è il caso di dare fiducia a Stefanos Tsitsipas, ormai numero 15 della classifica (e numero 11 nella Race). Ha compiuto 20 anni il 12 agosto, e ha già rimediato 1727 punti nel corso dell’anno, con due finali (Barcellona e Toronto, sempre sconfitto da Nadal) e buonissime prestazioni ovunque. Ha carattere, colpi, entusiasmo. Ed è ancora un Next Gen.

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Serena vuole una risposta (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Il tennis statunitense s’interroga su quanta voglia abbia ancora mamma Serena di fare la tennista. Insospettisce uno dei suoi ultimi cinguettii, piuttosto esplicito se non si conoscesse la duplice missione cui si è dedicata al momento del ritorno in campo dopo la maternità. Diceva in quel tweet, la Serena, che se non avesse un mestiere da portare avanti, avrebbe già messo in cantiere un secondo figlio. Ma il mestiere ce l’ha, anzi, più d’uno, e anche le missioni da condurre in porto, molteplici pure queste: la prima, mostrare al mondo che una mamma può tornare a fare ciò che stava facendo ai massimi livelli; la seconda, vincere ancora uno Slam per affiancare a quota 24 titoli la Court, e magari un secondo per portarsi a 25 ed essere definitivamente in testa da sola. Non è riuscita a conquistare il Grand Slam nel 2015, sotterrata dalle volée di Roberta Vinci, vuole almeno chiudere con la certezza di essere la prima, forse l’unica, magari la Più Grande fra tutte. Fra il dire e il fare preoccupa l’ultima esibizione di Serena a San Josè contro la britannica Johanna Konta Scena muta per un’ora di tennis svuotato di contenuti e di energie: 6-1 6-0 in primo turno, una sconfitta che ha acuito il suo malessere facendole scoprire ciò che sui libri dedicati alle neo mamme è descritto con parole appropriate: esiste una depressione post partum che accomuna molte mamme e tende a farle sentire colpevoli verso i figli qualsiasi cosa facciano di diverso dall’accudirli. Insomma, niente di nuovo. Ma Serena, si sa, continua a proporre se stessa come la protagonista di una fiction sulla sua vita. Ovvio chiedersi se in questa sceneggiatura vi sia spazio per il tennis. Gli Us Open daranno una risposta, perché in quei giorni la piccola Alexis Olympia compirà un anno, perché mamma Serena vorrà stare con lei e al tempo stesso in campo a ricevere onori. Un bel casino, insomma. Soprattutto in caso di una rapida sconfitta sì potrebbero aprire porte cui Serena non ha ancora bussato. Anche quella che porta all’addio definitivo.

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