Serena in finale, Rafa cede a del Potro (Scanagatta). La grandezza della Williams emerge dalla sua risalita (Bertolucci). Eternità Williams, "Ho davanti un futuro radioso". Nadal tradito dal ginocchio, via libera a Del Potro (Lopes Pegna). Mamma Serena, Superwoman in tutù (Zanni) Tra Serena e Naomi chi ha più muscoli? (Azzolini). Inutile computer, non ha capito la forza di Serena (Clerici)

Rassegna stampa

Serena in finale, Rafa cede a del Potro (Scanagatta). La grandezza della Williams emerge dalla sua risalita (Bertolucci). Eternità Williams, “Ho davanti un futuro radioso”. Nadal tradito dal ginocchio, via libera a Del Potro (Lopes Pegna). Mamma Serena, Superwoman in tutù (Zanni) Tra Serena e Naomi chi ha più muscoli? (Azzolini). Inutile computer, non ha capito la forza di Serena (Clerici)

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Serena in finale, Rafa cede a del Potro (Ubaldo Scanagatta, Nazione-Carlino-Giorno Sport) 

Juan Martin del Potro, 9 anni dopo il suo trionfo qui nel 2009 (battè sia Nadal sia Federer), titolo che non riuscì a difendere perché dovette operarsi al polso destro — prima di 3 successive operazioni a quello sinistro – è il primo finalista dell’US Open. Stava vincendo 76(3),62 quando Rafa Nadal si è ritirato, dopo aver chiesto l’intervento del fisio 2 volte, sul 4-3 del primo set ed essersi fatto fasciare il ginocchio destro sul 2-1 nel secondo. E’ il ritiro n.9 di Rafa nel corso di un match, il n.3 in uno Slam, il secondo quest’anno (con Cilic in Australia). E’ stato fermato da una tendinite. «Non aveva senso continuare, io ero fermo lui correva», ha detto Rafa. E Juan Martin: «Non è certo così che volevo vincere; non mi piace veder soffrire Rafa, sono triste per lui ma felice per me, di nuovo in finale…Credo che la chiave del match sia stato il primo set». Del Potro è stato avanti 2 volte di un break, ma il set si è deciso al tiebreak in cui è sempre stato avanti, 3-1, 5-2,6-3 prima del 7-3 finale. Nel secondo set è andato avanti 3-1 e Nadal non poteva difendersi. Serena Williams la sera prima si era qualificata per la finale n.31 di uno Slam: «E’ onestamente davvero incredibile» è stata la prima reazione di Serena (assente all’US Open 2017 perché in attesa di Alexis Olympia), la prima qui in 4 anni. Nel 2015 in semi perse dalla Vinci, nel 2016 dalla Pliskova. «Un anno fa stavo lottando letteralmente per la mia vita all’ospedale dove avevo appena avuto con un cesareo la mia baby. Quattro interventi chirurgici. OGNI giorno che riesco a scendere su questo campo sono così riconoscente — e guarda in cielo al suo dio Geova — che ho ancora l’opportunità di fare questo sport. Non importa cosa succede nel match, semifinali, finale…mi sento comunque come se avessi già vinto!». Serena è sincera, lo è sempre stata, molto più della sorella maggiore Venus, più circospetta, più attenta a non dire cose che non siano politically correct. Serena è diretta, pane al pane, vino al vino. Genuina, simpatica, spiritosa. Una donna piacevolissima da frequentare. Tre mesi fa aveva raggiunto anche la finale di Wimbledon, ma l’aveva persa dalla Kerber. In semifinale qui ha dominato la lettone Anastasja Sevastova 63 60. Era partita male, sotto 2-0 poi ha vinto 12 degli ultimi 13 games abbattendosi sulla Sevastova come un tornado. Di Slam ne ha vinti 23 e se vince lo Slam n.24 stasera contro la prima giapponese mai pervenuta ad una finale, Naomi Osaka, 20 anni e n.19 Wta, eguaglia il record della grande australiana Margaret Court. PER LA OSAKA, nata nella città omonima da padre haitiano che gli ha trasmesso la pelle scura e madre giapponese, poi trasferitasi negli USA a 3 anni e da diversi residente a Miami (capisce il giapponese ma quasi non lo parla, ai suoi connazionali risponde in inglese) «Serena è sempre stato il mio idolo, il mio modello ispiratore. I love her». La Osaka ha battuto 64 62 l’americana Keys, finalista qui un anno fa, cancellando 13 palle break: «Sognavo di giocare contro Serena in una grande finale». La Osaka quest’anno aveva vinto a sorpresa il torneo di Indian Wells, e poi al primo round del torneo di Miami aveva battuto Serena 63 62. Ma non era la vera Serena, ancora.


La grandezza della Williams emerge dalla sua risalita (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Nella finale Slam numero 31 di una memorabile carriera, Serena Williams affronta stasera la ventenne giapponese Naomi Osaka. I progressi compiuti negli ultimi mesi dalla campionessa americana, che compirà 37 anni il 26 settembre, sono apparsi evidenti nel corso di tutto il torneo. La risalita dalla maternità, resa complicata da delicati problemi fisici, è stata complessa e irta di difficoltà, ma adesso Serena è tornata a servire come un treno, il rovescio appare continuo e il solo dritto, a volte, mostra qualche incertezza. I progressi fisici sono evidenti e la reattività nei cambi di direzione invia segnali confortanti. Il suo è un tennis impulsivo, votato alla continua ricerca dell’affondo vincente, ma i suoi tentativi non risultano mai scriteriati. Gli impatti con la palla sono precisi, le sbracciate possenti, le rotazioni corrette e agonisticamente si rivela sempre più bulimica. Ha maturato una nuova consapevolezza e una concorrenza quanto mai effimera l’ha aiutata non poco a tornare a dettare legge. Se in avvio di partita prende la testa diventa quasi impossibile recuperare il divario. Sarà molto difficile per la Osaka replicare la vittoria ottenuta nello scorso mese di marzo a Miami. La giapponese è una giocatrice solida, si muove con destrezza, è resistente nella corsa ma, al tempo stesso, veloce sul breve. Sotto la guida di Bajin, ex sparring partner proprio di Serena che ha scelto la via del coaching, ha incrementato il servizio e irrobustito il rovescio bimane ma, per ribaltare il pronostico, avrà bisogno di un tennis imprevedibile e di una giornata magica.


Eternità Williams, “Ho davanti un futuro radioso” (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

Appena conquistata la 31a finale in un Major, Serena fa ridere tutto lo stadio che l’adora: «A rete in genere ci vengo solo per stringere la mano alla mia avversaria a fine partita. Stasera però sapevo che per spuntarla avrei dovuto attaccare (24 punti su 28, ndr). Ehi, ho vinto un po’ di Slam in doppio: non sono così scarsa nella volée». Poi quando ricorda la difficile gravidanza del 1° settembre di un anno fa in cui rischiò la vita, l’umore cambia. Le si era formato un ematoma per un grumo di sangue, aveva sofferto di embolia polmonare e le si erano riaperti i punti del cesareo. Spiega: «Dodici mesi fa lottavo per sopravvivere in un letto d’ospedale: stavo per affrontare la mia quarta operazione. Non riuscivo a camminare o a muovermi. E adesso, dopo un anno, sono qui a giocare la mia seconda finale di uno Slam». E rilancia: «Non sono una ragazzina, ma ho davanti un futuro radioso e promettente». SPAVENTOSA Ecco serviti tutti quelli che la davano sul viale del tramonto. Ribadisce: «Non sono al meglio della condizione, forse al 50-60 per cento. Non mi sento ancora la vecchia Serena, devo ritrovarmi fisicamente e mentalmente». Spaventosa Williams, in grado di arrivare all’epilogo di Wimbledon e alle soglie di un ennesimo trionfo agli Us Open, giocando appena 18 partite prima di presentarsi qui a Flushing. Un avvertimento a chi oggi vorrebbe rovinarle la festa: Naomi Osaka, la prima giapponese a qualificarsi per una finale Slam. IDOLO Con una freddezza insolita per una ragazzina di 20 anni, elimina Madison Keys, finalista nell’edizione 2017, e manda all’aria i piani degli americani che confidavano nella seconda finale consecutiva tutta yankee. La grande motivazione di Naomi, sangue haitiano(papà) e nipponico (mamma), nata in Giappone e trasferita negli Usa all’età di tre anni, era stata proprio Serena. «Se ho salvato 13 palle break su 13 è perché volevo giocare a ogni costo contro di lei», spiega. Le invia pure un messaggio d’amore: «Le voglio bene». Ma poi un po’ pentita, rettifica: «Ma quando ce l’avrò davanti la tratterò da rivale, non da idolo». Del resto lo ha già fatto, battendola a marzo al primo turno di Miami, unica loro sfida. Serena replica con la bonaria arroganza di regina: «Attenzione, allora stavo ancora allattando: mi trovavo in una situazione totalmente differente rispetto a oggi. Non giocherò male come quel giorno. Quel match però mi torna utile, perché saprò che cosa fa in campo». IL RECORD Come nel turno precedente con la Pliskova, anche con la Sevastova, la ex numero uno, ora 26, era andata sotto: 0-2. Un diesel che ha bisogno di qualche scambio per scaldare il motore. Perché poi aveva vinto dodici dei tredici game successivi. Sarà la nona finale (6 trionfi e due sconfitte) a New York. Le si presentano davanti ghiotte occasioni per rimpolpare il lungo almanacco dei suoi record. Raggiungerebbe Margaret Court a quota 24 Slam, opportunità fallita a Wimbledon. E potrebbe staccare Chris Evert per numero di vittorie in questo torneo. Ma l’argomento scotta: «Non è il momento. Ho già avuto l’opportunità di eguagliare la Court quest’estate e l’ho mancata. Ci riproverò e se non succederà ci ritenterò di nuovo». Dice che vive ancora in una gigantesca bolla, che raramente riflette su ciò che ha vinto: «Non pensate che la mia casa sia piena di trofei. Ne ho uno solo e lo tengo in camera di Olympia». Ma ciò che le preme di più è sapere che Naomi e le altre ragazzine vorrebbero essere come lei: «Vorrei essere di esempio in molti campi, ma sono io stessa in una fase di apprendimento. Semplicemente, ogni giorno cerco di essere migliore». Il messaggio più potente che potesse spedire alle sue ammiratrici.


Nadal tradito dal ginocchio, via libera a Del Potro (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

I ragazzi di Tandil, dove è nato Juan Martin Del Potro, cantano a squarciagola: «Olé, olé, Delpo Delpo». La sfida fra Del Potro e Nadal trasformata in un El Clasico di football. Ma stavolta «El Clasico» finisce nel modo che meno ti aspetti: Rafa si ritira dopo aver perso i primi due set. Già durante il primo (ceduto al tie-break) aveva richiesto l’intervento del fisioterapista per fasciare il ginocchio destro all’altezza del tendine rotuleo e nel secondo, dopo un’altra interruzione medica, in campo era rimasta la sua controfigura. Quando è andato sotto 1-4 nel secondo parziale ha gridato all’arbitro la sua frustrazione: «Mi ritirerò, ma questa non la puoi chiamare». Un’anticipazione di quello che accadrà di li a poco. Ceduto anche la seconda frazione per 6-2, Rafa si siede, si toglie i polsini e con la mano fa cenno che è finita. Poi abbraccia il suo rivale e se ne va. IL RITORNO Così in finale ci va Del Potro, la sua seconda volta in uno Slam (sempre qui a Flushing) di una carriera costellata dagli infortuni. Non esattamente il modo in cui avrebbe voluto centrare questo ambizioso traguardo dopo aver vinto, proprio qui, il suo unico Major, 9 anni fa. E’ infatti quello che dice: «No, non il modo migliore. Non mi piace vederlo soffrire: sono triste», si commuove il ragazzone argentino. Prosegue: «Con tutti i problemi che ho avuto in questi anni, non mi sarei aspettato di ritrovarmi con la possibilità di conquistare un altro major». Nadal chiarisce che si tratta di una tendinite e che non poteva più sopportare il dolore. Spiega Delpo: «La chiave è stata vincere il primo set». E’ probabilmente l’unico pezzo di match che ha un valore tennistico. Delpo parte benissimo e va 1-0 sul servizio dello spagnolo solo per restituire la battuta al game successivo. Poi torna su al nono gioco, ma subito dopo fallisce due chance di set-point e subisce il break. In genere si sa come vanno a finire queste partite con Nadal, non ieri. Nel tie break Juan Martin non lo perdona. RISULTATO: Del Potro (Arg) b. Nadal (Spa) 7-6 (3) 6-2 rit. Ieri notte Djokovic-Nishikori.


Mamma Serena, Superwoman in tutù (Roberto Zanni, Il Corriere dello Sport)

Anche la piccola Olympia si è messa il tutù, come fa la mamma quando scende nell’Arthur Ashe Stadium. La foto postata su Instagram alla vigilia della 31° finale in uno Slam, rappresenta in un certo senso, una volta di più, l’ennesima impresa di Serena Williams. L’anno scorso non era presente agli US Open perché stava dando alla luce la figlia. Oggi, a meno di tre settimane dal suo 37° compleanno, eccola nella partita più importante, finale con Naomi Osaka, alla ricerca del suo 24° Slam, che eguaglierebbe il record che appartiene all’australiana Margaret Court. PER LA VITA. Un anno fa la Williams stava anche combattendo contro le gravi complicazioni post parto, che hanno messo a repentaglio la sua stessa vita, un’altra embolia polmonare (le era successo nel 2011). Ora è alla seconda finale consecutiva in uno Slam: l’altra, luglio scorso a Wimbledon, l’ha persa contro Angelique Kerber. Un mese fa aveva anche subito la sua peggior sconfitta, 6-1, 6-0 contro la britannica Johanna Konta. Ma per Serena nulla sembra impossibile, soprattutto quando si parla di tornare. «Questo è solo l’inizio – ha detto dopo aver battuto la Sevastova in semifinale – Sto ancora scalando, la cima è lontana una partita: che panorama ci sarà…». DA OSAKA A OSAKA. Nel marzo scorso Naomi Osaka aveva sconfitto Serena a Miami, due set secchi, 6-3, 6-2. «Posso solo andare avanti da questo match», fu il commento della Williams. E Patrick Mouratoglou le disse che per tornare ai vertici avrebbe dovuto mettere il tennis davanti alla famiglia, andare in Francia e allenarsi nella sua accademia. Due settimane le sono servite per cedere alle pressioni del coach, decidendo anche di smettere di allattare la figlia convinta che le danneggiasse la forma fisica. Ora è alla sua nona finale a Flushing Meadows, prima vittoria nel 1999, l’ultima nel 2014 (sei in totale) e dopo la semifinale di giovedì ha detto anche che quel successo era come aver vinto il torneo. Ma poi non era vero, non era da lei, anche perché si è trasformata in un esempio per tutte quelle mamme lavoratrici e alla fine la sconfitta è qualcosa che non è mai esistita nel vocabolario di Serena. LOTTATRICE. Lo ha ricordato anche Alexis Ohanian, il marito, che ha postato un video che unisce la nascita di Olympia ai successi di New York di Serena. »Ha combattuto per la sua vita – queste le parole che hanno accompagnato le immagini – per la nostra bambina, per la parità delle retribuzioni, per i diritti delle donne. Lei non si arrende mai». Una eroina dei nostri giorni in tutù. Eccola pronta per la partita che può segnare un nuovo capitolo nel tennis femminile moderno, anche se per Alexis, Olympia e tutti i suoi fan Serena la storia l’ha già scritta


Tra Serena e Naomi chi ha più muscoli? (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Un po’ diverse, ma solo un po.’ E un po’ simili, forse più di quanto non si creda. Fra Serena e Naomi c’è un filo comune, che non viene solo dall’infatuazione di una bimba tennista per l’idolo già grande che vede vincere ovunque, e decide di imitarla, di riempire la sua stanza coni manifesti della donna cui un giorno vorrà somigliare. C’è una discendenza diretta, che prende forma dal tennis praticato allo stesso modo, per vie immediate, e in parte anche naturali vista l’indole delle due, che va per le spicce e taglia corto con le eccessive elucubrazioni. E c’è un messaggio abbastanza esplicito, in questa finale ben più complessa e futuribile di quanto non si creda: due ragazze lontane negli anni ma vicine nei modi vengono a dirci che l’aggancio al tennis maschile, che fu la “mission” dichiarata di Martina Navratilova, è in parte avvenuto, non sul piano del gioco di qualità, cui l’ex cecoslovacca si ispirava sul modello dei Grandi Erbivori australiani, tutti attaccanti e proiettati verso la rete, ma del gioco di sostanza, ad alta intensità negli scambi, di estremo impegno muscolare e fisico. Quello che Serena gioca da oltre venti anni, e che Naomi ha fatto suo, chissà se per spingerlo ancora più in là negli anni a venire. NON PARLA GIAPPONESE Quando Serena Williams vinse il suo primo Us Open, nel 1999, il primo di 23 titoli che la Sister vuole far diventare 24 e raggiungere così Margaret Court sulla cima dello Slam, Naomi Osaka non aveva ancora due anni. Non giocava a tennis, anzi, un pó si: guardava la sorella Mari che tirava di racchetta. Come Serena con Venus… E come Serena, Naomi aveva fretta di diventare tennista anche lei, di imparare, e di battere la sorella. «Fino ai 15 anni mi prendeva a pallate, una sequenza ininterrotta di sei a zero», ha raccontato, «poi un giorno le ho dato 6-2, e da quel momento non mi ha più battuta». Sul campo c’era il padre di Mari e Naomi, un signore di Haiti, sposato con una giapponese di Osaka, la signora Osaka (guarda un po’). Anche qui, le vicinanza esistono. Lei, Naomi, a Osaka c’è nata, ma è stata portata subito ad Haiti, e da li in Florida, a Boca Raton. Ora ha doppio passaporto e gioca per il Giappone, ma il giapponese non lo sa parlare e risponde in inglese alla torma di giornalisti del Sol Levante giunti a New York. Serena è diventata invece la sostenitrice di tutte le cause della comunità afro-americana, della quale rivendica con coraggio la leadership. Ma in Africa, alla ricerca delle sue origini, non è mai andata. Estremi che si toccano, come sempre. «Io le voglio bene», dice Naomi, «anche se la conosco solo un po’, è stata troppo importante, Serena, per il tennis femminile e per tutte noi. Giochiamo come lei? E’ vero, è un tennis da due, tre colpi. Meglio così, evitiamo di annoiare il pubblico». La conosce bene Sasha Bajin, da quest’anno coach di Naomi, dopo un lunghissimo apprendistato come sparring di Serena. Quest’anno si sono conosciute meglio a Miami, per la prima volta di fronte. E ha vinto la piccola, che procede Serena anche in classifica e dunque potrebbe vantare il ruolo di favorita in questa finale. «Ma che c’entra… Lei era al primo torneo dopo la gravidanza, e io avevo da poco vinto Indian Wells. Il ruolo non si discute. Lei è la numero uno anche quando non lo è», la omaggia Naomi. «E io penso che la Osaka sia una tennista dal futuro assicurato. Mi piace molto come lotta e come cerca di fare il punto, è molto ispirata in questo torneo, e potrà certamente essere la numero uno, in futuro». Finale (stasera, alle ore 22 italiane) in bilico? Forse sì, Serena potrebbe essere meno favorita di quanto si creda. Vada come vada, stavolta non sarà il tennis a rimetterci. Se vince Serena (sarà n.11 in classifica, nel caso), una mamma tornerà a imporsi nello Slam, e lei coglierà il 24° titolo della serie; gliene basterà uno soltanto a quel punto per scavalcare la Court, poi potrà ritirarsi contenta. Se sarà Naomi a vincere il suo primo Slam (il primo anche per il Giappone), lei entrerà in Top Ten e il tennis potrà annunciare al mondo che Serena ha finalmente trovato l’erede


Inutile computer, non ha capito la forza di Serena (Gianni Clerici, La Repubblica)

Stiamo aspettando che Serena batta tutti i record, o almeno raggiunga quello di Margaret Court, (24 Slam) per suggerire al nuovo presidente della federazione internazionale, l’americano David Haggerty, due regole che quasi tutti si sono dimenticati. La prima e quella di riscoprire l’handicap, lo svantaggio dei tennisti troppo forti, così come si usava nel tennis degli Anni Cinquanta, in ogni torneo degno di questo nome. Per chi non ne fosse informato, Handicap significa Hand In Cap, cioè mano nel cappello, nel quale cappello si trovava vuoi un filo di paglia per un vantaggio nelle gare ippiche, vuoi una moneta per l’acquisto di un oggetto prezioso. Oggi forse, contro una povera piccolina quale Anastasia Sevastova, giunta per meriti a me sconosciuti contro Serena, non sarebbe bastato un 15 di vantaggio per game, ci voleva qualcosa di più, a giudicare dai sessanta punti di Williams contro i quaranta della povera Sevastova, chissà come pervenuta in semifinale. Si tratta probabilmente del fatto, ripetutosi più di una volta nella storia del gioco, dell’assenza in un decennio di una Nascita Miracolosa, tipo Martina Navratilova o anche soltanto Justine Henin, o come dice un amico avverso al rovescio bimane, dell’omologazione. Fatt’è che, dopo i primi due game di riscaldamento sotto il sole, per così dire vinti da Anastasia, è finito il match. Il n. 18 del mondo, la piccola lettonina, è scomparsa da una ribalta per lei troppo importante, e Serena, quasi immobile, l’ha forata di tiracci. Il secondo suggerimento che, fosse ancora presidente l’italiano Ricci Bitti, mi premurerei di inoltrare, è quello di abolire i computer. Almeno per le classifiche, sarebbe bene ritornare ai tempi nei quali i Primi Dieci venivano messi in fila da Main Trengove o da Rino Tommasi. Non basta partorire perché Serena Williams si ritrovi al n.100 o, come oggi che ha giocato quattro tornei quattro, al n. 26. Perché è piuttosto difficile, per un giocatore normale, vincere uno Slam dal numero 26, se il computer non ha avuto notizia delle difficoltà di un parto. Ora si aspetta che, per disputare una cosiddetta finale, sia pronta per Serena un’altra vittima, la presunta giapponese Naomi Osaka. È figlia di mamma giapponese Tamaki, e di un papà haitiano dal nome francese. Dai tre anni di età ha preso sede in USA e conquistato la doppia nazionalità, allenandosi nell’Accademia di Solomon, l’avversario di Panatta nella finale del Roland Garros 1976. Sarà una vera finale, contro Serena? Ah, ci fosse l’handicap!


 

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