Wimbledon apre alla rivoluzione ma a piccoli passi (Bertolucci). Rivoluzione a Wimbledon. Tie break al 5° sul 12 pari (Marianantoni). I Next Gen già grandi. Wimbledon, tie break al 5°set sul 12 pari (Semeraro)

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Wimbledon apre alla rivoluzione ma a piccoli passi (Bertolucci). Rivoluzione a Wimbledon. Tie break al 5° sul 12 pari (Marianantoni). I Next Gen già grandi. Wimbledon, tie break al 5°set sul 12 pari (Semeraro)

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Wimbledon apre alla rivoluzione ma a piccoli passi (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Un muro di cemento armato è stato abbattuto nel tennis e anche la sacralità di Wimbledon porge il fianco al lento, ma inesorabile, cambiamento inserendo il tie break sul 12 pari della quinta frazione. Una decisione molto «british» per non urtare la suscettibilità dei sudditi di Sua Maestà, ma che comunque segna una data importante nel polveroso mondo tennistico. E vero che il long set provocava una dose supplementare di suspence, ma dopo una lotta senza esclusione di colpi e diverse ore trascorse a menar fendenti i giocatori si trovavano con le spalle al muro. In pratica senza la possibilità di rimediare al minimo passaggio a vuoto. Adrenalina pura che entusiasmava il pubblico ma, al tempo stesso, prosciugava mentalmente e dava fondo a ogni energia fisica dei tennisti. Queste battaglie lasciavano segni indelebili, ferite profonde non guaribili in 48 ore e, per il vincitore, significava consegnarsi a petto nudo al prossimo avversario. Per evitare queste situazioni impari, gli organizzatori di Wimbledon hanno scelto un compromesso, anche se personalmente avrei preferito che il torneo londinese si allineasse alle altre prove dello Slam dove il tie break nel set finale si gioca sul sei pari. Potenzialmente si potrebbero giocare altri 12 games (in pratica un altro set) e non vedo come si possa ovviare ai problemi fisici descritti con un simile palliativo. Era comunque arrivato il momento di introdurre qualche novità e di iniziare a seguire, pur con la dovuta cautela, le indicazioni che arrivano da altri sport e dal tentativo, forse troppo innovativo, portato avanti nella finale milanese della Next Gen.


Rivoluzione a Wimbledon. Tie break al 5° sul 12 pari (Luca Marianantoni, La Gazzetta dello Sport)

Dopo la riforma della Coppa Davis, voluta dalla federazione internazionale e dai soldi degli sponsor, è Wimbledon ad annunciare una novità destinata a infliggere un nuovo duro colpo ai puristi del gioco. Dalla prossima edizione dei Championships, anche il torneo più famoso e importante del mondo avrà il tie break nel set finale. Sarà un tie break particolare, non sul 6 pari, ma sul 12 pari, sufficiente comunque a impedire il ripetersi di partite che hanno fatto la storia del tennis come il leggendario duello 2010 tra Isner e Mahut che finì 70-68 al quinto set dopo 11 ore e 5 minuti di battaglia o la semifinale di quest’anno vinta da Kevin Anderson sullo stesso Isner 26-24 al quinto in 6 ore e 36 minuti. TETTO La decisione è stata annunciata direttamente dall’All England Club ed è destinata a creare ulteriori polemiche – come quelle che regolano l’utilizzo del tetto sul Centre Court – proprio per la scelta di usare una via di mezzo tra il tie break tradizionale e la rigida consuetudine che fino a oggi imponeva ai giocatori un margine di 2 game di vantaggio per portare a casa il 5° set. Pur con questa differente regolamentazione – sul 12 pari al 5°, è per assurdo, come giocare il tie break sul 6 pari del 6° set – Wimbledon si allinea all’Open Usa, che ha sempre avuto il tie break in tutti i set fin dal 1970 e alla Davis che invece l’ha introdotto nel 5° solo dal 2016 (dal 1989 negli altri set). Rimangono ancorati alla tradizione solo il Roland Garros e l’Open d’Australia che non prevedono il tie break nel set conclusivo, ma solo nei primi 4 (in Australia dal 1971 e a Parigi dal 1973). E’ la seconda volta che Wimbledon cede alle lusinghe del tie break e anche la prima volta fu molto particolare. Nel 1972 il torneo introdusse, ma solo nei primi 4 set, il gioco decisivo da disputarsi sull’8 pari invece che sul 6 pari. Questa anomalia durò per 7 edizioni fino al 1978: dal 1979 si adeguò al 6 pari. Ancora oggi il tie break viene considerata come la novità tecnica più importante e rivoluzionaria che il tennis abbia subito dalla nascita fino ai giorni nostri. L’introduzione si deve a James «Jimmy» Van Alen, classe 1902 e discreto giocatore degli anni 20 (2° turno al Roland Garros del 1927 e a Forest Hills del 1931). La sua idea primordiale era quella di eliminare i vantaggi e di assegnare il game al giocatore che per primo totalizzava 4 punti in un game. Ma si dovette accontentare di passare alla storia, oltre che per aver fondato l’International Tennis Hall of Fame, per aver convinto l’Itf a mettere in pratica un valido sistema per porre fine ai set. SUCCESSO La campagna di Jimmy Van Alen a favore del tie break ha avuto il primo successo nel febbraio `70, quando la novità fu introdotta al torneo di Philadelphia che allora era uno dei più importanti indoor del mondo. Da lì in poi fu una escalation continua. Come tutte le novità, quella del tie break fu subita, piuttosto che accettata, dal mondo tradizionalista del tennis. Si temeva che trasformasse le partite in una lotteria cinese, e invece il tie break non fa altro che concentrare in pochi attimi, in pochi colpi, le emozioni del tennis che si perderebbero in sfide interminabili


Milano riabbraccia i ragazzi terribili (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Dalle vetrate, la terza torre di City Life appare come un cantiere brulicante e continuamente in movimento. Milano sale, non si ferma, punta sempre più in alto. Milano è la citta dei ragazzi terribili del tennis, la loro rampa di lancio verso il cielo. Le Next Gen Finals rappresentavano una scommessa, e alla vigilia della seconda edizione (dal 6 al 10 novembre), presentata ieri alla Fondazione Fiera, sono già una solida realtà, un evento di respiro mondiale che l’anno scorso solo sui social ha coinvolto quasi dieci milioni di fan. PASSIONE E COMPETENZA Quando nel 2016 venne lanciato il progetto, si trattava sostanzialmente di maneggiare un salto nel buio. Come ricorda sorridendo l’assessore allo Sport Roberta Guaineri, «alla prima riunione il presidente Atp Chris Kermode si presentò tirato, pallido, quasi piangente per il timore di un fallimento». Oggi, sereno e rilassato, Kermode si gode la sua creatura: «Siamo fieri e orgogliosi della nostra idea. Perché puntammo su Milano, perché abbiamo trovato fin da subito passione e competenza. E lasciatemi dire che non ce le saremmo aspettate così, le Next Gen Finals, con questo livello di talento e di competitività. Immaginavano, all’inizio, un torneo con giocatori tra il numero 100 e il 200 del mondo, e invece quest’anno facciamo ancora meglio dell’anno scorso, con Tsitsipas che è addirittura numero 16 e altri due (Shapovalov e De Minaur, ndr.) al 30 e al 31». Non cita Zverev che sarebbe ancora in età (quest’anno i nati dal 1997 in su) ma come dodici mesi fa è già sicuro del viaggio alle Finals dei grandi a Londra. Eppure la qualità dei presenti è già elevata, per il presidente Fit Angelo Binaghi uno stimolo a migliorare, come presenze, i numeri del 2017 (22.453 paganti): «La prima edizione ci ha soddisfatto, ma mi aspetto una risposta ancor più massiccia. Milano intanto si conferma la capitale del tennis giovanile mondiale con la Porro Lambertenghi, l’Avvenire, il Bonfiglio e adesso con la Next Gen. Il torneo tra l’altro cade in un momento felice per noi, con i grandi risultati nel maschile e la miglior classifica della Giorgi. Il lavoro, organizzativo e tecnico, paga». Alle Finals ci sarà anche un italiano, il vincitore del torneo che si disputerà allo Sporting di Milano 3 dal al 4 novembre. SOGNO Con gli Internazionali rifioriti, le Next Gen Finals sempre più incarnate nel tessuto sociale della città, Binaghi può adesso inseguire un sogno: «Le Atp Finals, o più comunemente il Masters di fine anno, sono un’idea alla quale vogliamo dedicare attenzione e ambizioni. Nel weekend abbiamo il Consiglio federale, approfondiremo i primi studi per valutare l’ipotesi di portare all’Atp il nome di Torino per le edizioni dal 2021. Noi ci siamo, il Coni ha manifestato grande interesse, serve l’aiuto del Governo e delle istituzioni». Milano, dal canto suo, spera che i 5 anni di accordo (più opzione per gli altri 5) per le Next Gen Finals possano allungarsi all’infinito, un auspicio anche di Gorno Tempini, presidente della Fiera e padrone di casa del torneo, ancora una volta ospitato a Rho in un padiglione dell’area espositiva: «Abbiamo dimostrato di poter fare la differenza pure negli eventi sportivi». L’anno prossimo sarà finalmente pronto il Palalido. Comunque andrà, sarà sempre una grande Milano.


I Next Gen già grandi (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Le Next Gen Finals di Milano diventano adulte, o quasi. Nello sport si cresce in fretta, e la seconda edizione del “Masterino” Under 21 lanciato l’anno scorso dall’Atp, e che si terrà ancora negli spazi periferici ma generosi della Fiera di Rho-Milano, promette di essere già quella della maturità. Merito dei protagonisti della prima edizione, che nel corso del 2018 hanno fatto quasi tutti grandi balzi in avanti in classifica Atp, nobilitando a posteriori l’evento. Di quelli che ammireremo dal 6 al 10 novembre, tutti di qualità, a partire dalle due riserve del 2017: Stefanos Tsitsipas l’anno scorso era numero 87, dopo una stagione fenomenale oggi è numero 16, a ridosso dei Top Ten, con un salto in avanti di 71 posizioni e teoricamente ancora in corsa per le Atp Finals; lo statunitense Frances Tiafoe è passato dal 77 al 45 (toccando anche il n. 38) e ha già dimostrato di saper far soffrire i più forti. Chi passa alle Next Gen Finals,  questo è il messaggio, ha un futuro (e spesso un presente) assicurato nel circuito. gi nel femminile». Per il momento la lista comprende Sascha Zverev, il primo della “Race to Milan”, che però come l’anno scorso salterà l’appuntamento per una buonissima ragione (è nr. 5 del mondo e già qualificato per il Masters vero e proprio), Tsitsipas, altri due abbonati come  Denis Shapovalov (30 Atp) e Andrey Rublev (78 dopo essere stato 31 quest’anno). Il “diavolo” australiano De Minaur (31), lo yankee Taylor Fritz (56) e come ottavo lo spagnolo Jaime Munar (80) pupillo di Rafa Nadal. Cinque su otto sono fra i primi 50: mica male. In tabellone però entreranno i primi sette, con l’ottavo posto riservato ad un italiano che uscirà dal torneo di qualificazione ad 8 in calendario allo Sport Milano 3 di Basiglio dal 2 al 4 di novembre: in pole ci sono Gian Marco Moroni e Raul Brancaccio ma come dimostrò l’anno scorso Gianluigi Quinzi strappando la qualificazione al favorito Matteo Berrettini (che perse subito a Basiglio ma si è preso la rivincita con un 2018 sopraffino), tutto può accadere. BINAGHI “Con la Coppa Lambertenghi, l’Avvenire, il Trofeo Bonfiglio e le ATP Next Gen Finals, Milano è leader nel mondo per quanto riguarda i tornei giovanili – dice il presidente della Fit Angelo Binaghi – Chi vuole diventare forte insomma prima o poi deve passare da qui. Le Next Gen Finals sono la conferma che arriva in un momento favorevole del nostro tennis, grazie a Fognini, Cecchinato e Berrettini nel maschile e Camila Giorgi nel femminile.” A Milano arrivano anche nuovi sponsor, come Tag Heuer e forse in Italia potrebbe sbarcare anche il Masters dei grandi,  dal 2021 a Torino: «È un progetto molto grande, ne parlerò domani (oggi, ndr) in consiglio federale», dice Binaghi. «Per farcela abbiamo chiesto gli appoggi di Comune, Regione, Coni e Presidenza del Consiglio». Anche la concorrenza è enorme, non sarà facile. KERMODE. Alle Next Gen Finals – trasmesse in diretta da SuperTennis – si confermano le innovazioni dello scorso anno: shot-clock, set ai 4 game, niente vantaggi e niente let, coaching in campo, chiamate elettroniche. Il riscaldamento sarà ancora più breve (4 minuti) e ci sarà il portasciugamani per liberare dalle corvée umidicce i raccattapalle. «Nello sport c’è sempre molta resistenza ai cambiamenti – dice Chris Kermode, presidente e ceo dell’Atp – ma a noi interessa il pubblico del futuro, e cambiare quando sei al massimo è meglio che farlo nei momenti di crisi. L’adozione dello shot-dock nel circuito Atp è la prova che ci sono novità che piacciono, quelle che riguardano il punteggio hanno bisogno di più tempo, e prima di inserirle dobbiamo essere certi che migliorino il prodotto. Il fatto che Wimbledon abbia accolto il tie-break nel quinto set forse è merito anche un po’ di quanto abbiamo proposto qui l’anno scorso: tutti iniziano a pensare nella stessa direzione». Ma perché l’Atp ha scelto Milano? «Non solo per l’organizzazione e la città, ma anche per la grande passione che gli italiani hanno per lo sport». Un bel biglietto da visita anche perla candidatura ai Giochi invernali del 2026


Wimbledon, tie break al 5° set sul 12 pari (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Addio vecchio tennis, Wimbledon ha ceduto: dalla prossima edizione dei Championships si giocherà il tie-break anche nel quinto set, sul 12-12, però, e non sul 6-6 come è normale. Sembra un piccolo passo, ma è quello che scavalca un confine, un enorme balzo in avanti dal punto di vista psicologico e dei principe. Perché se anche il tempio dell’ortodossia (molto meno conservatore di quello che sembra, in realtà) ha deciso di abolire i match maratona – come quello leggendario del 2010 fra Isner e Mahut finito 70-68 al quinto dopo 11h05′ spalmati in tre giorni – vuol dire che il tennis si prepara ad una stagione di altri e grandi stravolgimenti. Il tie-break, ideato nel 1965 da Jimmy Van Alen è stato introdotto nel tennis nel 1970. Gli US Open lo adottarono subito, e fino a ieri erano l’unico Slam che lo applicava anche nel quinto set, sempre sul 6 pari. L’All England Club, che organizza i Championships dal 1877, lo accettò nel 1971 (primo cambiamento nel punteggio in quasi un secolo) ma non per il set decisivo. In Coppa Davis è comparso nel 1989, ma solo da due anni anche nel quinto set. A quanto pare anche gli Australian Open sono intenzionati a imitare velocemente Wimbledon: vedremo invece se l’orgoglio e la grandeur francese spingeranno il Roland Garros a tenere duro e rimanere l’ultimo Slam `puro”. A smuovere il Committee londinese sono state le sue semifinali maschili dello scorso anno, che peraltro furono programmate malissimo: Isner e Anderson andarono in campo per primi e a furia di missili di servizio ci restarono per 6h36′ di parecchia noia, costringendo poi gli attesissimi Nadal e Djokovic a interrompere il match e riprenderlo la mattina dopo (per complessive 6h17′). Gli ululati del pubblico durante il match fra i due giganti («Andatevene, vogliamo Rafa!») e le lamentele dei giocatori sono riusciti dove neppure il record del 2010 era riuscito. Anche se l’All England Club ha voluto distinguersi piazzandolo sul 12-12 invece che sul 6-6. «per prendere questa decisione – ha detto il chairman dell’All England Club, Philip Brook – abbiamo consultato sia i giocatori sia gli addetti ai lavori, analizzato due decenni di risultati e considerato la complessità della programmazione e il punto di vista degli spettatori. Crediamo che il tie-break sul 12-12 sia un compromesso ragionevole per consentire ai giocatori di completare la partita in un tempo accettabile>. Altri cambiamenti sono in arrivo – Serena Williams, Patrick Mourntoglou e altri chiedono a gran voce l’allenatore in campo -, gli unici sicuramente soddisfatti da ieri sono Isner e Mahut: il loro record, almeno a Wimbledon, non sarà mai battuto


 

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