Djokovic: "Posso arrivare a 20 Slam" (Scanagatta). Zverev in semifinale. La prima è con Federer (Cocchi). Federer e Zverev, le età del tennis (Marcotti). Sascha cerca il diploma. La Majesty Cup non decollerà (Azzolini). Zverev, esame di maturità. C'è lui tra Federer e la finale più attesa (Semeraro)

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Djokovic: “Posso arrivare a 20 Slam” (Scanagatta). Zverev in semifinale. La prima è con Federer (Cocchi). Federer e Zverev, le età del tennis (Marcotti). Sascha cerca il diploma. La Majesty Cup non decollerà (Azzolini). Zverev, esame di maturità. C’è lui tra Federer e la finale più attesa (Semeraro)

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Djokovic: “Posso arrivare a 20 Slam” (Ubaldo Scanagatta, Nazione-Carlino-Giorno Sport)

Non è certo facile, ma non è nemmeno impossibile che io possa raggiungere i 20 Slam vinti da Roger Federer!». Così parlò l’attuale n.1 del mondo. Novak Djokovic risorto da una crisi paurosa (sì, anche di paura…) che lo aveva fatto precipitare a n.22 del mondo, non lo aveva mai detto. Lo ha fatto stavolta con il collega serbo Vojin Velickovic dello Sportski Zurnal di Belgrado: ci credi davvero? «Sì ci credo». E lo vuoi?- «Sì che lo voglio». Ma accadrà? «Non lo so, ma ho fiducia che possa accadere». Che cosa è necessario perché accada? «Molte cose. La prima è quanto a lungo giocherò, la seconda quanto a un così alto livello come in questi ultimi mesi (da giugno al Queens’ in poi, dopo lo choc della sconfitta a Parigi con Cecchinato che quasi lo voleva spingere a saltare la stagione sull’erba, Nole ha vinto 33 su 35 match ndr), la terza quanto reggerà il mio fisico che oggi onestamente mi sembra in condizioni ottimali, la quarta quanto riuscirò a essere così determinato mentalmente così come lo sono oggi. Adesso credo di avere buone chances di reggere su tutti questi piani, credo in me stesso e nelle mie capacità, ma solo il tempo potrà dire se ce la farò davvero». Per chi non lo ricordasse Djokovic, 31 anni compiuti a maggio, con l’accoppiata vincente di Wimbledon e US Open è a quota 14 Slam, 3 meno di Nadal, 6 meno di Federer. «Federer è un vero fenomeno ad essere ancora così competitivo a 37 anni e mezzo, anche se ha perso qualcosa in velocità — mi ha detto giovedì in un’intervista esclusiva per www.ubitennis.com Marian Vajda, il coach di Djokovic per 12 anni e che Novak è andato a richiamare dopo un divorzio di diversi mesi che gli è costato assai caro — ma Novak ha cinque anni di meno e un fisico ancor più straordinario. Può vincere ancora tantissimo, solo che lo voglia» ha affermato lo slovacco che l’Atp ha nominato coach dell’anno proprio grazie alla clamorosa resurrezione di Djokovic. SIAMO ormai alle semifinali del Masters ATP di fine anno. Nel pomeriggio Federer sfida Zverev che serve da far paura (3-2 i precedenti, 1-1 sui campi duri, spesso combattuti; lo svizzero rischia tanto ma è leggermente favorito). In serata Djokovic offre a Anderson (7-1 il bilancio), la rivincita della finale di Wimbledon. Degli 11 incontri giocati fin qui alla 02 Arena fra i «Magnifici Otto del 2018» approdati alle finali ATP nessuno è stato memorabile. Dieci si sono esauriti in 2 set. Solo la noiosa battaglia dei due giganti al servizio, l’americano Isner 2m,08, e il croato Cilic 1,98 è approdata al terzo. Inutilmente: entrambi sono stati eliminati. Chiaro che l’universo del tennis tifa per una finale da sogno, Djokovic contro Federer. Hanno giocato contro mille volte… ma nessuno si è mai stancato di ascoltare Mozart e Beethoven. Live degli incontri, interviste immediate a fine match ogni giorno su www.ubitennis.com


Zverev in semifinale. La prima è con Federer (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

C’ è sempre una prima volta. In questa occasione tocca ad Alexander Zverev che, battendo nettamente John Isner nell’ultima del round robin, conquista la prima semifinale Masters della carriera. Il tedesco, che per età dovrebbe appartenere alla Next Gen, ha chiuso i giochi qualificandosi come 2° del girone Kuerten nel pomeriggio, lasciando a Novak Djokovic, 1° classificato, la passerella serale contro Marin Cilic, già eliminato. Per il serbo n. 1 al mondo oggi l’appuntamento in semifinale è con Kevin Anderson, 2° del gruppo intitolato a Lleyton Hewitt. Un rematch della finale di Wimbledon di quest’anno che ha visto Nole tornare a conquistare uno Slam, a due anni da Parigi 2016. ALLIEVO Sascha dovrà affrontare il «maestro» Federer che lo conosce da quando era un bambino e circolava negli spogliatoi insieme al fratello Misha, maggiore di 10 anni. Roger più di una volta ha dato consigli a Zverev junior: «Quando all’Australian Open ero uscito al terzo turno contro Chung ero davvero molto giù di corda – racconta il tedesco -. Roger mi ha parlato, dicendomi che non dovevo essere arrabbiato, che lui stesso aveva raggiunto i quarti Slam per la prima volta quando era più grande di me. Mi ha fatto coraggio, ma non mi ha dato consigli specifici sul gioco». A quello, da qualche mese a questa parte pensa Ivan Lendl, il sergente di ferro che ha affiancato papà Alexander Senior e che dovrebbe aiutare il 21enne tedesco a infrangere il tabù Major: «Dà l’idea di essere un uomo molto duro e antipatico, in realtà è simpatico, ha grande senso dell’umorismo, una persona piacevole con un grande cuore. Di sicuro cercherò di prendere il più possibile dal suo esempio». E dire che poche ore prima aveva leso la maestà di Ivan il terribile sostenendo che nessuno avrebbe potuto imporgli regole, pena il licenziamento: «Non mi sono spiegato – fa dietrofont Zverev -, intendevo dire che io sono già molto disciplinato, e non perché ho qualcuno che mi mette nell’angolo se faccio il cattivo, ma perché ho ben chiari i miei obiettivi, so dove voglio arrivare e per questo c’è una sola ricetta: lavorare duro». Lendl apprezzerà.


Federer e Zverev, le età del tennis (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport)

Dai fischi agli applausi. Due giorni per cancellare la figuraccia rimediata contro Novak Djokovic, e staccare il biglietto della semifinale delle ATP Finals. Pronto riscatto per Alexander Zverev: la netta vittoria contro John Isner gli vale la sfida di questo pomeriggio contro Roger Federer, in palio la finalissima dell’ultimo torneo della stagione. Dopo la prova incolore contro il n. 1 al mondo, conclusasi con i mormorii del pubblico della O2 Arena, il 21enne tedesco si aggiudica l’ultimo match nel gruppo Guga Kuerten, chiudendo il girone al secondo posto, alle spalle proprio di Djokovic (già qualificato e devastante anche ieri contro Marin Cilic). Un match, quello contro Isnet che dura un set, il primo, risolto da Zverev al tie-break dopo aver annullato un set-point all’americano. Equilibrato anche l’andamento della seconda frazione, che il 2 1enne tedesco si aggiudica grazie a un chirurgo break all’ottavo gioco. E che gli spalanca le porte della prima semifinale (in due apparizioni) nell’ultimo appuntamento della stagione. Era dal 2009 (Juan Martin del Potro) che un giocatore così giovane non superava la fase a gironi delle Finals. «Sono incredibilmente contento, sono in semifinale, la partita è stata dura – il commento a caldo di Zverev – Mi trovo bene contro John? Beh, nessuno si trova bene con John (ride – ndr), si gioca sempre su due-tre punti. Ho servito anche più forte di lui? Non lo sapevo! Io cerco solo di tirare più che posso… Ho cercato di migliorare fisicamente, probabilmente il servizio viaggia meglio anche per quello». Merito anche del suo nuovo coach, Ivan Lendl, con il quale spera di compiere l’ultimo salto di qualità per colmare il distacco che ancora lo separa dai migliori. Con quella di ieri, salgono a 56 le vittorie di una stagione (più di tutti) che gli ha già consegnato tre titoli (Madrid, Monaco e Washington): primo tedesco in semifinale alle Finals da Rainer Schuettler (2003). «Ovviamente è una grande soddisfazione passare il girone, ma il torneo non è ancora finito. Sono rimasti solo grandi avversari, il meglio che c’è nel mondo del tennis». Il più giovane contro il più anziano, sedici anni di differenza tra i due. «Con Roger sarà durissima, queste sono le sue condizioni ideali. Spero di giocare un buon match, soprattutto di cambiare la tendenza, di solito va male per me con lui»», ha scherzato Zverev: Sono cinque i precedenti contro lo svizzero, in vantaggio 3-2 negli scontri diretti. Compreso l’ultimo successo, dodici mesi fa, proprio qui alla 02 Arena, dove il campione di Basilea si era imposto nella fase Round Robin in tre set. L’altra semifinale, in programma in serata, vedrà opposti il favorito Djokovic, che vuole eguagliare il record di Federer di sei successi alle Finals, contro Kevin Anderson, battuto nel terzo match del girone proprio da Federer. Ma ancor più che la sconfitta, il sudafricano non ha digerito il doppio break consecutivo subito dallo svizzero. «Davvero una cosa strana, non mi capitava da tanto tempo. Senza il servizio, ovviamente tutto il mio tennis diventa più vulnerabile. In semifinale dovrà certamente alzare il livello della mia prima». Sbilanciato, a favore del serbo, il conteggio degli head-to-head: l’unica vittoria di Anderson (in otto incontri) risale al primo match tra i due, a Miami addirittura dieci anni fa. Da allora ha sempre vinto Djokovic, anche poche settimane fa nel Masters 1000 di Shanghai. Per Anderson, però, sarà soprattutto l’occasione per vendicare la sconfitta nella finale di Wimbledon. «Gli ultimi match, giocati indoor suggeriscono che siamo un po’ più vicini – si fa coraggio il sudafricano – Per me è una grande opportunità, ma lui sta giocando un tennis fantastico, è tornato ad essere il numero 1. Anche io però sto giocando piuttosto bene, sono soddisfatto del mio rendimento e ho intenzione di giocarmi le mie possibilità».


Sascha cerca il diploma (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Qui si fa la storia di Sascha, ieri allievo, oggi maestro, domani chissà. Ammesso che un approdo alla semifinale del Master già garantisca la cattedra e non serva invece una vittoria piena, quale diploma di laurea. Il che è probabile, ma comporterebbe la duplice defenestrazione dalla torre dorata del tennis di Federer oggi e Djokovic domani, cosa che darebbe all’impresa del giovane tedesco i connotati di una rivoluzione. Sarebbe, forse, l’inizio di una nuova Era. Ma Sasha Zverev ha intenzione di provarci. Quanto meno, lo dice. «II torneo è ancora tutto da giocare, ora siamo di nuovo appaiati, e ci sono solo buoni giocatori. Io sono uno fra questi, non mi sento il primo ma nemmeno l’ultimo, e sono convinto che in questo gruppo possa starci anch’io. Lo stesso Lendl ne è convinto… Dunque siamo già in due a pensarla allo stesso modo». Lendl pensa anche altre cose, su Sascha e dintorni. Ritiene che il lavoro da fare sia ancora enorme, che gli abbiano dato da crescere un campione che sa di essere tale, ma non ha ancora completato la crescita tecnica per esserlo davvero, fino in fondo. Insomma, la testa ci sarebbe, ma il corredo tennistico è ancora da limare, smussare, migliorare, sia nella parte tecnica, sia in quella dell’uso appropriato dei colpi secondo le necessità che il match impone. Non gli è piaciuto per niente come Sascha abbia affrontato Djokovic, nel match di mezzo del girone dedicato a Guga Kuerten. Discreto fino al quattro pari, si è fatto catapultare fuori dal match da un’improvvisa sbandata che il ragazzo non ha trovato il modo di controllare, finendo fuori carreggiata. Gira voce che la cazziata di Lendl si sia fatta sentire: «I campioni veri non fanno così, perdere senza reagire è un indice di presunzione». Non è difficile immaginare Ivan che infila, una dietro l’altra, frasi del genere. Sono da sempre parte del suo repertorio. Ma si dice anche che Sascha le abbia capite e digerite. «E un bravo ragazzo, Ivan» dice del coach, ormai sessantenne. Il match di ieri con Isner non fa da cartina tornasole, perché i due si conoscono talmente bene che le loro partite finiscono sempre per fare storia a sé, ma si trattava comunque di un confronto aperto, decisivo per il passaggio in semifinale. E non v’è dubbio che Zverev l’abbia abbordato con l’attenzione che meritava e non abbia commesso errori strazianti. Su quest’ultimi è rimasto nella norma, ma è stato particolarmente incisivo sul servizio, finendo per ricavarne ben più di Isner, che da quota 208 centimetri, con quel colpo risulta quasi sempre dominante. «Ho cercato di servire mantenendo le battute vivaci, dure, ma facendo molta attenzione a piazzarle bene». Era di certo uno dei consigli ricevuti da Lendl. Il ragazzo, dunque, lo sta a sentire e ha finito per ottenere più ace di Isner (18 a 10) e anche il servizio più veloce, sopra i 225 orari (224 Isner). C’è Federer, ora. Anzi, subito. Già nella prima semifinale odierna. Un Federer cresciuto parecchio, dalla prima incasinatissima prova sostenuta contro Nishikori. Ma anche Sascha lo è. Semifinalista alla seconda partecipazione al Master, due vittorie su Top Ten conclamati come Clic e Isner, una sola sconfitta, un po’ sui generis, contro Djokovic. «Federer è un esame, più che una sfida. E un tennista talmente straordinario che mette in soggezione solo l’idea di affrontarla. Ma io ho avuto parecchi contatti con lui, ci conosciamo bene, so che mi stima, mi considera un suo pari seppure giovane e magari inesperto. Dunque voglio che tutte queste buone doti risultino anche nel match che giocheremo. Certa lui su queste superfici veloci è sorprendente, e magnifico da vedere». Sono 3-2 per Roger, l’ultima proprio qui, un anno fa, chiusa dallo svizzero in tre set. La vittoria di Sascha ha cancellato subito le speranze di una conclusione del girone davanti al pallottoliere. Il match fra Nole e Cilic, in serata, si è svolto in un contesto da esibizione, seppure con in palio 200 punti Atp. Djokovic prepara con calma la linea difensiva da portare in campo contro Anderson. Si sono affrontati otto volte, l’ultima a Shanghai, la penultima in finale a Wimbledon, e non ci fu partita. Anderson lo ha battuto una sola volta, dieci anni fa. E anche alla Laver Cup di settembre. Non era un match come gli altri, direte, ed è vero. Ma alla “Laver” si è ben pagati proprio per far risultare veritiero il tennis che si porta in campo. Chissà se Anderson ha trovato in quel confronto quel po’ di autostima in più, che possa servirgli stasera


La Majesty Cup non decollerà (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Sembra un tennis in guerra, e lo è in un certo qual modo, ma solo perché di tanto in tanto occorre mostrare i muscoli, alzare i toni, ringhiare più del compagno vicino. Si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, si diceva un po’ di tempo fa; ma, si vis bellum para tergam, si potrebbe aggiungere oggi, con quel po’ di sano realismo che lo stile maccheronico traduce così bene. In altre parole, siamo alle sparate, a chi la dice più grossa, e dunque alla ricerca di un accordo che eviti di mettere in pratica le promesse fatte. L’ultima in particolare, la Majesty Cup inventata li per il dalla fatidica Kosmos di Bernard Piqué, giusto nel tentativo di far sobbalzare gli avversari, e magari farli arretrare di un passo in questo scontro sul futuro del tennis a squadre. Chiaro il messaggio: se minacciate la nostra Davis, noi scendiamo in campo con un torneo con 9 milioni in palio solo per il vincitore. La verità? La Coppa Piqué così com’è non la vuole giocare nessuno, a parte Nadal, e se il disinteresse dei giocatori più forti dovesse persistere, è assai probabile che il difensore del Barcellona deciderà di chiudere anticipatamente la sua escursione nel management del tennis. Altro che Majesty Cup. In attesa che il vociare si plachi, e si traduca in tentativi di accordi fra le parti in causa, l’arsenale di ognuna è stato tirato fuori, e posto in bella vista. La Coppa Piqué da una parte, a fine novembre, con l’anticipo di febbraio destinato alle qualificazioni (l’Italia andrà in India, e l’India ha ottenuto di poter giocare sull’erba); l’ATP Cup, ai primi di gennaio, a prendere il posto della World Team Cup che si giocava a Dusseldorf prima di Parigi, in pratica una seconda Davis, ma con tanti soldi e tanti punti in palio per la classifica; quindi la Hopman Cup, con i team “bisex, a Perth poco prima degli Open d’Australia. Infine la Laver Cup, garantita dalla società di management di Federer, dalla federazione statunitense e da quella australiana. Una sorta di Ryder Cup tennistica che i giocatori apprezzano moltissimo e il pubblico anche di più. Ingaggi favolosi, si dice: pare che Kyrgios, per la sua presenza, abbia ricevuto 750 mila dollari. Poco meno di un finalista dello Slam


Zverev, esame di maturità. C’è lui tra Federer e la semifinale più attesa (Stefano Semeraro, La Stampa)

Fra flash stroboscopici e canzoncine pop sparate a tutto volume — e dire che il verde e balsamico silenzio di Wimbeldon non è neppure troppo lontano — un Masters per ora fiacchetto è arrivato agli scrutini. Le semifinali di oggi sono le migliori possibili, almeno nella contingenza: Federer contro Zverev (ore 15), Djokovic contro Anderson (ore 21); ovvero il Patriarca contro lo Sfidante e il remake della finale di Wimbledon dello scorso luglio fra il miglior ribattitore del mondo e uno dei servizi più devastanti in circolazione, quello che piove dai 203 centimetri del sudafricano. Meglio così non era possibile neppure compulsando le classifiche: con il n. 2 e il n. 4 del mondo, Nadal e Del Potro, entrambi assenti (giustificati) da Londra per infortunio, si scontreranno il 3 e il 5 e l’1 e il 6. Due match che per giunta offrono un outlook positivo, come direbbero gli allibratori in gessato delle agenzie di rating, sulla migliore delle finali ipotizzabili, quella fra il Numero uno in carica (Djokovic) e il Numero uno emerito (Federer). Eureka, e non lamentiamoci troppo. Djokovic sfida Anderson. A decidere gli incroci, declassando il match di ieri sera a pura esibizione, è stato il successo in due set (7-6 6-3) di Sascha Zverev su John Isner. Era quanto bastava al 21enne tedesco per mettere le mani sul 2° posto utile nel suo girone, e diventare il più giovane semifinalista al Masters dai tempi di Juan Martin Del Potro (2009), oltre che il primo tedesco dopo il teutone minore Rainer Schuettler (2003). Sono lontani i tempi in cui il Masters era una questione personale fra Becker e Lendl, l’antenato nobile e l’attuale coach del divelto capriccioso Zverev. Uno che apparentemente ha tutto per sfondare, ma per ora nei grandissimi appuntamenti ha sempre ciccato. Mollato da Juan Carlos Ferrero, che dopo pochi mesi si è stufato delle sue bizze, il tedesco ha ingaggiato Lendl come nuovo coach proprio per curarsi i problemi di crescita. Contro Federer il ragazzo ha già vinto due volte, su cinque incontri, nel 2016 ad Halle e nel 2017 in Canada, ma gli manca l’acuto al Covent Garden del tennis. Qui è Federer, caro Sascha, qui toccherà saltare o inciampare per l’ennesima volta rimandando ancora la maturazione della Nuova Generazione.

 

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