Grand Slam, parte prima: Australian Open - Pagina 2 di 2

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Grand Slam, parte prima: Australian Open

La prima puntata di un racconto che vi terrà incollati allo schermo, da oggi fino al 2019

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Section 8 club, Tattersall Lane, Melbourne – Lunedì 10 Gennaio, ore 22:40

“Ne hai presa un’altra?”, disse l’uomo dai baffi brizzolati alla vista di Claude, che stava tornando al tavolo con tre birre. “Credevo che a voi russi piacesse l’alcool, Vassily”. “Certo che ci piace. Ma mi spieghi dove sarebbe l’alcool in questa brodaglia?” “Dai bevi un ultimo drink con noi”, fece il terzo al tavolo. “No Sandor. Vado a dormire. Godetevi questa serata fuori perché è l’ultima; domani allenamento di rifinitura e mercoledì vi voglio in campo con il coltello fra i denti per il primo turno. Se non passate le qualificazioni, tornate in Europa a nuoto”. “Ci vediamo fra poco in albergo”. Vassily Demtchenko faceva l’allenatore di tennis ormai da oltre 30 anni. Di talenti ne aveva visti passare sotto la sua ala protettrice ma nessuno aveva mai fatto il grande balzo. Partecipazioni Slam sì, tante. Sotto la sua guida Fournier aveva vinto un 250 e raggiunto gli ottavi a Parigi. Ma è roba di vent’anni fa.

Con i connazionali poca fortuna; ma nelle sue visite a Futures e Challenger europei aveva scovato qualche buona promessa. Promessa che, se mantenuta, passava puntualmente ad accademie più prestigiose della sua. A 68 anni, Vassily era stufo. Questa sarebbe stata la sua ultima stagione nel circuito, da dedicare alla formazione di due nuovi giovani. Claude Groen, belga di mamma vallone e papà fiammingo, e Sandor Kiraly, ungherese. Entrambi 18enni, entrambi alla prima partecipazione slam nel tabellone delle qualificazioni. Sandor è già famoso per i social, ha firmato a settembre un contratto di fornitura con una casa nuova emergente, la Smash. Ma onestamente pare più belloccio che bravo. Anche se negli allenamenti di questi ultimi due giorni è parso avere qualcosa di diverso, colpi più potenti e precisi. Claude è un buon lavoratore. Corre e tira, ma non ha un colpo risolutivo. Buon timing, ottima dedizione, ma non sarà mai un top 10. Nessuno dei due lo sarà. Caro Vassily, ti devi rassegnare. Cerchiamo di dare un’impronta dignitosa a quest’ultima stagione nel circuito, prima di dichiarare il fallimento dell’accademia.

Cinque palleggi, lancio, Trophy Pose, slice esterno. Out. Seconda di servizio in kick sempre esterna. Bartlett risponde incrociato, scambio sulla diagonale di dritto. Bartlett varia sul lungolinea, rovescio bimane incrociato profondo di Kiraly, l’americano si allunga sul lato di rovescio ma il suo recupero finisce in corrodoio. Quaranta zero.

“Che figata Claude, il primo Slam”. “Già. Il primo slam non si scorda mai”. “Un brindisi. All’inizio di una lunga avventura…”. “Speriamo. Ho una testa di serie già al primo turno delle qualificazioni. Un taiwanese”. “Io un italiano. Sono fiducioso. So che posso andare lontano”. Claude avrebbe voluto avere la stessa confidenza del suo partner d’allenamento. Ma sapeva che navigando intorno alla posizione 170 del mondo per entrambi loro sarebbe stato un successo a prescindere, per l’esperienza. “Claude andiamo, non pensare troppo al tennis. Siamo fuori stasera, siamo qui per divertirci. Da domani testa allo Slam. Per stasera ancora… Testa alle ragazze”. “Se vuoi andare all’avventura sentiti libero. Io passo”. “Fra te e Vassily siete due pesi morti. Almeno Vassily ha una certa età…”. “Io sono vecchio dentro e me ne vanto”. “Fai come vuoi. Io mi faccio un giro per il Club”.

Il Section 8 pullulava di gente nonostante fosse un lunedì. Uno dei posti più trendy di tutta Melbourne, nel bel mezzo del Central Business District. Il luogo più hipster della città più hipster del mondo. Una ragazza bionda, sola, stava ordinando un cocktail al banco. “Ciao”, fece Sandor avvicinandosi. La ragazza lo squadrò da cima a piedi. Davanti a lei c’era un giovane alto quasi un metro e 90, muscoloso, di bell’aspetto. “Non sei un po’ troppo giovane per provarci con me?”. “L’unico modo per scoprirlo è tentare”. “Giusto. Apprezzo l’attitudine. Adesso che hai scoperto di esserlo, perché non ti fai un giro”. “Sei sola?” “Non si può?” “Mi chiedevo cosa ci fa una ragazza bella come te da sola”. “Bevo un cocktail, mi godo la musica e almeno metà del mio tempo lo occupo a respingere quelli che ci provano”. “Io sono Sandor”. “Io no”. “Bel nome. Da dove viene?” “Non certo dall’Ungheria come il tuo”.

“Conosci il mio nome?” “Ho un amico di nome Sandor”. La ragazza si prese due secondi in più per investigare il giovane, poi decise di dargli una chance. “Io sono Kaisa. Vengo dalla Finlandia e sono una giornalista, vivo a Melbourne da sei mesi per uno stage”. “Di cosa ti occupi?” “Cronaca locale. Il che significa, per le prossime tre settimane, tennis. Non so se segui, c’è un torneo importante qui a Melbourne ogni gennaio”. “Sì, ne ho sentito parlare”. “Due palle. Se c’è una cosa che proprio mi fa schifo è il tennis. Fa schifo a tutti in redazione, è per quello che mandano me a seguirlo. Spero almeno di fare qualche scoop”. “Un’intervista con il futuro campione sarebbe uno scoop appropriato?” “Prima bisognerebbe sapere chi è”. “Ce l’hai davanti”. Kaisa scoppiò in una risata che le fece versare sul pavimento buona parte del cocktail appena preso. “E chi saresti tu? Scott Foley?” “No quello è l’attuale numero uno del mondo. Io sono il prossimo”. “Se tu sei il prossimo numero uno del mondo io sono Scarlett Johansson”. “Bene Scarlett. Mercoledì alle 14 ho il primo incontro, sul campo sedici. Subito dopo la partita puoi intervistarmi. Se vinco 6-0 6-0, usciamo a cena insieme”.

Championship point, stadio ammutolito, impresa ad un passo. Cinque palleggi di Kiraly, lancio alto. La palla sale, raggiunge l’apice, si ferma all’equilibrio delle energie e comincia a scendere. Scende. Scende. Fino a rimbalzare per terra. Una due tre otto volte sul cemento del campo. Di fianco al corpo accasciato a terra di Sandor Kiraly.

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