Per le ATP Finals il Palalpitour diventerà la "città del tennis" (Ricca). Una giornata da campione. Dritti e volée: che sfida con Cecchinato! (Olivero)

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Per le ATP Finals il Palalpitour diventerà la “città del tennis” (Ricca). Una giornata da campione. Dritti e volée: che sfida con Cecchinato! (Olivero)

Rassegna stampa di domenica 16 dicembre 2018

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Per le Atp Finals il Palalpitour diventerà la “città del tennis” (Jacopo Ricca, La Repubblica – Torino)

Un budget da circa 50 milioni di euro e il progetto di trasformare Torino nella “città del tennis” e la zona attorno al PalaAlpitour nel quartiere della racchetta della città. Ottenere le Atp Finals porterebbe una caratterizzazione precisa per Torino che punta a riportare la sua immagine in cima alle liste delle città dello sport mondiali. Questa è la filosofia che sta dietro il progetto, condiviso dalla sindaca Chiara Appendino e dal presidente del Coni Malagò, che ha finora convinto gli esperti dell’Atp che hanno messo Torino nella short list delle città che dal 2021 potrebbero ospitare il torneo con gli 8 migliori tennisti del mondo. Non c’è solo la filosofia però, ma anche un progetto che potrebbe dare una nuova veste al PalaAlpitour, progettato dall’architetto giapponese Arata Isozaki. Il palazzetto infatti dovrebbe aumentare la capienza attuale per superare i 15mila spettatori, come richiesto dall’Atp, ma soprattutto avere degli “sky box”, che ora mancano, per accogliere i tanti vip che da sempre affollano le “finals”. Il progetto, preliminare, già mostrato agli organizzatori che a marzo a Indian Wells faranno la scelta definitiva, prevede che queste strutture siano realizzate a ridosso del campo da gioco. Per portare le Atp Finals a Torino servono tanti soldi però e gli organizzatori, sindaca in testa, sono al lavoro per trovare gli sponsor necessari per arrivare, prima, ai 17 milioni di euro di “fee” che spetta all’Atp, e poi ai 50 milioni di euro previsti dal budget preliminare messo a punto da Città, Coni e Federtennis. Gli interventi riguarderanno anche l’area delle piscine che già oggi ci sono attorno al PalaAlpitour: nella Monumentale, prosciugata nel periodo dell’evento, dovrebbe essere realizzato un campo da riscaldamento dove i giocatori possano svolgere l’ultima parte di allenamento prima della partita. Lo stabile che ospita la “Casa del Teatro ragazzi” dovrebbe essere riservato all’accoglienza dei vip e degli ospiti degli sponsor e della stessa Atp. Il Circolo Stampa Sporting è pronto a fornire i campi di allenamento, ma anche in questo qualche miglioramento potrebbe arrivare. Lo Sporting infatti possiede un tennis-stadio e 23 campi in terra rossa, ma vista la superficie che si usa nelle Atp Finals potrebbe diventare necessario introdurre qualche terreno veloce per gli allenamenti dei campioni, a costi contenuti.


Una giornata da campione. Dritti e volée: che sfida con Cecchinato! (G. B. Olivero, La Gazzetta dello Sport)

Guardo la racchetta come se potesse parlarmi, almeno ascoltarmi, soprattutto capirmi. Oggi non è come tutte le altre volte, chissà se lei se n’è già accorta. Oggi è tutto vero. In fondo il rumore della pallina è inequivocabile, come lo stridore delle scarpe sul cemento e la fatica che sto facendo. […] Da quella parte della rete c’è Marco Cecchinato, semifinalista al Roland Garros, 26 anni, numero 20 Atp: uno che il suo sogno se l’è costruito talmente bene da trasformarlo in una realtà ancora più bella. Da questa parte ci sono io, giornalista, tennista-sognatore, 46 anni, con una classifica che è un gratificante riconoscimento alla passione (2.8, per chi mastica qualcosa del ranking italiano). Giochiamo insieme, sotto il sole di Alicante. Marco spezza per un’oretta il ritmo dell’intenso lavoro di preparazione; io tocco il punto più alto della mia “carriera”, un top 20 non mi ricapiterà più… Ed è anche l’occasione buona per conoscere meglio Ceck, perché ogni colpo ci racconta qualcosa di lui, ci svela una sfumatura del carattere. Il servizio (e la concentrazione) «Sei pronto?», mi chiede Marco. Prima di iniziare con lui mi sono scaldato un quarto d’ora con Uros Vico, un coach che è appena entrato nel team di Cecchinato, uno che da ragazzo aveva battuto due volte Federer e che ha tuttora un braccio fantastico. Marco parte piano, vuole capire quale sia il mio livello per decidere fin dove spingersi. Dopo pochi minuti Vico lo invita ad accelerare. Lo schema base di Cecchinato è apparentemente semplice: servizio in kick e dritto. Ma di semplice nel tennis non c’è nulla: «Prima non ero un gran lavoratore, poi ho capito l’importanza di stare a lungo in campo. Adesso curo ogni dettaglio. Ho affrontato molti sacrifici soprattutto quando lasciai Palermo. Ma ne è valsa la pena. Del mio lavoro non amo fare ogni settimana la valigia e vedere sempre le stesse facce. Da piccolo sognavo di entrare nei top 100. Però serve la testa giusta. Io rifletto sui miei errori, se sbaglio lo ammetto. Sono un bel rompiballe con il mio team, però mi fido di loro. E ho un rapporto meraviglioso soprattutto col preparatore Umberto Ferrara che ha 50 anni, mi segue da sette ed è un secondo papà. Ho bisogno di persone che sul lavoro mi dicano cosa fare». Il dritto (e il destino) Il dritto di Ceck fa male: la palla esce bene dalle corde, è pesante e veloce. «Adesso ti faccio correre», urla sorridendo. Io scatto, sbuffo, colpisco, riparto. «A me piace comandare in campo e con il dritto ci riesco. Ma anche fuori voglio avere tutto sotto controllo sebbene creda nel destino. Ti ricordi che a Budapest vinsi da lucky loser? Ecco, c’erano due posti in tabellone e un sorteggio fra tre giocatori. Il direttore del torneo di solito concede agli stessi giocatori di fare l’estrazione, io non l’avevo mai fatto, non mi piaceva. La mia fidanzata mi convinse, pescai il mio nome, entrai in tabellone e vinsi. Destino…». Il rovescio (e gli incubi) Sulla diagonale di rovescio la palla rallenta un po’. Marco gioca a una mano, io a due, mi difendo e poi mi diverto quando lo scambio scivola sul back: io sono nato con le racchette di legno, meglio il fioretto della spada. Il back di Ceck è proprio bello: la palla rimbalza e scappa via, nel circuito dà fastidio a tanti. «Eppure qualche anno fa il rovescio mi faceva venire gli incubi. Adesso sono molto più sicuro e ho vinto tanti match grazie a questo colpo. L’ultimo punto contro Djokovic a Parigi fu un passante di rovescio: la palla non scendeva più… Di quel giorno ricordo tutto, ogni attimo, la paura nel quarto set, la capacità di non accontentarmi della bella figura: volevo solo vincere. All’ingresso sul Centrale mi bruciava lo stomaco: io fui accolto da un leggero applauso, Nole da un’ovazione incredibile. Ma poi ho vinto io». [segue]

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