Cecchinato sconfitto in semifinale a Doha (Crivelli e Semeraro). Roger Federer sorridente e senza tempo in Australia per diventare centenario (Crivelli)

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Cecchinato sconfitto in semifinale a Doha (Crivelli e Semeraro). Roger Federer sorridente e senza tempo in Australia per diventare centenario (Crivelli)

La rassegna stampa di sabato 5 gennaio 2019

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Marco Cecchinato esce a Doha, ma quest’anno può scalare la montagna Top Ten (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Non è da questi particolari che si giudica un giocatore. Senza conoscere da dove è partito un anno fa, sarebbe facile imputare a Cecchinato una sconfitta forse evitabile nella semifinale di Doha contro il redivivo Berdych, precipitato con tutti i suoi malanni fino al numero 71 del mondo, ma ancora capace di cannoneggiare, soprattutto se lo si fa colpire dentro il suo cilindro senza farlo muovere. Il Ceck non sfrutta un break di vantaggio nel primo set, però si ritrova con il tie break praticamente in mano, malgrado non abbia più challenge per chiamare un evidente doppio fallo del ceco che porterebbe l’allievo di Vagnozzi a servire due volte sul 5-2: il 6-3 sembra comunque una garanzia, e invece da li l’ineffabile ragazzone di Valasske Mezirici diventa ingiocabile (alla fine, 12 ace e nessun doppio fallo), mentre il nostro si affloscia senza più rialzare la testa. DUE MESI PER SCALARE Peccato, la brezza serale del deserto aveva portato con sé l’incredibile sorpresa dell’eliminazione di Novak Djokovic per mano di un incredibile Bautista Agut, apparecchiando una finale sicuramente più appetitosa. Eppure ogni rimpianto, insieme alle eventuali critiche, deve specchiarsi su un numero incontrovertibile: 109. Cioè la classifica del palermitano al sorgere del sole il primo gennaio 2018, quando ancora portava sulle spalle i destini di un giocatore sempre in precario equilibrio tra il pane duro del circuito minore e la gloria dei piani superiori. Lunedì, cioè dodici mesi e una settimana dopo, Marco avrà accanto al suo nome nel ranking un bel 18, sua miglior posizione di sempre che lo collocherà al quinto posto tra gli italiani meglio piazzati nell’Era Open, al pari di Camporese, Gaudenzi e Seppi e alle spalle soltanto di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Fognini. Con la semifinale in Qatar, Ceck ha incamerato 90 punti tutti in una volta, più del doppio (39) di quelli che collezionò a gennaio e a febbraio nella scorsa stagione tra tornei Atp (con cinque uscite al primo turno, diventate sei a inizio marzo) e Challenger. SOGNO DA DIECI Ecco perché sognare il gotha della top ten, l’Olimpo del tennista, è tutt’altro che peregrino: Cecchinato in otto settimane ha in pratica un’autostrada davanti a se, senza l’urgenza di difendere preziose rendite di posizione, per cui tutto ciò che verrà sarà guadagnato, perché il cemento non è più uno spauracchio, dopo l’Australia tornerà la terra e la classifica da testa di serie consente turni iniziali più malleabili. Il 18 marzo al siciliano usciranno 80 punti per la vittoria nel challenger di Santiago, il 1° aprile 29 punti per la semifinale di Marbella, l’8 aprile ancora 29 punti per la semifinale di Alicante e il 22 aprile 70 punti per il terzo turno a Montecarlo, il primo exploit del 2018. Un totale di appena 208 punti, prima della super cambiale di 256 punti per la vittoria di Budapest da lucky loser, la svolta della carriera. Al momento ha 1889 punti contro i 3155 di John Isner, l’ultimo dei top 10, che tuttavia ha un sacco di punti da difendere, in primis i 1000 guadagnati con il trionfo di Miami. Storicamente i numeri 10 del mondo a metà aprile hanno in media 3025 punti; 3110 ne aveva Goffin nel 2018, 3265 Jo-Wilfried Tsonga nel 2017, 2840 Gasquet nel 2016, 3360 Cilic nel 2015, 2550 John Isner nel 2014. Quindi a Cecchinato servono poco più di 1000 punti per coltivare un’ambizione storica, da raccogliere soprattutto nei ricchi tornei sul cemento (2000 punti in Australia, 1000 a Indian Wells e Miami) e in quelli del mini-circuito sudamericano sul rosso che ha le punte di diamante nei tornei 500 di Rio de Janeiro e Acapulco (sul veloce). Intanto da lunedì si riparte da Auckland, dove inizierà la stagione pure Fognini, che della scalata alla top ten (adesso è 13) ha fatto un punto d’onore. Ma come ci piace quest’Italia dai grandi pensieri.


Roger Federer sorridente e senza tempo. In Australia per diventare centenario (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Occhiali da sole, i Pinnacles alle spalle, l’immancabile selfie da turista felice. Il 2018 di Federer era tramontato così, sotto il cielo di Perth, prima che il 30 dicembre il Divino riprendesse in mano la racchetta, regalandosi fin qui tre vittorie in singolare nella non irresistibile Hopman Cup e un altro selfie ancor più leggendario, quello con Serena Williams, dove in una sola foto si abbracciavano 43 Slam. Insomma, i primi passi nel 2019 di Roger non saranno stati memorabili per l’umanità, ma consolidano un altro avvicinamento sereno al grande obiettivo di questo scorcio iniziale di stagione, gli Australian Open. MIRACOLI DELL’ETÀ E come dargli torto, se da tre anni il Maestro di Basilea sceglie un’esibizione seppur di lusso e non un torneo ufficiale per scaldare muscoli e sentimenti in vista delle due settimane di Melbourne: da quando ha deciso così, si è portato a casa due volte lo Slam degli antipodi, risorgendo dalle ceneri di una carriera che pareva mutilata dagli attacchi dell’età. Perché l’ambiente di Perth, dove il pubblico riempie uno stadio da 14.000 posti solo per vederlo allenare, è ideale: clima secco che non turba la schiena, partite tirate ma senza lo spasimo della vittoria a tutti i costi, che servono al colpo d’occhio e a sgranchire il braccio, però non sollecitano troppo le giunture di un ultra 37enne graffiate da mille battaglie. Poi ci sono pure incroci solleticanti, come quello con Tsitsipas giovedì («È stato divertente, Stefanos gioca benissimo ed è ormai uno dei tanti che affronto che potrebbe essere mio figlio…»), dove l’adrenalina pompa più del solito (e lo stesso accadrà con Zverev in finale) e gli stimoli stuzzicano. Insomma, Federer ha tutte le ragioni per spandere sorrisi: «La Hopman Cup è l’appuntamento perfetto per cominciare la stagione, la gente mi vuole bene e io mi sento bene. Spero mi porti a fare gli stessi risultati a Melbourne degli anni scorsi, le ultime due edizioni degli Australian Open sono state così pazze e divertenti… Due anni fa, in questi giorni, non avrei mai immaginato di poter tornare così in alto, perciò non posso che essere felice di ciò che è successo da quel periodo in poi». SOGNO CENTENARIO Il Divino sa che per lui il tempo non esiste, e dunque le aspettative che si nutrono nei suoi confronti hanno orizzonti diversi: «È meraviglioso pensare che la gente si attenda da me che faccia sempre qualcosa di straordinario, ma non sempre può accadere e perciò il mio livello di tennis può cambiare. In questo momento, il mio stato di forma fisico, mentale e tecnico mi soddisfa». Musica per chi lo ama, avvertimento per il resto della flotta: Londra e Doha hanno dimostrato che Djokovic non è inscalfibile, Nadal naviga nei dubbi, Murray non parliamone, e agli altri, vecchi o giovani leoni che siano, servirebbe sempre un exploit enorme. Invece, con la freschezza di un’annata appena sbocciata e l’aiuto di una superficie da sempre amica, Federer in versione Australia rimane un califfo capace di tutto. Con l’obiettivo di abbellire la corona degli Slam con un’altra perla, la 21°, e soprattutto con la possibilità di varcare la soglia dei 100 tornei vinti in carriera. Numericamente, l’impresa aggiungerebbe poco al mito, che sta per compiere la maggiore età (il primo trionfo di Roger è datato infatti febbraio 2001, a Milano), ma simbolicamente ingigantirebbe un albo d’oro che sinceramente non si immaginava qualcuno potesse compilare dopo la rivoluzione dei tornei e del calendario dal 1990 (va detto infatti che almeno una ventina delle vittorie di Connors, il primatista con 109, furono sostanzialmente esibizioni sotto falso nome). Un traguardo in ogni caso monumentale e per il quale il Divino sa che il talento e le qualità personali potrebbero non bastare: «C’è bisogno anche di un po’ di fortuna e che il sorteggio venga dalla tua parte. Devono mettersi a posto tante cose per conquistare uno Slam, anche per i più forti». Ma lui, il bacio della sorte, lo ha sicuramente meritato


Cecchinato fuori ma molto dentro (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Marco Cecchinato ieri a Doha ha perso una partita, ma vinto un pezzo di futuro. Perché se per il suo progetto di trasformazione da terraiolo puro a tennista multitasking, capace di fare strada su tutte le superfici, vale la metafora biblica della traversata nel deserto, allora siamo arrivati alla prima oasi: il cemento non è più un tabù. Anzi. Tomas Berdych, come dice proprio il Ceck, «e tornato quello di una volta», e purtroppo dopo sei mesi di stop per un guaio alla schiena ci è riuscito giusto in tempo per rovinargli la festa, negandogli ieri in due set (7-6 6-3), la prima finale sul “duro”. Ma le notizie cattive si fermano qui. Quelle buone, in compenso, sono parecchie. Marco non aveva mai fatto tanta strada sul cemento, e la settimana in Qatar gli vale da oggi il miglior ranking in carriera, numero 18 a cinque posti di distanza da Fabio Fognini. Un inizio di stagione così ricco fra l’altro a Marco non era mai riuscito, e la consapevolezza che qualche lezione rimediata l’anno scorso – quel mese senza vittorie in estate… – e il lavoro fatto questo inverno al Ceck iniziano a pagare in cash, in contanti: punti e prizemoney. Peccato solo per primo set lasciato solo al tie-break, dopo essersi trovato anche in vantaggio di un break (4-2), fra l’altro un tie-break in cui Marco ha avuto tre set-point sul 6-3. «Si, a inizio anno in effetti di solito combino poco», ha spiegato dopo il match, smaltita un po’ la delusione per la finale sfumata. «Quindi sono contentissimo di questo torneo. Per la partita non ho grandi rimpianti: i tre set point li ha giocati bene soprattutto Tomas, due ace e una grandissima stop-volley: mi sembra tomato a grandi livelli. Per me ora c’è Auckland, un altro torneo dove provare a fare bene per arrivare ancora più pompato agli Australian Open». PUZZLE. Il nuovo Cecchinato, come spiegano coach Simone Vagnozzi e il preparatore fisico Umberto Ferrara, sta nascendo con un puzzle complesso. Le prime tessere sono andate a posto l’anno scorso, dopo la clamorosa semifinale al Roland Garros, quando Marco sulla terra si sentiva quasi invincibile ma ha accettato di rimettersi in discussione sull’erba, sul cemento e poi nei tornei indoor in Asia. «Non abbiamo mai cercato obiettivi di classifica», dice Ferrara. «Marco sapeva che doveva “sbattere la testa” sul cemento per prendere confidenza. È migliorato sul veloce, ma l’obiettivo è di continuare a migliorare anche sulla terra. Con serenità: ha ventisei anni e ancora un grande potenziale. Ha qualità tecniche e atletiche, è forte, reattivo, esplosivo, e soprattutto ha una qualità che non si insegna: sa vincere le partite». Tecnicamente il lavoro è stato fatto sui dettagli. Tanti dettagli. «Non ci sono segreti», sorride Vagnozzi. «però adesso Marco serve più forte, di rovescio fa male anche sul cemento, non solo sulla terra, e risponde decisamente meglio. Anche qui a Doha ha usato lo slice, che prima magari gli mancava. Ma non c’è alternativa: oggi attorno a lui in classifica ha gente come Goffin, Dimitrov, Raonic, devi essere in grado di variare il gioco, non puoi permetterti debolezze. Abbiamo provato anche a cambiare un po’ la posizione sia in risposta sia a rete, per adattarla più al cemento: ora sta più piegato sulle gambe. E un processo lungo, iniziato già da tempo, e del resto battere gente come Chung e Simon in Asia, come ha fatto Marco nel 2018, già non è banale». Altra mossa vincente: “invertire” la preparazione. «Negli anni scorsi ci allenavamo molto sulla terra, e solo una settimana sul cemento – aggiunge Ferrara – quest’anno abbiamo fatto il contrario. Marco sta anche imparando come muoversi, che non vuole dire essere più veloce, perché fra l’altro con l’età la velocità cala, ma muoversi in maniera giusta, più efficiente. Lui fra l’altro impara molto in fretta, e questo ci aiuta molto». Aiuta meno gli avversari, e anche questa è una buona notizia

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