Colpire in cielo, è un tennis per giganti (Sisti)

Rassegna stampa

Colpire in cielo, è un tennis per giganti (Sisti)

La rassegna stampa di mercoledì 9 gennaio 2019

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Colpire in cielo, è un tennis per giganti (Enrico Sisti, La Repubblica)

Servono tra le nuvole ormai. Mettendo insieme i suoi centimetri fino alla spalla, aggiungendo la lunghezza del braccio, quella della racchetta, più l’elevazione e il rialzo delle scarpe, quando serve Ivo Karlovic colpisce a quasi 4 metri da terra. E il quasi 40enne croato non è neppure il più alto in circolazione perché il 21enne americano Opelka (Wimbledon jr. nel 2015), lo sovrasta di due centimetri. Cosa può essere la prima palla di servizio di un giovane gigante? Semplice: può essere qualcosa che rischia di fare i buchi pure sul cemento. Uno smash. «Cose inimmaginabili ai nostri tempi», riconosce Bertolucci. «Sì, c’era qualcuno più alto, ma non esistevano le condizioni per cui l’altezza potesse fare così tanta differenza: con quelle racchette e con certi campi che sembravano paludi, il servizio non incideva come adesso, neppure se eri più alto di 1,91, come per esempio Clerc». Quando giocava Bertolucci, uno come Adriano Panatta, 1,84, era considerato «grosso». Domenica si è disputata a Pune la finale Atp più alta della storia fra Karlovic (2,11) e Anderson (2,03), vinta da Anderson. Alleggeriti i materiali, velocizzate le superfici, ecco che l’altezza del campione cambia gli scenari tecnici: «Adesso è Schwartzman (1,70, ndr) che deve attrezzarsi per evitare di sparire». Un tempo i piccoli erano la norma, i giganti le rarità. A inizio del ’79 l’altezza media della Top 100 maschile era 1,82; il numero 1 del mondo era Connors con 1,78 e la media della Top Ten, a dimostrazione che il gioco era diverso perché contavano anche la manualità e la mobilità, era di 1,77. «Adesso i giganti sanno anche muoversi lateralmente, hanno quasi azzerato i limiti della loro morfologia e a rete fanno paura, provate a “lobbare” Isner..!», prosegue Bertolucci. «Ma non c’è da stupirsi: è una selezione naturale, in nome dell’estrema prestanza fisica, tipica di tutto lo sport moderno». Dieci anni dopo, nel 1989, la Top 100 sale a 1,83 di media. A gennaio ’99 si sale ancora di 2 cemtimetri (1,85). Nel 2000 appaiono i primi due n.1 più alti di 1,90: Safin e Kuerten. Nel 2009 altro piccolo passo fino a 1,86 di media dei primi 100 al mondo con la Top Ten a 1,83. Poi esplode tutto. Arrivano i ragazzi cui non piacciono né basket né volley. Cresce il numero di punti al servizio e i set risolti al tie-break, perché è sempre più difficile strappare il servizio a un “big server”. Il gennaio in corso ci regala il botto: la Top 100 più alta di sempre (1,90, con 1,92 per la Top Ten), con Zverev, Del Potro, Clic, Querrey, Berdych, Berrettini, Pospisil, Monfils, Khachanov, Medvedev, Raonic di poco sotto i 2 metri e tre sopra (Karlovic, Isner e Anderson): «Sono fisici solidi anche se allungati», spiega Nicola De Gasperis, responsabile sanitario delle Next Gen Finals, «sono alti ma flessuosi, hanno muscoli adeguati e rischiano poco. Magari sono appena più soggetti di un brevilineo ai problemi lombari. Ma ormai tecniche di allenamento e alimentazione sono troppo raffinate per lasciare spazio all’incertezza». Enormi e perfetti. A quando un n.1 oltre i 2 metri? Presto, molto presto.

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