Ceck-out amarissimo in Australia, Fognini e Giorgi sorrisi azzurri (Baldissera). La resa di Vanni e Ceck (Azzolini). Cecchinato non è un flop, ma serve più incoscienza (Bertolucci). Serena è tornata (Semeraro)

Rassegna stampa

Ceck-out amarissimo in Australia, Fognini e Giorgi sorrisi azzurri (Baldissera). La resa di Vanni e Ceck (Azzolini). Cecchinato non è un flop, ma serve più incoscienza (Bertolucci). Serena è tornata (Semeraro)

La rassegna stampa di mercoledì 16 gennaio 2019

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Ceck-out amarissimo in Australia, Fognini e Giorgi sorrisi azzurri (Luca Baldissera, La Nazione)

Nel giorno in cui Djokovic e Zverev hanno vinto senza perdere un set, proprio come Nadal e Federer lunedì, il bilancio azzurro della seconda giornata dell’Australian Open poteva essere in positivo, 3-1 come nella prima, se non addirittura un 4-0, e invece è un 2-2 che lascia un po’ l’amaro in bocca. Come in quei pareggi che la squadra del cuore subisce dopo il 90°, nei minuti di recupero. Ma nel tennis chi perde non può mai dare la colpa all’arbitro. Sia Marco Cecchinato sia Luca Vanni hanno perso al quinto set dopo aver vinto i primi due. I rimpianti sono maggiori per Cecchinato. Vanni (n.163 e emerso dalle qualificazioni) non era certo favorito contro l’ex top-ten spagnolo Carreno Busta (n.23). Invece Cecchinato n.18, lo era contro il serbo Krajinovic n.93 e ha anche avuto un matchpoint nel tiebreak del quarto set, sull’8 a 7. Lungo scambio, concluso purtroppo da un errore di rovescio. Perso il tiebreak 10-8 il siciliano ha patito il contraccolpo psicologico. In quel set era stato infatti anche avanti 2-0, quando pareva avviato a ripetere lo splendido avvio (64 60), con un secondo set giocato a livelli straordinari. Sembrava volasse verso il secondo turno dove, oltretutto – ad accrescere il rimpianto – c’era un avversario battibilissimo, il russo Donskoy n.96. «E’ una sconfitta durissima da mandare giù — ammette avvilito — Ho giocato due gran set, poi mi sono un po’ incartato. Ma ho avuto così tante occasioni, il matchpoint su tutte… Speravo in un torneo migliore. Avevo anche un buon secondo turno. Mi sento un giocatore anche da cemento…l’anno scorso non ci avevo ancora vinto una partita, i progressi ci sono. Ma ora sono triste, nervoso. I momenti brutti in carriera succedono: passerà pure questo». E Vanni dispiaciuto ma filosofo: «Un anno fa giocavo all’Open di Orvieto, oggi in uno Slam contro il n.24 Atp…». L’avversario di Fognini, lo spagnolo Munar, pupillo di Nadal e maiorchino come lui, si è ritirato nel terzo set per un stiramento dopo aver mancato un setpoint nel tiebreak del secondo set. Fognini al prossimo turno ha l’argentino Mayer: «Io a diventare top-ten non ci penso più. L’occasione l’ho mancata a New York e a Shanghai». E allora magari ci arriva. La Giorgi ha dominato in 53 minuti l’acerba slovena Jakupovic. Al prossimo round ha la polacca Swiatek, regina junior di Wimbledon.


Perdere bene, che vizio. La resa di Vanni e Ceck (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Di buono c è che gli italiani del tennis hanno imparato a perdere in modi a dir poco coinvolgenti. I sette in tabellone si sono ristretti ma di poco, ora sono quattro in secondo turno, buon viatico per dare ancora qualche pennellata d’azzurro al torneo. Perdere bene ha il fascino perverso di un vizio casalingo, a portata di mano, facile da ottenere. Ieri è successo due volte, prima a Luca Vanni, poi a Marco Cecchinato, e in entrambi i casi c’è da chiedersi perché i due non abbiano saputo portare a termine quel gioco seduttivo di ombre e improvvisi bagliori, di percussioni violente e inaspettate ritrosie nel quale così bene avevano precipitato i rispettivi avversari, se perché non se la siano sentita, o non ne abbiano avuto le capacità, oppure perché abbiano dato per scontato l’happy end. Due sconfitte dolorose, giunte dopo ampia dimostrazione che entrambi gli azzurri erano decisamente competitivi e meritevoli del passaggio del turno. Luca Vanni, opposto a Pablo Carreno Busta (numero 10, due stagioni fa), è stato capace di smontare il tennis ordinato dello spagnolo, ma tre errori evitabili nel sesto game del terzo set e lo spreco di una comoda volée sul 5 pari del quarto, gli sono costati il riaggancio e un quinto set giocato sotto pessimi auspici, fino alla sconfitta finale. Peggio è andata a Cecchinato, contro il serbo Krajinovk. Anche lui due set avanti, anche lui vittima di un personale cupio dissolvi all’imbocco del terzo set, eppure ancora in partita nel quarto, fino al tie break tutto giocato rincorrendo, e al match point raggiunto di pura caparbietà e smarrito su un rovescio che poteva essere giocato assai meglio. Così, nel quinto, il serbo ha fatto passerella, subito avanti e non più raggiungibile. «E’ una sconfitta dura da mandare giù, ho avuto chance a non finire, ho avuto un match point. Sono triste e deluso», dice un avvilito Cecchinato, «l’unico aspetto positivo è che il cemento non mi fa più paura, ma lo ammetto, mi aspettavo davvero un altro torneo» […]


Cecchinato non è un flop, ma serve più incoscienza (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Ci sono sconfitte e sconfitte. Quelle propedeutiche che fanno bene ai giovani, quelle inevitabili contro avversari decisamente superiori, quelle accettabili dopo aver fatto tutto il possibile per evitarle e quelle dolorose che necessitano tempo per essere digerite. A quest’ultima categoria appartiene quella di Marco Cecchinato nel primo turno degli Australian Open. Perdere contro Krajinovic non è un delitto, ma il modo in cui è maturata questa sconfitta lascia l’amaro in bocca, toglie alcune certezze e rischia di rallentare la crescita iniziata lo scorso anno. Non sarà facile cancellare dalla mente i due set di vantaggio, il match point e la consapevolezza di un secondo turno decisamente abbordabile contro il russo Donskoy. Marco però possiede fisico, mezzi tecnici e forza mentale che, usati con saggezza, possono far male anche ai più attrezzati del circuito. La terra battuta sarà sempre la superficie prediletta, ma anche sul duro, con pochi accorgimenti, potrà dire la sua. Con i solidi fondamentali da dietro e il suo pressing, il palermitano è in grado di creare situazioni favorevoli. Esteticamente si resta colpiti dal lineare rovescio, ma il dritto non perde certo il confronto in quanto a efficacia. Un passo in avanti potrà arrivare dal miglioramento della qualità e delle soluzioni del servizio e dall’uso anche dell’incoscienza travestita da coraggio per rendere più aggressiva la risposta.


Body mela e qai qai, Serena è tornata (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Il problema con Serena Williams non è quando finire, come sosterrebbe Mina, ma sempre da dove ricominciare. Proviamo con il risultato: la ex numero 1 del mondo, che in Australia cerca il 24° Slam, al debutto ha impiegato 49 minuti per sradicare dal tabellone la sua doppia collega (tennista e mamma) Tatjana Maria: 6-0 6-2. Al prossimo turno troverà Genie Bouchard, e speriamo che la canadese porti l’elmetto. Poi c’è il resto. La nuvola mediatica che accompagna la Williams la avvolge. A Parigi l’anno scorso Serena si presentò con una tutina nera aderentissima, e a Wimbledon con un tutù in tulle, provocando grande scandalo (per i facilmente scandalizzabili) e conseguente aspro contenzioso fra i fashionistas e i puritani, questi ultimi guidati dal presidente della federazione francese Giudicelli. A Melbourne la mise scelta è un altro body, color verde mela con cintura a contrasto, accompagnato da un collant a microrete (Serena-tard lo ha ribattezzato), che ha subito scatenato un altro dibattito. Più interessante il caso di Qai Qai, la bambola preferita di Alexis Olympia, la primogenita della campionessa. In un anno e mezzo scarso di vita Alexis Olympia è già diventata – suo malgrado? – una star dei social e Qai Qai è una bambola di colore. «Ho voluto che la sua prima bambola fosse nera – ha spiegato – perché quando ero piccola io non c’erano tante possibilità di giocare con bambole nere. Alexis è di sangue misto, nera e caucasica, la sua seconda bambola sarà bianca: voglio assolutamente insegnarle che gli esseri umani devono amarsi l’un l’altro, non importa di che colore sia la loro pelle». La bambola è parte integrante del doppio progetto, agonistico e sociale, che la Pantera sta coltivando da quando ha fatto la sua rentrée. Serena si propone non solo come tennista – la più grande di sempre, in cerca di definitiva vidimazione statistica attraverso il record di 24 Slam che oggi detiene in solitaria Margaret Court – ma anche come rappresentante ideale di tutte le mamme lavoratrici. Compresa la sua collega Vika Azarenka, alle prese con un faticosissimo processo di affidamento del figlio Leo e che ieri dopo una inattesa sconfitta è scoppiata a piangere, commuovendo un po’ tutti «Se ce la faccio io ce la potete fare anche voi», è lo slogan dell’americana, diretto alle tante working-mom che faticano a mettere insieme carriera e obblighi materni. «La Nike – ha spiegato parlando fra l’altro del Serena-tard – mi vuole sempre forte e in forma per dare un messaggio a tutte le mamme che vogliono tornare a posto dopo la gravidanza» Durante i suoi match la happy family è sempre schierata in tribuna: papà Alex, figlia Alexis e Qai Qai. «L’ultima volta che sono stata qui vinsi il torneo sapendo di essere incinta – racconta Serena – e fu una sensazione molto strana. Stavolta in campo sono da sola, è molto più normale, ma passo comunque un sacco di tempo con mia figlia. Mi alleno appena riesco e poi scappo subito a casa. Anche se da mamma lavoratrice mi sento un po’ colpevole, perché per me è super importante stare tanto con lei». Di mamma- come lei – ce n’è una sola.


Williams, vince Olympia (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Williams torna in Australia, c’era stata due anni fa, senza saperlo. Gioca con la Maria, è simpatica, ma quando camminano di fianco lei incespica e cade. Ridacchia e si rialza. Poi, fiduciosa, prende la mano dell’altra. La sfida mostra la Williams più risoluta, «questa è mia» dice strappando dalle mani della Maria la carrozzina, poi però gliela restituisce e le due si abbracciano, si danno un bacio sulla guancia. Ma la Williams cade di nuovo. Tutte giù per terra. Serena Williams e Tatjana Maria sono in campo e da poco si è concluso l’incontro fra Alexis Olympia, un anno e quattro mesi, e Charlotte, cinque anni da poco compiuti. La piccola Alexis ha fatto e disfatto, approfittando della pazienza della più grande. Anche fra Serena e Tatjana è stata la Williams a fare e disfare. I modi di Serena non sono cambiati con gli anni, anzi, si sono fatti più incalzanti, perché ha fretta di ricongiungersi al suo tennis, quello di quando vinceva a mani basse. Mamme in campo e figlie ad attenderle fuori. La scena non è nuova, ma dipinge un tennis che diventerà ancor più consueto. Anche le ragazze cercheranno di prolungare la loro permanenza nel tennis, supereranno i 35 anni con naturalezza e avranno team sempre più specializzati nell’allenare fisici femminili non più adolescenziali e atlete che hanno scelto di continuare dopo la maternità. Alla fine, mamma Serena spazza via mamma Tatjana. «Torno qui dopo due anni e tutto è cambiato; allora sapevo di essere incinta, ma giocai ugualmente e vinsi il torneo. Ora metto davanti a tutto mia figlia, ma sono una donna che lavora e come tutte mi sento in colpa con lei». Il body indossato a Melbourne, dopo il Catsuit di Parigi e il tutù mostrato agli Us Open, sembra santificare il suo ritorno alla forma fisica «Più o meno.. Mette in rilievo i muscoli, mi piace, ma non saprei come definirla..». Non mancano pero le calze elastiche, anti-trombosi, un problema che ha minacciato più di una volta Serena. «Super eroina o no, sono qui per vincere», annuncia. «Ho buone sensazioni». E una sicurezza in più. «Stavolta», assicura, «non sono incinta».

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