Zverev fuori a sorpresa (Baldissera). Mamma Serena pantera per sempre (Semeraro). Superman Tiafoe: il sogno coltivato con i cetrioli (Cocchi). La vera n.1 è Serena (Azzolini)

Rassegna stampa

Zverev fuori a sorpresa (Baldissera). Mamma Serena pantera per sempre (Semeraro). Superman Tiafoe: il sogno coltivato con i cetrioli (Cocchi). La vera n.1 è Serena (Azzolini)

La rassegna stampa di martedì 22 gennaio 2019

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Zverev fuori a sorpresa. Serena in verde elimina Halep (Luca Baldissera, Giorno – Carlino – Nazione Sport)

Alla sconfitta choc di Roger Federer ha fatto seguito il tonfo del tedesco n. 4 del mondo Sascha Zverev, dominato in modo quasi imbarazzante dal canadese del Montenegro Milos Raonic 61 61 76. Zverev, che ricorderete vittorioso nelle World ATP Finals di Londra lo scorso novembre (battè Federer e Djokovic uno dopo l’altro), era letteralmente furibondo. Verrà certamente multato per aver frantumato una racchetta sbattendolo furiosamente a terra 8 volte, fino a farla accartocciare. Il video della sua rabbia incontenibile è diventato virale come quello di Marcos Baghdatis che diversi anni fa brutalizzò la propria racchetta sbattendola 4 volte. Zverev le ha… raddoppiate. Djokovic ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie, (64 67 62 63, ma il match è stato molto più equilibrato, 3h e 15m), per aver ragione del giovane russo Medvedev. Nella metà alta, ai quarti, sono approdati dall’alto in basso, Djokovic, il “Giap” Nishikori, Raonic e l’imbucato Pouille che ha sorpreso il pupillo di Riccardo Piatti, Borna Coric. Fra le donne il clou era Serena Williams-Halep. In un completo verde Nike di discutibile gusto e talmente aderente che pareva sul punto di far scoppiare ad ogni rincorsa, mamma Serena ha rispedito a casa (64 46 64) la n.1 del mondo.


Solito Rafa: passione e rispetto. “È temibile” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Cosa facevi dieci anni fa? Asciugavo le lacrime al mio più grande avversario. Se Nadal, seguendo la moda social di questi giorni, dovesse cadere nella tentazione del #tenyearschallenge, avrebbe la foto bell’e pronta: finale degli Australian Open 2009, il successo su Federer in una delle partite più emozionanti di sempre e, alla premiazione, il pianto a dirotto di Roger, consapevole che il satanasso maiorchino ormai gli era entrato sottopelle nella più straordinaria rivalità della storia dello sport. Rimane, fino a qui, l’unico trionfo nello Slam degli antipodi di Rafa, quasi che la magia di quella notte, la certificazione che nel cielo del tennis ormai brillavano due stelle parimenti brillanti, fosse un dono irripetibile. Solo che dieci anni dopo, ammaccato da mille battaglie ma certo non piegato nello spirito, Nadal si è messo nella condizione migliore per tentare di nuovo l’ascensione al cielo di Melbourne, provando a diventare il primo giocatore dell’Era Open a vincere almeno due volte tutti gli Slam. Sta viaggiando sotto traccia, lontano dalla ribalta, una situazione che lo stimola da sempre. E sta trovando la condizione nel modo più concreto per un agonista come lui, attraverso le partite. Fermo dal 7 settembre, quando si ritirò dalla semifinale di New York contro Del Potro con il ginocchio scricchiolante, operato poi alla caviglia destra a fine novembre, il numero due del mondo è arrivato down under senza neppure un match ufficiale alle spalle. Ma con una novità importante e una costante sempre preziosa. La prima è il servizio modificato: nuovo lancio di palla, una posizione più compatta e meno caricata per sfruttare meglio l’altezza e un movimento in avanti del piede destro. La seconda è la passione, compagna di infinite avventure e infinite vittorie: «Io so che il tennis non sarà per sempre, ci sono stati momenti in cui non vedevo la luce, ma finché potrò cercherò di dare a me stesso tutte le possibilità per combattere al massimo e fare le cose che mi piacciono di più». E allora stamattina, incrociandolo negli spogliatoi, Nadal avrà senz’altro un moto di ammirazione per Tiafoe, un ragazzo che per la storia personale mette nel tennis carne, sangue e lacrime. Come lui. Intanto, lo spagnolo lo ha già benedetto tecnicamente: «Quando si affacciano giocatori giovani, è giusto seguirli con attenzione. Frances ha tutto: serve bene, è veloce, con un gran dritto. È aggressivo e dinamico, dunque è pericoloso e mi aspetto una partita dura e difficile» […]


Mamma Serena pantera per sempre (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

«Ed ecco a voi la numero 1 del mondo…». Dal tunnel della Rod Laver Arena esce Serena Williams, il pubblico si produce nel consueto boato. «… Simona Halep!», continua però lo speaker, e la Williams, imbarazzata, torna sui suoi passi. Ora, l’errore non è di Serena, visto che in campo entra sempre per prima la giocatrice peggio classificata, e l’americana oggi è numero 16. La gaffe però la dice lunga su chi, nonostante tutto, resta la vera padrona del tennis. O se preferite la numero 1 del mondo “percepita”. Persino dalla Halep, che ha sorriso dell’infortunio. Anche perché poi la partita l’ha vinta lei, la Pantera eterna, rispedendo a casa in tre set la supplente romena e guadagnandosi il 50° quarto di finale in uno Slam, che giocherà domani contro Karolina Pliskova. La Halep non ha tenuto un servizio fino all’inizio del secondo set, nel secondo è riuscita a sfruttare la limitata mobilità dell’avversaria e nel terzo si è anche procurata tre palle break, sul 3-2 a suo favore. Ma quando la Williams ha deciso di tirare tutto per ammazzare la partita, la luce si è spenta. «Ho dovuto alzare il livello, perché Simona è la numero 1», ha concesso, sovrana. «Ho dovuto giocare di più come sapevo che avrei potuto fare, e quella è stata la chiave. Amo il tennis, sono una lottatrice, non mi arrendo mai. Credo sia qualcosa di innato». Una qualità inossidabile. Serena ha 37 anni, come Federer. A Melbourne punta a vincere il suo 24° Slam eguagliando così il record assoluto – ma sopravvalutato – di Margaret Court. Il 23° se l’era preso proprio a Melbourne, due anni fa, quando era già incinta di Alexis Olympia; nel 2018, da neo mamma, ha strappato due finali, a Wimbledon e agli US Open, perdendole contro Kerber e la ragazza Osaka anche per colpa degli strascichi fisiologici del parto. Ed è Serena stessa a riconoscere, nonostante le tutine aderentissime e la falsa coscienza degli osservatori anche eccellenti (Chris Evert), che temono la tagliola del politically correct, di non essere ancora al meglio. «Credi di essere in forma – ha postato due giorni fa su Instagram – poi ti siedi vicino a Olympia e scopri di avere tre pance…». Con l’erede, dopo la faticata («Ma è il mio mestiere, gioco per voi»), ha passato la serata guardando per l’ennesima volta i film preferiti della baby: «Avrò visto quattromila volte “Frozen”, e tremila “La Bella e la Bestia”, ormai so tutti i dialoghi della Dysney a memoria…». Genitori di tutto il mondo, empatizzate. Sui social del resto è la regina incontrastata, l’eroina (autoproclamatasi) delle mamme lavoratrici di tutto il mondo, di quelle che non riescono a smaltire i chili in eccesso dopo il parto, e negli States neo-conservatori di Trump faticano a mettere insieme maternità e lavoro. Sul campo è lenta, certo, macchinosa; ma quando fionda diritto e servizio le avversarie continuano a sbattersi da un parte all’altra del campo. Per disinnescarla servirebbe fisico, tecnica, personalità. Qualità che non abbondano oggi nel Tour in rosa […] Non è un caso se gli ultimi otto Slam sono finiti a otto diverse vincitrici e la multitasking Serena è sempre il punto di riferimento, la roccia, anche se gli algoritmi dicono di no. «Devo accettare di non essere sempre al massimo, fa parte del mio viaggio. Anche alla mia età posso imparare nuove cose». Eccola, la differenza, fra la numero 1 e la più forte di tutte.


Superman Tiafoe: il sogno coltivato con i cetrioli (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

La salamoia dei cetrioli tra un cambio campo e l’altro per evitare i crampi. La mossa da macho mostrando i muscoli dopo aver battuto Grigor Dimitrov e poi il discorso dopo la vittoria. Frances Tiafoe ha toccato il cielo con un dito, guadagnandosi un quarto illustre contro Nadal, proprio nel giorno del 21° compleanno, suo e del gemello Franklin. Frances è cresciuto tirando la palla contro il muro del circolo tennis di Hyattswille, in Maryland, dove il padre, immigrato della Sierra Leone, faceva il custode grazie a una benedetta greencard. Lui, il gemello e la mamma, infermiera, vivevano in un bilocale al centro sportivo dove lavorava il papà, così si è ritrovato prestissimo con la racchetta in mano: «Diciamo che quella racchetta era la mia babysitter», ha raccontato appena due mesi fa a Milano, dove Tiafoe ha giocato le Next Gen Finals. Insomma, Frances che sbarca ai quarti di finale di uno Slam è la più classica incarnazione del sogno americano. Che a ben guardare diventa anche sogno tennistico dell’America ancora a caccia di un erede di Agassi, Sampras e compagnia vincente. Tiafoe è il «simpatico» del circuito, sempre pronto a scherzare, a fare una battuta. Solo con la collega e connazionale Anisimova non ha funzionato: «Niente, lei non ride mai. Ci ho provato eh, ma forse non è proprio capace di ridere». In compenso lui si è divertito in Hopman Cup, dove insieme a Serena Williams ha rappresentato gli Usa. Un antipasto di stagione che gli ha fatto bene e lo ha preparato al grande pubblico di Melbourne. «Incredibile, non ci posso credere», continuava a ripetere Frances dopo il successo contro Dimitrov: «Quando avevo 10 anni ho fatto una promessa ai miei genitori. Ho detto loro che sarei diventato un professionista e avrei cambiato la loro vita e la mia». Ora questa promessa è realtà, papà e mamma hanno i loro appartamenti, e lui può finalmente rilassarsi: «Finora tutto quello che ho fatto l’ho fatto per loro, da adesso posso cominciare a pensare a me stesso». Partire dal nulla è stato probabilmente decisivo. Ha aumentato la sua fame di rivalsa sociale: «Nel club dove lavorava mio padre c’erano ragazzi della mia età ricchissimi. Gente che aveva l’autista anche per il gatto… Non voglio dire che partire dal nulla sia meglio, ma di sicuro è stata una bella spinta». Un bravo ragazzo Frances, che si emoziona al pensiero che LeBron James sappia di lui: «Ha visto l’imitazione che ho fatto della sua esultanza e ha risposto su Twitter. Vi rendete conto? LeBron sa chi sono!». Lo conoscerà ancora meglio se farà qualcosa di buono stamattina con Rafa Nadal, uno che di Slam ne ha vinti 17 e che non ha intenzione di lasciare il posto nell’Olimpo: «Mi farà correre come un pazzo […]


Guarda chi si rivede: Pouille. “Mauresmo, la scelta giusta” (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Dice che non si divertiva più. «A fine anno avevo perso fiducia, non mi sentivo felice sul campo e mi pesava viaggiare nel circuito. Non avevo proprio voglia di giocare a tennis». A ridargliela è stata una donna, ma state sbagliando se pensate ad una moglie o a una fidanzata. Lucas Pouille, adesso, è nei quarti degli Australian Open, i suoi terzi in carriera in uno Slam. Dopo aver battuto Kukushkhin si è infilato nel buco lasciato libero dal ritiro di Thiem e ha seccato una fetta della Next Gen internazionale, Popyrin e Coric, ora gli tocca il maturo Milos Raonic. Nello scorso maggio era entrato fra i primi dieci, ma a novembre, infilata una serie di batoste, era sceso al 32 rassegnandosi al divorzio con il suo coach Emmanuelle Planque. Dopo la finale di Coppa Davis, persa dalla Croazia a Lille, la scintilla rosa. «Ci siamo seduti e abbiamo parlato per due ore – dice Amelie Mauresmo, che sarebbe dovuto diventare la nuova capitana francese dopo l’addio di Yannick Noah, e invece oggi è la coach del biondo di Grande Synthe. «Ho capito che è ambizioso, e pronto a fare di tutto per tornare al vertice». Pouille e altri suoi colleghi avevano già annunciato che non avrebbero giocato quest’anno la Davis “riformata”, e del resto per lei, ex n. 1 del mondo, vincitrice di Wimbledon e degli Australian Open nel 2006, allenare un maschio non era una novità dopo i due anni passati a fianco del più femminista dei tennisti, Andy Murray. Oggi, come Serena, è una mamma lavoratrice e deve badare ai due figli che ha partorito dopo essersi sposata con Sylvie Bourdon, Aaron e Ayla, ma quando Lucas le ha chiesto di dargli una mano si è trovata davanti ad una offerta difficile da rifiutare. Anche se i pregiudizi nei confronti delle allenatrici donne sono difficili a morire. «A me non importa se si tratta di un uomo, di una donna, di un nonna o di un nonno – dice Lucas, l’unico nei Top 100 ad avere una coach dell’altro sesso – Alla fine dobbiamo confrontarci con gli stessi problemi. Mentalmente non cambia nulla, tecnicamente Amelie ne capisce. Sa quello che devo fare in campo, e a me quello interessa». Quando fra il 2014 e il 2016 allenava Murray, ha spiegato la Mauresmo al New York Times, «la pressione era enorme, sapevo che tutti si sarebbero chiesti se avevo lavorato bene o no. E ho lavorato un sacco». Esercizi, allenamenti, suggerimenti azzeccati. Zero tempo perso. L’obiettivo con Pouille è di ritrovare la strada per la Top Ten. «La gente mi chiede: ma Amelie può entrare negli spogliatoi? Io rispondo che quello che conta è la preparazione e l’analisi del match. Basta guardarla sul campo, Amelie, e capisci che è una campionessa» […]


La vera n.1 è Serena (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Vincere, e sentirsi numero uno, ancora una volta. L’ennesima, direte, ma non ce n’è una che sia uguale all’altra, così come non esiste un unico modo di sentirsi appagata, o acquietata, o sazia. Di che cosa, poi? Nei due anni vissuti a ritroso nella sua vita da atleta, mentre tutto il resto andava avanti e altre urgenze premevano e riempivano le giornate, perché c’era da diventare mamma, da imparare a esserlo, da mettere su casa e famiglia, Serena Williams ha visto scomparire tutto ciò che di tennistico aveva intorno a sé. Le racchette, le mise che non piacciono a nessuno tranne che a lei, il Catsuit, il tutù sui glutei grandi come panettoni, le avversarie che vogliono batterla a tutti i costi. E la classifica? Numero uno per l’ultima volta l’8 maggio del 2017. Poi 15 a luglio, 24 a ottobre, e di colpo numero 491 a marzo 2018, dopo essere stata due mesi senza ranking. I tre turni vinti al Roland Garros, prima del forfait contro Maria Sharapova, l’hanno restituita ai primi 200 posti. La finale di Wiimbledon, persa contro la Kerber, l’ha tirata su fino al numero 27. Quella degli Us Open al numero 16, con cui si è presentata a Melbourne, vestita di verde stavolta, un abitino dei suoi stretto stretto intorno alle rotondità mammose che gli allenamenti non hanno del tutto cancellato. Vincere e sentirsi numero uno, senza esserlo davvero e senza che arrivare lassù sia ancora una priorità, l’ha però inebriata. La riscoperta di sensazioni ormai lontane le ha dato gli stimoli che cercava. Continua a inseguire il primo Slam da mamma. È una donna in missione speciale, Serena. E continuerà a esserlo da qui in avanti. Ma c’è un’altra numero uno, ed è quella vera. Simona Halep lo sa di essere lassù perché l’altra ha smesso di fare la tennista a tempo pieno. E sa che il confronto fra lei e Serena è stato improponibile, 9 volte su 10 finora. Ma anche lei ha dato un frego su una vita di sole gallate e risultati da conteggiare. Ora che si gestisce da sola, e il suo coach-amico Darren Cahill ha ripreso la strada perla famiglia, vuole provare a prendere il meglio dal tennis, senza troppe angosce. «Se sto in testa, voglio sentire che me lo merito», dice. «Se Serena è più forte, e lo è, voglio sentirmi in grado di darle battaglia». E lo fa con grande orgoglio, in questi ottavi che tutti dicono “da prendere o lasciare”, e lei trasforma in una contesa in cui entrambe finiscono per prendere qualcosa. Serena la sua inebriante vittoria, Simona la sua orgogliosa ribellione, che fa sentire tutti un po’ più dalla sua parte, perché la disubbidienza non è più di questo mondo, e invece – quel po’ che serve – dovremmo riscoprirla […] «Merita di essere lassù, Simona», dirà Serena, che nei quarti andrà ad affrontare la Pliskova. «È ancora la più forte, la ammiro», è il pensiero di Simona. E il tennis femminile, per una volta, sembra davvero avere due numero uno […]

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