Altro che Serena, crollo storico (Scanagatta). È un Nadal all'infinito: "Next Gen? C'è tempo..." (Crivelli). Ribaltone Pliskova: Serena è implosa (Semeraro). Amélie Mauresmo: Madame Tennis e l'ascesa di Pouille (Clerici)

Rassegna stampa

Altro che Serena, crollo storico (Scanagatta). È un Nadal all’infinito: “Next Gen? C’è tempo…” (Crivelli). Ribaltone Pliskova: Serena è implosa (Semeraro). Amélie Mauresmo: Madame Tennis e l’ascesa di Pouille (Clerici)

La rassegna stampa di giovedì 24 gennaio 2019

Pubblicato

il

Altro che Serena, crollo storico. Da quasi dieci anni non perdeva così (Ubaldo Scanagatta, Giorno – Carlino – Nazione Sport)

Serena Williams è stata quattro volte a un punto dalla semifinale dell’Australian Open. Ma in semifinale c’è andata Karolina Pliskova. Mai Serena aveva perso dopo aver condotto 5-1, 40-30 e servizio nel terzo set. Altri 3 matchpoint Serena avrebbe avuto sul 5-4, ma lì serviva la Pliskova, testa di serie n.7, giraffona ceca di un metro e 86 che l’aveva già battuta in semifinale all’Us Open 2016. A caccia del 24mo Slam per uguagliare il record di Margaret Court, Serena Williams, inguainata nella solita mise verde inguardabile, ha subito una chiamata di fallo di piede sul primo matchpoint. Poi, in uno scambio serrato, è scivolata storcendosi una caviglia. Ed è scivolato via anche il match. «Non ho chiamato il fisio, non mi piace farlo se non mi pare necessario… » ha spiegato Serena con fairplay. Ha solo stretto di più le scarpe. Però da quel momento non ha più fatto un solo punto sul proprio servizio (il migliore fra le donne) perdendo 6 games di fila: 64 46 75 dopo 2h e 10 m. «Ero ormai quasi negli spogliatoi – diceva Pliskova ancora sul campo – e ora mi ritrovo qui vincente». Serena, più nota per grandi rimonte che per crolli di questo tipo, aveva perso l’ultimo match col matchpoint a favore 9 anni fa: Roland Garros 2010, con Justine Henin. Questo era il quarto Slam dopo il ritorno dalla maternità. A Parigi, infortunata, si era ritirata prima di sfidare Sharapova. A Wimbledon e US Open aveva perso in finale con Kerber e Osaka … nel famoso match in cui se la prese con l’arbitro dandogli del “sessista” per via di tre ammonizioni patite. L’ultima comportò un game di penalizzazione e Serena perse la testa, gli dette del ladro e di più. Stavolta però Serena, che aveva battuto la Halep n.1 Wta negli ottavi e che si sentiva in forma migliore rispetto alle precedenti apparizioni, non ha cercato scuse: «Lei ha giocato in maniera incredibile i matchpoint, tirando fortissimo e mettendo tutti i colpi dentro. Non mi rimprovero nulla. No, non mi è venuto il braccino, è stata brava lei». Pliskova nella notte ha giocato contro la giapponese figlia di padre haitiano Naomi Osaka, vittoriosa 64 61 sulla Svitolina. Ci ha perso 2 volte su 3, inclusa l’ultima. Nell’altra semifinale hanno giocato l’altra ceca, Kvitova, e l’americana, Danielle Collins, 25 anni. Kvitova e Osaka sono già sicure di spodestare la Halep, ma anche Pliskova potrebbe diventare n.1 del mondo se dovesse vincere il suo primo Slam. Fra gli uomini stamani (9,30 italiane Eurosport) c’è la semifinale più intrigante ed incerta: Rafa Nadal contro Stefanos Tsitsipas, il greco giustiziere di Federer e Bautista Agut. Domattina (stessa ora) l’altra: Djokovic (che ha approfittato del ritiro di un esausto Nishikori dopo 53 minuti, 61 41) e il francese Pouille che ha sorpreso Raonic (76 63 67 64). Djokovic, dopo uno scambio di battute ha invitato chi scrive a palleggiare un po’ con lui. Difficile dirgli di no. Il rischio di metterlo fuori palla e di una figura a dir poco imbarazzante ci sono.


Il leone indomabile. È un Nadal all’infinito: “Next Gen? C’è tempo…” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Il tempo e la pazienza sono le doti dei grandi guerrieri. Lo scrisse Tolstoj e Nadal deve averlo scolpito nel cuore. La sua carriera è un romanzo di mille cadute e altrettante risalite, con la forza mentale di un leone indomabile che rifiuta la sconfitta sempre possa venire dagli avversari o dall’ingiuria fisica di troppe battaglie. Il 3 gennaio, praticamente ieri, Rafa toglieva il proprio nome dal tabellone di Brisbane, il 17° ritiro negli ultimi 18 appuntamenti sul veloce, per un’elongazione alla coscia sinistra. Inutile girarci intorno: tranne che per lui e l’inossidabile team, a tutti pareva il segno della resa sul duro, con gli Australian Open appesi a un miracolo. Nella storia, però, non c’è mai stato e probabilmente mai tornerà un gladiatore come il satanasso di Maiorca, capace nell’arena di sublimare il dolore fino a esaltarsi. E così, dieci anni dopo aver fatto piangere Federer nel suo unico successo nello Slam degli antipodi, e senza partite ufficiali dal 7 settembre, Nadal è approdato alla semifinale degli Australian Open senza aver perso un set, come appunto gli accadde anche nel 2009 (è la decima volta, in 7 ha vinto il torneo). Soprattutto, ha portato a scuola i giovani rampanti incrociati nel suo cammino di fuoco, De Minaur e Tiafoe, una delle situazioni che lo stimolano di più e nelle quali aggiunge pepe allo scontro. Tanto che l’americano, scottato dall’esperienza, si è difeso con l’ironia: «Sai che ti arrivano palle che rimbalzano altissime, sai che se gli permetti di colpire con il dritto ti griglia come un pollo sul barbecue, ma non riesci a farci nulla». E stamattina Rafa guarderà negli occhi il principino della Next Gen, Tsitsipas, sicuramente portando nell’anima le parole del greco a ricordare la sconfitta di Toronto a agosto: «Andai vicino a batterlo e mi ripromisi che al prossimo match con lui sarebbe andata meglio». Qui è Rodi e qui salta, Stefanos. Il numero due del mondo, intanto, allontana a parole il cliché di ammazza-predestinati: «Io gioco la mia partita, che siano Next Gen oppure no. Per me quello che conta davvero è vincere e passare il turno. So che sono bravi, ma io non la prendo in questo modo. Comunque, possono aspettare un po’, anche se non saranno d’accordo…». Nadal, che per i guai agli addominali gioca con un cerotto sul ventre («Sono in semifinale, non è un argomento di cui parlare, succede»), ha costruito l’ennesima rinascita attorno alla consueta volontà di ferro («A inizio anno ho passato momenti difficili, come sempre, ma qui ho avuto solo belle sensazioni») e al servizio rinnovato nei movimenti: contro Tiafoe ha cominciato il match con 20 punti su 23 alla battuta e non subisce un break da 51 game, dal terzo set contro Duckworth al primo turno. Un combattente enorme […]


Djokovic, un mistero verso la finale (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

In molti mi chiedono di dare un giudizio sulle attuali condizioni di Djokovic. Bella la domanda, ostica la risposta. Sulla carta il percorso del serbo appariva complesso e disseminato di alcune pericolose trappole. Come accade spesso gli ostacoli, cammin facendo, si sono rivelati meno difficili del previsto […] Tra le pieghe di ogni singola partita però qualche traccia sotto l’aspetto tecnico l’ho colta. Il servizio non ha guadagnato in potenza o velocità ma resta consistente e ben distribuito nelle traiettorie e negli effetti. Qualche lieve mutamento si scorge nell’esecuzione del dritto dove l’apertura appare contenuta e il gomito basso lo preserva da inutili e dannose dispersioni. Il magico rovescio mantiene la consueta solidità e solo nella risposta ha notato qualche imprecisione di troppo. Non resta che verificare la tenuta fisica, ma il riscontro penso potremo averlo solo in una eventuale finale.


Ribaltone Pliskova: Serena è implosa (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Stavolta Serena Williams le lacrime le ha versate soprattutto nel corridoio che porta dalla Rod Laver Arena agli spogliatoi, sotto gli occhioni elettronici delle telecamere piazzate lì, con poca discrezione, a documentare la gioia dei vincitori e l’umiliazione degli sconfitti: la Grande Sorella spiata dal Grande Fratello. Del resto sono più di vent’anni che il tennis si nutre, banchetta con i successi, le battaglie, i capricci, la classe, l’ira funesta e la personalità infinita di Serena. Che si sfama persino con le sue sconfitte, specie se sono clamorose, il copione di un dramma sportivo perfetto come quella di ieri. La ex numero 1 era arrivata a Melbourne con molte “good vibration”, in fondo questo è l’ultimo Slam che ha vinto, due anni fa, quando già era incinta di Alexis Olympia. Cercava il record di 24 Slam di Margaret Court, ma nei quarti di finale, contro Karolina Pliskova, anche lei sorella di una tennista (la gemella Kristyna, di ben due minuti più anziana), ha commesso un passo falso. Letteralmente. Mentre serviva sul primo match-point che ha avuto a disposizione nel terzo set ha toccato la linea, e il giudice di linea le ha chiamato fallo di piede. La partita era virtualmente sepolta: 5-1, 40-30 per Serena, e Karolina, come ha ammesso dopo il match, che si sentiva «ormai sotto la doccia». Il pensiero è andato subito all’altro fallo di piede funesto della carriera di Serena, quello che le fu chiamato su una delicatissima palla break nella semifinale degli US Open 2009 contro Kim Clijsters, quando l’americana sbroccò, inveendo contro la povera giudice di linea, minacciando di «ficcarle in gola» la pallina, e beccandosi 15.000 dollari di multa. Oppure alla lite furibonda dello scorso settembre, sempre a New York, dopo la penalità affibbiatale dall’implacabile Carlos Ramos nella finale contro Naomi Osaka. Un caso che ancora fa discutere per le accuse di ladrocinio sportivo e di sessismo agitate da Serena. Ma stavolta no, Serena non è esplosa: è implosa. Ha perso il punto e il game, storcendosi anche un po’ la caviglia (ma senza mai chiamare il fisioterapista), si è fatta rimontare i due break di vantaggio, cedendo anche un servizio a zero. Ha sprecato altri tre match-point sul servizio della Pliskova, si è arresa dopo aver annullato a sua volta due match-point. «Non dico bugie, la caviglia non mi ha frenato. Prima o poi tornerò a vincere». Niente scenate, mentre in tribuna Michal Hrdlicka, il marito della Pliskova, si scatenava in un’esultanza barbarica. Roberta Vinci nel 2015, quando sorprese Serena in semifinale a New York, si era limitata a mettere le mani accanto alle orecchie («adesso applaudite anche me…»), Michal con i decibel ha fatto tutto da solo. L’anno scorso nei quarti degli US Open era stata la ceca a rullare incassando un parziale di 8 game a zero contro la Williams; a Melbourne si era suicidata perdendo 10 game su 11 dopo essere stata 3-0 in vantaggio su Simona Halep. «È stata la rimonta più incredibile della mia carriera» ha ammesso. Era entrata meglio nel match, poi se l’era visto scappare via nel secondo e soprattutto nel terzo set, davanti a una Serena tornata carnivora. «Ero giù mentalmente, poi improvvisamente mi è capitata una chance. Il tennis è fatto così. Ma una cosa del genere capita una volta nella vita». Specie se dall’altra parte della rete c’è la storia del tennis […] Serena ha perso. Ma non è finita qui.


Melbourne è donna (Daniele Azzolini, Tuttosport)

[…] È stato il giorno delle donne, ieri, anche in campo maschile. Il rischio è che non faccia più notizia. Per un’intera giornata gli Open d’Australia hanno parlato di Naomi, di Serena e Karolina, di Petra e Amelie. Djokovic e Nishikori hanno regalato 12 game di noia in attesa del ritiro scontato del giapponese (giunto sul 6-1 4-1) mentre le ragazze hanno dato spettacolo e ora promettono un finale bianca, fitto di duelli da primato. Sono ancora in tre a poter superare Simona Halep in classifica, ed è per un doppio traguardo che si batteranno nelle prossime ore, la vittoria nello Slam e la vetta del tennis. Se il torneo si fermasse qui, sulla cima salirebbe Naomi Osaka, la giapponese che non parla il giapponese. La semifinale raggiunta le assegna 5810 punti, la Halep è ferma a 5582. La verità è che solo la vittoria può darle la certezza del primato. Seguita molto bene da coach Bajin, che fu sparring di Serena e di Azarenka, Naomi è una ragazza da Slam. Ha mostrato ciò che sa fare agli Us Open, poi non ha più vinto, fino a chiudere la stagione con tre sconfitte nel Master di Singapore. A Melbourne è tornata a schiantare le palline, ha lasciato appena due set e nei quarti ha travolto Svitolina, proprio lei, la vincitrice del Master. Il match da raccontare è quello fra Karolina Pliskova e Serena Williams. Violento e impreciso, colpi di classe e cantonate. Meglio la ceca in avvio. Alta e altera, sempre imperturbabile, Karolina ha vinto il 1° set ed è andata avanti di un break nel 2°, scatenando l’ira funesta di mamma Serena. Il riaggancio è giunto sul 3 pari, il break valido per il secondo set sul 5-4, con Karolina avanti 40-15 grazie a tre ace. Serena ha risposto bordate, ha incamerato il set, e ormai liberatasi ha fatto corsa di testa nel terzo, fino al 5-1. Lì ha scoperto che il baratro può esistere anche per un’eroina che ha fatto la Storia del nostro sport. Sul primo match point le hanno chiamato un fallo di piede, poi si è procurata una lieve distorsione alla caviglia. Altri due match point consecutivi sono giunti sul 5-4, e Pliskova ha annullato con coraggio, il quarto poco dopo, nello stesso game, vanificato anche quello. Sul 5 pari, Serena ha ceduto il servizio e le armi, e Pliskova ha completato la rimonta. «La caviglia non c’entra. Ho commesso una enormità di errori, ma lei ha giocato benissimo», l’omaggio finale di Serena. Karolina è a 5100 punti, anche lei sarebbe numero uno vincendo il torneo. Come Petra Kvitova, attesa da Danielle Collins. Petra sta giocando benissimo, la sua mano ricostruita dopo l’attentato è tornata a funzionale, e non ha ancora perso un set. I punti al momento sono 5570, poco meno di Osaka, ma più della Halep. L’ultima è Amelie Mauresmo. Da quest’anno è coach di Lucas Pouille, francese di talento e di poco carattere. «Lei sa dirmi le cose giuste», assicura Lucas, giunto alla prima semifinale Slam con una robusta vittoria su Raonic, che sembrava in grande forma «Una semifinale firmata anche da Amelie», dice Pouille, finalmente diventato tennista.


Lucas e il favoloso aiuto di Amelie: così rinasce un tennista (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

«Uomo o donna, che importa? Nel tennis è fondamentale sapere cosa si fa, e Amelie lo sa». La fa facile, Lucas Pouille, l’enfant du pays sbucato per la prima volta in carriera in una semifinale Slam regalandosi la sfida impossibile con il numero 1 Novak Djokovic, che approfitta del ritiro di Nishikori nei quarti (con il giapponese sano come un pesce, sarebbe finita allo stesso modo). Quando Andy Murray — una prece — assunse Amelie Mauresmo come coach, si beccò dai colleghi misogini una raffica d’insulti. Lucas cavalca la scia dello scozzese: ha dirottato Amelie dalla panchina annunciata della Davis francese, che svecchiata con le nuove regole non piace già più a nessuno (oltre a quella di Fognini contro l’India seguiranno altre defezioni più eccellenti: scommettiamo?), alla sua personalissima, ottenendo benefici immediati dal tocco magico della campionessa che proprio a Melbourne, nel 1999, si dichiarò pubblicamente omosessuale […] Cosa ti ha trasformato? gli chiede John McEnroe dopo la mattanza di Milos Raonic nei quarti, con il cappellino voltato alla maniera dei ciclisti, tratto distintivo di Pouille. «Lei» risponde il francese, indicando una giovane signora in tribuna. Amelie sfodera la mascella volitiva e sorride di compiacimento. «Lo raccomando a tutti: prendetevi un coach donna». Mauresmo sa come si fa, è vero. Con il suo sontuoso rovescio monomano, sulle ali di un serve and volley ispirato, Amelia ha conquistato l’Australian Open 2006 (nello stesso anno magico anche Wimbledon) e adesso indica al redivivo Pouille, uscito dai top ten per l’eccessiva pressione di una Francia che lo vorrebbe re de Roland Garros dopo Noah, la strada in un torneo dove era sempre uscito al primo turno. «Amelie mi ha ridato fiducia e la gioia di giocare a tennis. Essere allenato da una campionessa come lei è un onore». L’elegia della donna non basterà contro Djokovic, approdato alla 34a semifinale Slam in carriera. Ma c’è un tennista ritrovato, al di là della rete, un ragazzo di talento che, a soli 24 anni, sarebbe stato un delitto perdere per strada.


Amélie Mauresmo: Madame Tennis e l’ascesa di Pouille (Gianni Clerici, Repubblica)

Serena stava giocando un’altra partita, a Melbourne. Un quarto di finale da vincere per avvicinarsi alla storia e a quella giocatrice, Margaret Court Smith, che ha vinto più Slam di tutte: ventitrè. Avrebbe poi pensato a superare quella “Conformista Anglicana”, come avevano scritto i giornali australiani anni fa per una presa di posizione contro le giocatrici di oggi, colpevoli di essere donne contemporanee. Contro la Pliskova, boema che a me sembra la nipotina di Drobny, un amico che doveva vincere una partita almeno due volte, Serena era andata in vantaggio per 5-1 nel terzo set dopo aver pareggiato i primi due con lo stesso 6-4: a lei il primo, alla boema il secondo. Stava servendo, Serena, con la solita prima palla sulla quale metteva tutti i suoi chilogrammi di mamma recente, quando ha sentito la parola foot-fault, cioè fallo di piede. Ha dato un’occhiata in tribuna, ma in quella direzione lo sguardo è stato interrotto dalla presenza del giudice di linea, un ragazzo del quale non sono riuscito a sapere il nome. Serena non ha un movimento che le consenta facilmente Il fallo di piede. È possibile che lo abbia commesso, ma è insolito che le sia accaduto proprio sul match point. Infatti si era portata al punto della vittoria sul cinque a uno, servendosi dei bei rimbalzi piatti della Pliskova come di appoggi per i suoi. Ha dato un’occhiata al giudice, ma non ha reagito. Pensava probabilmente di avere già vinto, e ha continuato apparentemente determinata e tranquilla. Di lì ha avuto un altro match point e gli ultimi due sul 5-4, finendo per smarrire la partita. Memore non solo della recente sfuriata con l’arbitro Ramos dell’anno scorso nella finale di New York persa contro Naomi Osaka, e di una più lontana zuffa con Kim Clijsters nel 2009, sempre a Flushing Meadow, mi sono sorpreso per la sua rassegnazione, per la sua accettazione. A 37 anni non ne restano moltissimi, anche se, nell’attuale tennis femminile non esiste un’altra campionessa come l’americana. Resta però un dato: Serena Williams è a secco da ben otto tornei. Cioè quelli che ha disputato da quando è rientrata nel circuito. L’ultimo suo digiuno così lungo risaliva a più di dieci anni fa, al 2007-2008, quando non vinse per dieci tornei di fila, da Charleston 2007 fino agli Australian Open del 2008. Non so cos’abbia detto Serena nella press conference, ma mi dicono che abbia conservato un certo contegno nel commentare le vicende della sua uscita dal torneo. Ho invece letto quel che ha commentato il francese Lucas Pouille, vincitore al quinto di un Raonic che non è più soltanto servizio. Il francese ha infatti lodato la sua allenatrice, insolitamente donna, quell’Amelie Mauresmo che, abbandonato quel che resta della Davis e della Fed Cup, si è presa sottobraccio il giovane, come aveva già fatto con Murray in precedenza, nel 2014, che la scelse incurante all’epoca dei commenti sessisti di cui fu oggetto, rispondendo sul campo e con i risultati prodotti dalla partnership sportiva (due finali Slam e sette tornei vinti in due anni). Ricordo un giorno in cui, al Roland Garros, vidi una bambina sconosciuta affrontare Nathalie Baudone, la moglie di Furlan. Scrissi che quella bambina sarebbe diventata una campionessa, e i colleghi dell’Èquipe mi derisero. Infatti non le avevo predetto un futuro da coach.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement