Laver profeta: "Djokovic può riuscirci come me" (Crivelli). Il sogno di Artaldi: "Meglio di Federer? È una possibilità" (Castaldo). Divina poco nippon (Azzolini). Per Nole: rischi soltanto a Parigi (Bertolucci)

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Laver profeta: “Djokovic può riuscirci come me” (Crivelli). Il sogno di Artaldi: “Meglio di Federer? È una possibilità” (Castaldo). Divina poco nippon (Azzolini). Per Nole: rischi soltanto a Parigi (Bertolucci)

La rassegna stampa di martedì 29 gennaio 2019

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Laver profeta: “Djokovic può riuscirci come me” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Ogni generazione vuole nuovi simboli, nuove persone, nuovi nomi. Un afflato di freschezza che nel tennis, malgrado i vagiti di giovani virgulti, in primis Tsitsipas, si dissolve di fronte alle meraviglie di una progenie dorata capace di segnare un’epoca come mai era accaduto, e senza alcuna intenzione di abdicare, salute permettendo. Per la prima volta nella storia, i primi tre nella classifica dei plurivincitori di Slam appartengono al medesimo periodo agonistico e insieme hanno conquistato 52 degli ultimi 61 Major, più che un dominio una potestà assoluta. Federer, Nadal e Djokovic: siamo stati abituati a recitarne i nomi uno dopo l’altro come un mantra, rispettando i numeri delle loro vittorie e anche l’anagrafe, ma il trionfo di Nole in Australia adesso minaccia l’ordine costituito. Pareva infatti che la questione del primato dei successi Slam a fine carriera riguardasse solo Roger (per ora a quota 20) e Rafa (arrivato a 17), ma il 15° sigillo del serbo scompagina le carte. Favorito dall’età, dall’integrità fisica ritrovata dopo l’intervento chirurgico in contrasto con gli acciacchi degli altri arcirivali e dalla mancanza di vere alternative finché i ventenni di oggi non troveranno fiducia e continuità, il Djoker attenta seriamente a quel record. Di più. La dimostrazione di forza delle due settimane agli antipodi ripropone il quesito che già lo accompagnò nel biennio magico 2015-2016: può essere lui il candidato più accreditato al Grande Slam, terzo uomo di sempre dopo Budge e Laver? Rod, che quest’anno festeggia il cinquantenario della sua seconda impresa (1969), davanti alla prepotenza di Novak ha abbandonato la diplomazia: «Penso che finirà la sua carriera con più titoli Slam di tutti gli altri. Non credo infatti che Roger possa vincerne molti altri, a parte ovviamente Wimbledon, sulla sua superficie preferita, mentre Nadal ha davanti a sé ancora qualche anno in cui sarà competitivo, ma il suo gioco mette a dura prova il fisico. Il Grande Slam? Prima o dopo qualcuno ci riuscirà, servono condizione atletica e disciplina e Djokovic possiede entrambe, anche se ammetto che rispetto ai miei tempi la concorrenza è più feroce». Secondo Marian Vajda, lo storico coach di Nole, richiamato dopo la crisi di inizio 2017, l’obiettivo si può raggiungere pensando a uno Slam per volta: «I 20 di Federer sono ancora lontani, è più realistico immaginare di avvicinare i 17 di Nadal, soprattutto se Novak continuerà a stare bene come in Australia, dove ha avuto una continuità di rendimento incredibile. Uno, poi un altro, poi un altro: difficile, ma non impossibile». La simbiosi con il pupillo è perfetto, stando alle parole del numero uno del mondo: «La strada per arrivare ai 20 Slam di Federer è lunga, ma il percorso è quello giusto. Fisicamente non mi sono mai sentito così bene, mi sento giovane, fresco e in forma. Non penso all’età, non penso ai limiti, penso solo a condurre uno stile di vita che mi assicuri longevità e benessere. L’importante è conservare il desiderio di migliorare in campo, perché tutto parte dalla testa, dal cuore e dall’amore per il gioco» […]


Il sogno di Artaldi: “Meglio di Federer? È una possibilità” (Dario Castaldo, Gazzetta dello Sport)

C’è un uomo al fianco di Djokovic da dieci anni (insieme alla compagna, Elena Cappellaro), che lo ha accompagnato nella parte di carriera più esaltante ma anche più complicata, in particolare negli ultimi 12 mesi. Ed è italiano. Nessuno meglio del manager Edoardo «Dodo» Artaldi può raccontare il personaggio-Novak. Quanto credete adesso nella possibilità di arrivare ai 20 Slam di Federer? «Intanto bisogna dire che altri 5 Slam da vincere sono tanti e che Roger è ancora in attività e quindi potrebbe allungare la serie. Certamente Novak è tornato fisicamente integro dopo l’operazione al gomito, ha raggiunto un nuovo equilibrio, è un uomo sereno, gioioso e in pace con se stesso. L’obiettivo è sicuramente nelle sue possibilità». Nel 2009, quando iniziò la vostra collaborazione, immaginava che Nole potesse diventare uno dei più grandi di tutti i tempi? «Lo sognavo, perché l’uomo e il giocatore avevano qualità straordinarie. Però in quel momento il tennis era dominato dai mostri sacri Federer e Nadal, e poi c’era Murray che scalpitava. Forse pensare a 15 Slam, visto che fin lì ne aveva vinto appena uno, poteva sembrare qualcosa di lontanissimo e irraggiungibile, ma Novak si è guadagnato sicuramente tutti i trionfi che ha festeggiato» […] Ed è anche la ragione per cui durante la rivoluzione dell’ultimo anno voi siete stati gli unici punti fermi? «Quando vai un po’ in crisi, è ovvio che metti subito in discussione la parte tecnica. Forse mi ha visto un po’ come il general manager della sua azienda, poi tra noi c’è un grandissimo rispetto e un confronto sereno su ogni cosa, oltre a un affetto e un sentimento che vanno oltre i rapporti di lavoro e che si sono cementati con dieci anni di vita in comune». Ci dice quali sono stati i momenti più belli di dieci anni con Novak? «Innanzitutto le fasi delicate dell’intervento chirurgico, perché per la mentalità di Nole sapevo che sarebbe stata una fase della sua vita piuttosto complessa. Ma tutto il percorso fatto insieme nell’ultimo anno è stato molto toccante. E poi i tanti momenti felici con la sua famiglia e i suoi figli. Dal punto di vista sportivo, direi il primo Wimbledon e il conseguente numero uno al mondo, perché erano il coronamento di tanti sacrifici mirati. E perché il ritorno a Belgrado dopo quella vittoria resta una delle giornate più belle della mia vita».


Divina poco nippon (Daniele Azzolini, Tuttosport)

[…] In una cultura che misura la bellezza dal grado di remissività delle donne, e dagli strati di biacca bianchissima che si mettono sul volto, la nera Naomi è e continuerà a essere una hafu. Il termine non è dispregiativo, ma c’è chi su di esso è disposto a innalzare staccionate, se non addirittura delle muraglie. Indica i giapponesi di origini multietniche, i giapponesi solo in parte tali, e Naomi lo è a pieno titolo: dal Nihon-Koku, il Paese origine del Sole, dunque del Sol Levante, ha ricevuto i natali, una mamma e un cognome uguale a quello della città di nascita. Il resto, dai centimetri (che sono 180) ai muscoli potenti ma scattanti, che tanto ricordano quelli della giovane Serena Williams, è venuto dal padre, caraibico di Haiti, con la voglia di diventare quanto prima americano. Possibilità che gli ha offerto la stessa Naomi, la quale per diventare tennista ha scelto la Florida e le sue Academies: restare ad Haiti o tornare in Giappone sarebbe stato tempo perso. In questo, le strade di Kei Nishikori, cento per cento giapponese e di Naomi Osaka cento per cento hafu, hanno finito per combaciare. Kei giunse bimbetto a Bradenton, chez Bollettieri, spedito da Masaaki Morita, in quegli anni (era il 2003) a capo della Sony, e da papà Kiyoshi. Morita gli aveva trovato una borsa di studio, il padre era stato convinto dal primo maestro di Kei, Dai Kawakami, che ha un circolo a Matsue. «Uno come lui può fare di tutto», fu il giudizio del maestro, che oggi ha voluto chiamare “campo K” il court del suo circolo dove allenava Kei. La stessa frase la ripete Bollettieri. «Me ne sono convinto quando lo vidi trattare con uno sponsor di noodles all’uovo. Il giorno dopo si travesti da pollo e andò di casa in casa a far conoscere i suoi noodles, mentre lo riprendevano per farne uno spot. Mi dissi, uno così è capace di qualsiasi impresa». È venuta una finale nello Slam, era il 2014. L’impresa Kei l’ha persa in finale con Cilic agli Us Open. Poi ci sono stati gli infortuni, e prima di essi il quarto posto in classifica. Nishikori è rimasto sempre o quasi nella top class del tennis, fra i primi dieci (ora è settimo), ma alla possibilità che possa ancora vincere un Major sono sempre in meno a crederci. Non era mai successo, pero, che il Giappone avesse due ragazzi fra i primi dieci, semplicemente perché non ci sono mai stati, prima di Naomi e Kei, dei tennisti giapponesi così in alto nella Top Ten. Nel maschile vi fu Jim Satoh al numero tre, prima di morire suicida a 26 anni dopo il rifiuto delle autorità sportive di esentarlo dalla trasferta in Europa per restare al fianco della bella Okado, che doveva diventare sua moglie, ma era il 1933, e si sa quanto poco contino le classifiche di quegli anni. Poi Shuzo Matsuoka, nei quarti a Wimbledon (1995) e numero 46 in classifica (1992), il tennista che rese tradizionale il saluto agli spettatori a fine gara, rivolto ai quattro angoli del campo. Fra le ragazze, il numero 8 di Ai Sugiyama, nel 2004, mentre la lunga stirpe della Sawamatsu, con zia Kazuko semifinalista agli Open d’Australia, mamma Junko nei quarti in doppio a Wimbledon, e la figlia Naoko numero 14 Wta, si è spenta con il ritiro di quest’ultima alla fine degli anni Novanta. Oggi, il tennis giapponese nasce all’estero e agli appassionati conviene abituarsi all’idea di una hafu che vinca due Slam consecutivi e guidi la classifica femminile a soli 21 anni, ma non riesca ancora a spiccicare una parola nella lingua della madre. Se davvero Naomi Osaka è la nuova Williams come pare dai colpi che tira, lassù ci resterà a lungo. Anche se gli sponsor continueranno a premiare Kei, migrante ma giapponese al cento per cento. Tutte le grandi aziende giapponesi se lo contendono, e lui, da vero pascià, lascia fare, e porta a casa 40 milioni l’anno. Meno solo di Federer, Djokovic e Nadal. Ma più di Serena.


Per Nole: rischi soltanto a Parigi (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

[…] Quello che mi piace sottolineare è la fantastica risalita di Nole, che dopo la vittoria di Wimbledon dello scorso anno ha portato a casa anche le successive due prove dello Slam e a 31 anni è pronto a riprovare la conquista delle quattro prove nella stessa stagione dopo aver fallito l’assalto nel 2015. Quest’anno dovrebbe incontrare meno difficoltà perché Federer non può modificare la data di nascita, Nadal appare al top solo sulla terra e la Next Gen non appare ancora matura. Negli ultimi mesi Nole è tornato a indossare il costume dell’uomo di gomma nelle fasi di recupero, la divisa di braccio di ferro quando c’è da mostrare i muscoli e ad avvolgere il cuore nella bandiera serba. È emozionante vederlo martellare da dietro fino a costringere gli avversari con la lingua di fuori. Il suo dritto crea quasi sempre situazioni favorevoli, il rovescio disegna il campo con precisione millimetrica aprendo angoli interessanti e la ribattuta rasenta la perfezione per la profondità della gittata. Con queste armi tenterà l’assalto del Major più difficile (il Roland Garros), il torneo al quale Nadal affiderà l’ennesima resurrezione e forse anche l’ultima possibilità di impedirgli il Grande Slam.


L’alieno Djokovic e la saggia politica dei piccoli passi: “Obiettivo Parigi” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

«Non c’è fretta. Ho tempo». La sensazione della caccia aperta alla volpe, in quella meravigliosa area protetta in cui abitano i tre Immortali del tennis, non è mai stata così viva. Sdraiato sulla riva dello Yarra, il fiume che attraversa Melbourne, con la coppa dell’Australian Open in braccio (la settima), Novak Djokovic non si nasconde: «Ho due ragazzacci davanti a me nel record di titoli Slam vinti in carriera. Federer a quota 20 e Nadal a 17. Tocco ferro: sto bene, ho 31 anni, questo torneo mi ha dato una grande fiducia. Perché non dovrei pensare positivo?». La politica, ora, è quella dei piccoli passi. Guardare troppo in là sarebbe un errore da pivellino, che quella lenza del Djoker non ha nessuna intenzione di commettere. «Quando gioca così libero, di testa e di braccio, Nole è imbattibile — scrive su L’Equipe Mats Wilander —. Anche Borg sulla terra sbagliava così poco, però era meno aggressivo». La terra, dunque: il prossimo passo Slam. Nessun torneo a febbraio, Indian Wells come primo Master 1000 della stagione a marzo. Poi Djokovic potrà scegliere la terra europea da cui lanciare l’arrembaggio a Parigi. Programmandosi bene, avrà molto tempo per allenarsi sul rosso e arrivare al top della forma sulla rive gauche. Il Roland Garros, che ha vinto una volta sola, sarà un passaggio-chiave nella costruzione di due capolavori: il Djokovic Slam (quattro Major consecutivi conquistati, impresa già realizzata nel 2015-2016) e il vero Grande Slam, che solo due uomini — e tre donne — nella storia del tennis hanno realizzato. I quindici Major del Djoker l’hanno avvicinato a Federer (20) e Nadal (17) più di quanto dicano i numeri. L’ha ben capito coach Marian Vajda, pedina fondamentale nella ricostruzione del campione che si era smarrito: «Quindici è un numero speciale — ha detto nella notte del trionfo —, rotondo e pieno di promesse. Tra 14 e 15 c’è un abisso. I 20 titoli di Federer mi sembrano ancora molto lontani: per vincere cinque Slam devono accadere tante cose. Ma se a Parigi arrivasse il 16esimo, beh a quel punto Nadal sarebbe a un passo». Avanti piano, ma con giudizio. La campagna australiana è stata trionfale però dispendiosa. È ora di tornare a casa, Belgrado, per un’altra sbornia di folla e poi di ricaricare le batterie nell’appartamento di Montecarlo, dove il serbo è atteso dalla moglie Jelena e dai figli Stefan e Tara. «Come hanno reagito i bambini al successo di Melbourne? Erano contenti, certo, ma Stefan era più interessato a mostrarmi su Skype come scendeva bene dalla bicicletta. Okay papà sei stato bravo, mi ha detto, però adesso guarda come sono bravo io! Mi ha fatto sorridere» […] Novak conferma: «L’approccio a Parigi quest’anno sarà diverso. Le semifinali perse con Federer nel 2011 e Nadal nel 2013, le finali sfumate nel 2012, 2014 e 2015 (soprattutto quest’ultima, contro un sovrannaturale Wawrinka, ndr) fanno parte dei ricordi dolorosi. Però queste sconfitte mi hanno insegnato tanto. Ora ho più esperienza» […]

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