Musetti: "Vorrei essere De Niro. Sogno Wimbledon e lavoro duro" (Crivelli). Rafa e Xisca presto sposi (Cocchi). Nuova Davis, vecchi fantasmi (Semeraro). Amritraj: "Il tennis galante e i film con Bond, nella mia India contava l'estetica" (Sisti)

Rassegna stampa

Musetti: “Vorrei essere De Niro. Sogno Wimbledon e lavoro duro” (Crivelli). Rafa e Xisca presto sposi (Cocchi). Nuova Davis, vecchi fantasmi (Semeraro). Amritraj: “Il tennis galante e i film con Bond, nella mia India contava l’estetica” (Sisti)

La rassegna stampa di giovedì 31 gennaio 2019

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Musetti: “Vorrei essere De Niro. Sogno Wimbledon e lavoro duro” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

[…] Laggiù, il nuovo Messia ha vinto uno Slam, seppur tra gli juniores. E non ha ancora 17 anni. L’annunciazione di un talento celestiale. Ma solo qui Lorenzo Musetti, il giovane re degli Australian Open, si sente a casa: «Ci vengo da quando ho otto anni e ho capito che nel tennis potevo diventare qualcuno: mamma mi lascia nel parcheggio del centro commerciale alle otto e mezza di mattina prima del lavoro e Benedetta, la segretaria del circolo, mi viene a prendere e mi porta su. Mi alleno, mangio e mi alleno, e resto fino alle cinque del pomeriggio». La routine della quotidianità è la cifra del campione che dovrebbe rimetterci sulla mappa delle superpotenze e del suo coach Simone Tartarini, ex seconda categoria con laurea in Economia e commercio nel cassetto. A dire il vero, in questi giorni la cavalcata trionfale degli antipodi ha un po’ buttato all’aria i programmi, perché tutti lo vogliono e tutti lo cercano. Lorenzo, infatti, a San Benedetto torna di solito il venerdì e il sabato: dal lunedì al giovedì il suo mondo è il Centro Federale di Tirrenia. Dove dorme nella stessa camera dell’allenatore e prova a vivere da teenager le ore fuori dal campo dopo la doppia sessione mattutina e pomeridiana: «Nulla di eccezionale, un paio di sere a mangiare la pizza con gli altri ragazzi del Centro e qualche film insieme a Simone». Moderatamente juventino, nel tennis è cresciuto nel mito di Federer. Ma da bambino Musetti sognava di fare l’attore: «Sono le prime passioni che senti da piccolo, ma il cinema continua a piacermi, specialmente i cult con De Niro e Pacino». Gli idoli che non ti aspetteresti da un ragazzo del 2002: «Se è per questo, spesso sono classico anche nei gusti musicali, dai grandi gruppi rock americani a Battisti. Però ascolto anche rap e trap, ma quando lo faccio devo cacciare il coach dalla stanza». Tirrenia invece della Francia e di Mouratoglou, che lo ha già accolto nella sua Academy e lo prenderebbe domani mattina: «Trascorro da lui qualche settimana all’anno, ma l’Italia mi dà più certezze e mi consente di fare i weekend a casa, con la famiglia e gli amici. E di studiare». Tre giorni alla settimana, dalle sei alle otto di sera, con i professori del Centro messi a disposizione dalla Fit: «Sono iscritto al Liceo Linguistico, il primo anno lo avevo frequentato in una scuola pubblica, ma poi i viaggi mi toglievano troppo tempo. Più che lezioni, sono confronti con gli insegnanti sul programma che seguo da privatista, sto migliorando lo spagnolo e sono già buono in inglese. Adesso inizierò con il francese». Così non sarà impreparato alla premiazione del Roland Garros: «Sarebbe bello, ma se dovessi scegliere vorrei vincere Wimbledon, anche da grande: nessun posto ha quel fascino. Comunque mi ero ripromesso di vincere uno Slam juniores, ce l’ho fatta e adesso provo a guardare più in là. Farò un Challenger in Gran Bretagna e sto aspettando la wild card a Bergamo, penso di avere un livello di gioco che mi consenta di provare a vincere qualche partita. Insomma, da junior quest’anno vorrei fare solo gli Slam. E poi — scherza — sono stato messo in carreggiata da Fognini, con cui palleggio spesso quando è in Italia: dopo la vittoria mi ha mandato un sms dicendomi che mi aveva allenato proprio bene». Il presente e il futuro: «So che dovrò gestire la pressione, il primo obiettivo una volta che sarò professionista diventerà quello di uscire in fretta dalla palude della classifica tra il 300 e il 200. E sogno finalmente una vacanza ai Caraibi» […]


In doppio per amore: Rafa e Xisca presto sposi (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

Mancava solo lui tra i Fab del tennis, ma tra qualche mese, in autunno, anche Rafa Nadal metterà la fede al dito. Dopo 14 anni insieme, il maiorchino e la storica fidanzata Maria Francisca Perello detta Xisca, sempre silenziosamente presente al suo fianco, convoleranno a nozze. La notizia che ha mandato in fibrillazione il mondo della racchetta e le groupies del nerboruto mancino, è stata data dalla bibbia del gossip Hola, e dalla Spagna sarebbero arrivate conferme. Nulla si sa del dove e del come, e nemmeno è stata ancora annunciata la data ufficiale, l’unica certezza è che «la boda del año» come già titolano tutti i siti spagnoli si celebrerà a Maiorca. Rafa e Xisca sono molto affezionati alla loro isola dove passano gran parte del (poco) tempo libero. L’attaccamento alla sua terra Rafa lo ha dimostrato più volte, l’ultima in ordine di tempo quando la zona è stata colpita da una grave alluvione e lui si è messo a spalare fango dando ospitalità agli sfollati nelle strutture della sua accademia a Manacor. Una vita insieme, insomma, per Rafa e Xisca che si frequentano da quando erano poco più che bambini se si considera che il campione spagnolo ha 32 anni. Una relazione che si basa su valori fondamentali: «Comprensione, rispetto e indipendenza» come ha più volte spiegato il giocatore che ha scelto la sua compagna anche per la capacità di non esporsi mai troppo, di non prendersi la ribalta, ma di stare vicina al campione nei momenti di gloria come in quelli di difficoltà: «Non mi piacciono le persone dure, che criticano sempre — ha più volte ribadito il vincitore di 11 Roland Garros —. Se sto con qualcuno è perché deve darmi positività e fiducia con il suo sorriso e il suo modo di fare». Alla fine del 2018 a chi gli chiedeva se non fosse ora di metter su famiglia visti i quattro figli già messi al mondo da Federer e i due di Djokovic, rispondeva che sono decisioni troppo importanti e che a tempo debito lui e Francisca avrebbero preso in considerazione l’argomento: «Quando ero un ragazzino m’immaginavo padre a 30 anni, una volta terminata la carriera. E invece ne ho 32 e sono ancora qui a giocare e divertirmi» […]


Nuova Davis, vecchi fantasmi (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Fuori, una custodia che per quattro anni porterà la griffe Louis Vuitton, nuovo sponsor del trofeo. Dentro, appunto, il trofeo: la vecchia Davis Cup, la punch-bowl d’argento fusa nel 1900 a Boston che la signora Brookes, moglie dello stregone australiano del tennis, a inizio Novecento teneva in salotto come fioriera. Attorno, tutto nuovo, regole, formato, calendario. Tranne, per noi, un inquietante deja-vu. Domani (alle 6.30 italiane) inizia la 108a edizione della Davis. La Nazionale la qualificazione alle finali di novembre a Madrid la cerca in India, sull’erba infida del Calcutta South Club, dove dovrà sconfiggere i fantasmi dell’unica sconfitta incassata in 90 anni, il 3-2 del 1985, quando propria a Calcutta l’italia dei due Panana – Adriano capitano e Claudio giocatore – di Francesco Cancellotti e Gianni Ocleppo si arrese all’arte vende di Krishnan e Amtitraj. Manca Fognini, in libera uscita (la caviglia un po’ è tornata a dare noia). Contro un’India stavolta decisamente minore, che schiera come numero 1 il molto modesto Prajnesh Gunneswaran – 29 anni, n.102 del mondo, titolare della medaglia di bronzo ai Giochi Asiatici dello scorso anno e di due successi a livello di Challenger – Barazzutti ha convocato Marco Cecchinato, Andreas Seppi, Matteo Berrettini (tutti Top 50), Thomas Fabbiano (87) e Simone Bolelli (n.134, e 84 in doppio). Dovranno vedersela in doppio contro l’esperienza di Rohan Bopanna, 36 anni, ex n.3 del mondo di specialità, mentre gli altri convocati di capitan Bhupathi sono il n.129 Ramkumar Ramanathan, il numero 245 (188 in doppio) Saketh Myneni, e Divij Sharan, n.39 in doppio che in singolare non ha ranking. Non temibilissimi, diciamocelo. L’insidia vera sono i rimbalzi irregolari dell’erba del Calcutta South Club, le condizioni di gioco, la pressione di dover vincere in uno stadio approssimativo, l’area di tenebra umana dolente che in India fatalmente impacchetta tutto. Due giorni fa sui campi di allenamento c’erano a stento le righe, le tribune del centrale ieri erano ancora in costruzione. «La superficie non aiuta», ammette Cecchinato. «Non siamo tanto abituati a giocare sull’erba, ma ci stiamo allenando e adattando, Seppi sull’erba è il più forte (ha vinto a Eastbourne nel 2011, lo stesso torneo nel quale Cecchinato e arrivato in semifinale l’anno scorso; ndr), per domani saremo pronti. Certo la trasferta in una città molto complessa come Calcutta ti fa riflettere. Qui c’è davvero grande povertà». L’india nella sua lunga storia tennistica che risale alla fine dell’Ottocento, quando racchette, reti e palline arrivarono a rimorchio degli inglesi (a Calcutta si giocò un torneo già nel 1887), ha avuto giocatori di ottimo livello. I due Krishnan, padre Ramanathan e figlio Ramesh (campione di Wimbledon e n.1 del mondo U.18), VijayAmritraj, n.16 del mondo nel 1980 e poi attore in un film di James Bond (Octopussy). L’ex numero 1 del mondo in doppio Leander Paes, vincitore di 8 Slam di specialità, che nell’85, nel match con l’Italia, faceva il raccattapalle e chiese in regalo un polsino ad Ocleppo […] «Comunque noi siamo ben attrezzati, abbiamo giocatori che si adattano bene ai prati. Il centrale è il classico campo in erba con rimbalzo basso, dove la pallina schizza via, ma sono tranquillo». La nuova formula, con gli incontri al meglio dei tre set, tutti con tie-break, e solo due giorni di gara, livella i valori. È un territorio nuovo per la Davis. E Italia è più forte, ma serve concentrazione. Sull’erba, ieri come oggi, basta un attimo per scivolare.


Intervista a Vijay Amritraj: “Il tennis galante e i film con Bond, nella mia India contava l’estetica” (Enrico Sisti, Repubblica)

Vive da anni in California. A Van Nuys, dopo la prima corona di colline che protegge Hollywood. E anche per questo c’è un motivo: Hollywood (non Bollywood) un giorno entrò nella sua vita. Vijay Amritraj è una leggenda. Quando si sveglia al mattino è una leggenda che si sveglia, quando prende la macchina è una leggenda che prende la macchina, quando racconta di sé è una leggenda che racconta del suo tennis da gesti bianchi e di tutto ciò gli ruotava attorno («a cominciare dai miei grandi amici Adriano Panatta e Vittorio Selmi»). Ha vinto 16 tornei da singolarista, 13 in doppio. Più trofei di tutti gli altri tennisti asiatici messi insieme […] L’arte per l’arte e il tennis per il tennis. «A volte avevamo la sensazione che per il pubblico indiano contasse di più il gesto del risultato». Ma a parte Connors, Rosewall e lei, ci si ritirava assai presto… «Perché il tennis non era tutto per molti di noi e perché fisicamente non eravamo Djokovic, anche se io ero un cristone di 1,93. Il mio ultimo Wimbledon fu quello del ’90, poi ridussi gli impegni». Era un gioiello del tennis, brillava, a vederla sembrava tutto facile… «Non sempre. Per esempio quelle due partite vinte al quinto set in Coppa Davis nell’85 contro Cancellotti e Claudio Panatta, benché sull’erba, furono toste: quella con Claudio la vinsi addirittura il giorno dopo. Lì c’era poco da andare di fioretto. Ho sempre pensato di giocare meglio in Davis (l’India è giunta in finale nell’84 e nell’87, ndr). Ed ero anche capitano/giocatore…». Giocaste a Calcutta (ora Kolkata), nello stesso posto in cui si giocherà da domani. «Era la coda della mia carriera, mio figlio aveva già un anno e mezzo e con le priorità che apparivano fuori dal campo giocare diventava più difficile. Giocavo singolari e doppi ovunque, ogni settimana. Adesso i miei 65 anni li sento meno. Non è un paradosso. Per me ogni giorno è un giorno perfetto. Oggi compreso» […] E poi quelle partite/esibizione in Italia con Adriano e Nastase. «Ma già nel ’90 il tennis era un’altra cosa. Diciamo che ogni 10 anni il tennis cambia pelle. Completamente». Ma cos’è accaduto al tennis indiano? «Ci sono molte più opportunità per emergere oggi, soldi, strutture, cultura tecnica. Forse manca l’impegno e la volontà dei giocatori giovani. Fisicamente gli indiani maturano tardi. Magari manca anche la pazienza». Come finì dentro Octopussy di James Bond (e poi anche in Star Trek IV)? «Mi scelsero a Wimbledon l’anno prima. Quante cene con Roger Moore. Con lui sono rimasto in contatto perché eravamo ambasciatori per l’Onu di Kofi Annan insieme con Hepburn» […]


Passaggio in India: la Davis dell’Italia riparte dal passato (Stefano Semeraro, Stampa)

Toh, Calcutta. La prima volta dell’Italia nella nuova Coppa Davis, riformata dai dollari del Kosmos Cup e rivestita dalla griffe Louis Vuitton, è un nastro che si riavvolge e torna al 1985. In campo c’erano Cancellotti, Ocleppo, i due Panatta, Adriano in panchina e Claudio fuori, per gli indiani Ramesh Krishnan e Vijay Amritraj, due gentleman intonatissimi al verde. Sempre Calcutta, sempre l’erba che a noi abituati a scivolare sull’argilla non è mai piaciuta tanto. Era il secolo scorso, sembra due millenni fa, il Paese di Gandhi è cambiato tantissimo ed è rimasto uguale. Allora perdemmo 3-2, l’unica sconfitta nella storia dei confronti fra noi e loro, iniziata nel 1928 a Torino e stesa su cinque incontri, l’ultimo 70 anni dopo a Genova vinto da Gaudenzi, Nargiso e Sanguinetti. Stavolta più che un rendez-vous è un vernissage, anno nuovo e regole nuove, con gare sprint su due giorni e al meglio dei tre set invece che le gran fondo di un tempo. Ma se Seppi, Cecchinato, Fabbiano, Bolelli e Berrettini, orfani di Sandokan Fognini (la caviglia è tornata a dolere, ahi) vogliono davvero scavarsi la strada verso le finali nella super-moderna Caja Magica di Madrid, dovranno farlo nella giungla in miniatura del Calcutta South Club. Tutto intorno la povertà spaccacuore del subcontinente, le fogne a cielo aperto. Dentro, campi selvaggi. Distanti, e non solo in miglia, dai praticelli educati di Wimbledon, in allenamento gli italiani sembravano cinque Indiana Jones alla ricerca del rimbalzo smarrito. Le tribune ieri erano ancora in costruzione, oggi e domani chissà […] Corrado oggi fa il capitano ma in vent’anni di panchina non aveva mai messo i piedi sull’erba. «Non succede spesso, ma se succede bisogna adattarsi», spiega, con il suo eterno pragmatismo, esportabile ad ogni latitudine. Può contare su Seppi, che un torneo sull’erba lo ha vinto, a Eastbourne; su Cecchinato, che sempre a Eastbourne l’anno scorso è arrivato in semifinale, su Bolelli e Fabbiano che il vegetale lo masticano comunque. Il migliore degli indiani, Gunneswaran, è numero 102 del mondo. Proverà a fare il thug, sguainando volée. «Ma noi siamo ben attrezzati», assicura Barazzutti. Il tennis, in teoria, è fatto di caste. In Davis, però, specie quella sprint di oggi che livella i valori, un po’ meno.

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