Giorgi, sconfitta folle a Doha e in Fed Cup pesca la Russia (Crivelli). Intervista a Nicola Pietrangeli: «Torino, svegliati!» (Azzolini). Vinco e ti lascio: anche la Osaka si iscrive al Club (Crivelli)

Rassegna stampa

Giorgi, sconfitta folle a Doha e in Fed Cup pesca la Russia (Crivelli). Intervista a Nicola Pietrangeli: «Torino, svegliati!» (Azzolini). Vinco e ti lascio: anche la Osaka si iscrive al Club (Crivelli)

La rassegna stampa di mercoledì 13 febbraio 2019

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Giorgi, sconfitta folle a Doha e in Fed Cup pesca la Russia (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

L’onda amara della Fed Cup si allunga anche sul torneo di Doha, dove per Camila Giorgi matura un’altra sconfitta folle contro la numero 8 del mondo Kiki Bertens. Pazzia: quale altro termine meriterebbe del resto di entrare nel vocabolario di una partita in cui Camila dopo 20′ è sopra 6-0 (il primo di sempre a una top ten) e con l’olandese totalmente incapace di schiodarsi dai teloni, tenuta due metri dietro la linea di fondo dalle bordate di una rivale ingiocabile? Ma non appena l’azzurra cala al servizio (tre doppi falli nel terzo game del secondo set) il match svolta e diventa una girandola di prodezze, svarioni e occasioni al vento. La Bertens sale 5-3, la Giorgi le annulla due set point e la riaggancia sul 5-5, fino a ritrovarsi 5-1 sopra nel tie break, poi clamorosamente perso. Sembra finita sul 3-0 nel terzo per Kiki, Camila rimonta di nuovo ma dal 3-3 l’avversaria è una macchina e chiude la sfida con 9 punti degli ultimi dieci: finisce 0-6 7-6 (7) 6-4. Il torneo intanto, dopo Osaka, Kvitova, Barty e Garcia perde pure la Wozniacki e il suo ritiro lunedì riporterà Serena Williams nella top ten dopo 19 mesi (luglio 2017). Bertens e Giorgi avrebbero potuto ritrovarsi avversarie nello spareggio del 20/21 aprile di Fed Cup per rimanere nel World Group II ed evitare la C: invece il sorteggio non ci ha dato una mano. Ci toccherà infatti la Russia, testa di serie numero uno dei playout emersa dalla palude dei gruppi zonali dopo un passato da dominatrice, e per di più in trasferta. Bisognerà attrezzarsi per un miracolo, soprattutto se per la sopravvivenza rientreranno tutte le big. Per fortuna dalla Gran Bretagna arriva un segnale di grande vitalità: Lorenzo Musetti ha rotto il ghiaccio. Il fresco vincitore del titolo junior agli Australian Open (e finalista anche agli Us Open del 2018) ottiene la prima vittoria in carriera a livello professionistico. Gli riesce nell’Itf indoor da 25mila dollari di Barnstaple, in Gran Bretagna, dove batte in rimonta al primo turno (5-7 7-6 6-4), dopo quasi tre ore di lotta, lo statunitense Felix Corwin, numero 675 Atp, proveniente dalle qualificazioni. Musetti ha annullato tre match point all’avversario e ha rimontato da 4-2 sotto nel terzo. Il ragazzo c’è.


Intervista a Nicola Pietrangeli: «Torino, svegliati!» (Daniele Azzolini, Tuttosport)

«Sbrigatevi!». Nicola Pietrangeli ha un modo incantevole per dirlo. Ed è meglio starlo a sentire, perché il tempo si è fatto stretto, perché venerdì va consegnato il dossier definitivo per partecipare all’ultima corsa in programma, perché la data della scelta definitiva si avvicina (torneo di Indian Wells, dal 3 marzo) e perché vi sono momenti in cui è giusto che un uomo di sport esca dal seminato dei sorrisi e delle strette di mano e dica in faccia ciò che pensa. «Sbrigatevi», appunto. «Perché troppe brutte figure, l’una via l’altra, il nostro sport non le merita, e forse nemmeno può permettersele», aggiunge Nicola in una sorta di messaggio destinato «ai responsabili» dell’operazione ATP Finals a Torino, in testa Giancario Giorgetti, segretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo sport. Serve una fidejussione da aggiungere al dossier della proposta torinese, a garanzia degli investimenti che serviranno per i prossimi cinque anni. Dai 78 ai 100 milioni di euro. A Torino ricordano le promesse fatte.

Nicola, perché Torino merita le ATP Finals?

Mi attengo ai fatti, perché se dipendesse da me la scelta sarebbe persino ovvia. E i fatti dicono che il dossier torinese fu presentato benissimo, e che ai delegati dell’Atp piacque tanto, ne intuirono esattamente la portata e il significato. In quelle pagine c’era una città che ama lo sport, un impianto funzionale, scelte concrete e futuribili per tutto ciò che ruota intorno a un evento di simile portata, e non solo… C’era tradizione organizzativa, la stessa che così bene ha operato durante i Giochi Olimpici sulla neve.

Però anche la concorrenza in quanto a tradizioni sa il fatto suo.

Certo, è così. Ma dopo dieci anni di Londra credo che la proposta inglese, anche fosse la migliore, troverebbe ostacoli nel carattere stesso dell’evento, che nacque per andare dove il tennis lo avrebbe portato. Non è mai stata presa in considerazione una candidatura italiana, questa è la prima. Averla confezionata così bene è già un merito. A mio avviso, un no a Londra chiude le porte anche a Manchester, Tokyo può sfruttare le prossime Olimpiadi, Singapore l’esperienza fatta con il Masters delle ragazze. Torino ha anche un aspetto non trascurabile: la forte presenza di tennisti europei fra i qualificati. All’ultimo Masters erano in cinque, l’anno prima addirittura in sette. E in quel particolare spicchio di stagione, più restano vicini a casa e più sono contenti.

E allora perché tanti dubbi?

Facciamo chiarezza. Torino dubbi non ne ha, mai vista una compagine tanto entusiasta nel presentare l’evento, con in testa la sindaca, appassionata nei modi e molto battagliera nelle intenzioni. E non ne hanno nemmeno il Coni e la Federazione. I dubbi li ha la politica, e sono dubbi di tipo economico. L’investimento è importante, ma per un evento che storicamente ha sempre offerto risultati straordinari. Se, come sento dire, il montepremi verrà innalzato fino a 12 milioni di dollari, dagli attuali 8,5, è sciocco soffermarsi solo su quanti soldi vadano in tasca ai tennisti. Sono troppi? Sono d’accordo… Ma qui occorre ragionare su quanto valga il torneo per chi lo organizza e per le aziende che vi partecipano. I numeri che fa Londra ormai li conosciamo e l’indotto del torneo e impressionante. Non vorrei che se si fosse trattato di calcio, certe paure si sarebbero dissolte. Ecco… Io credo che lo sport, tutto lo sport, sia ancora una grande risorsa per questo nostro Paese. Ma per stare con i Paesi che fanno da guida, occorre mettere da parte i dubbi e le paure. La nostra politica è ossessionata dalla paura di commettere errori, ma temo che proprio questa paura sia il più grande errore che possa fare.


Vinco e ti lascio: anche la Osaka si iscrive al Club (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Prima vinco e poi ti caccio. Nel favoloso mondo del tennis femminile, sta succedendo che i trionfi negli Slam si abbattano come una maledizione sui coach delle regine. Accadde con la Halep dopo il Roland Garros e la conquista della vetta mondiale, con l’addio – al termine della scorsa stagione – allo storico allenatore Cahill, poi la imitò la Kerber, signora di Wimbledon eppure molto determinata nel separarsi poco dopo da Wim Fissette. Adesso è arrivato, a sorpresa e con una scelta senza dubbio clamorosa, il momento di Naomi Osaka, fresca dominatrice degli Australian Open (dopo gli Us Open) e nuova numero 1, che con un secco e scarno tweet ha comunicato il benservito a Sascha Bajin. Per farla breve, le ultime tre vincitrici dei Major non sono più affiancate dai coach con cui hanno compiuto l’impresa. E se ci aggiungiamo la Stephens, separatasi a fine 2018 da Kamau Murray, che la guidò agli Us Open trionfali del 2017, e la Ostapenko, vincitrice a sorpresa a Parigi due anni fa, che ha cambiato tutto il team, individuiamo addirittura una tendenza. Indubbiamente, il crac tra la Osaka e Bajin fa molto rumore. Perché la loro assomigliava a una favola. Hanno cominciato a collaborare nel novembre del 2017, lei numero 68 del mondo senza tornei vinti o seconde settimane raggiunte negli Slam e lui alla prima esperienza da coach, dopo anni spesi a fare da sparring a Serena Williams, Wozniacki e Azarenka. Insomma, un’avventura per entrambi. Dopo 14 mesi, Naomi ha nel palmarès gli Us Open, gli Australian Open e Indian Wells, oltre alla vetta della classifica e la prospettiva di mettere il sigillo al prossimo decennio del movimento femminile. Ecco perché il divorzio, che non deve essere stato amichevole come si intuisce dal tono usato dalla giapponese, ha contorni esplosivi. Qualche dubbio era già emerso nei giorni scorsi, quando lui si era cancellato da tutti i social di lei, termometro delle relazioni 4.0.  Lunedì la conferma della Osaka e la domanda degli appassionati: perché? Perché interrompere un sodalizio potenzialmente dirompente, come aveva dimostrato un 2018 straordinario? Occorre basarsi sulle voci raccolte attorno alla coppia, perché nessuno dei due ha rilasciato dichiarazioni: si tratterebbe fondamentalmente di un problema economico. La collaborazione, cioè, è iniziata a budget ridotto, perché era una scommessa reciproca, poi sono arrivati i successi e Bajin ha chiesto di essere pagato come un supercoach, trovando il rifiuto della giocatrice, che a quel punto ha deciso di cambiare (per ora, non si sa con chi). Secondo Murray, l’ex della Stephens, attorno a tutti questi stravolgimenti ci sono però anche motivi comportamentali: «Quando vinci uno Slam per la prima volta, diventa fondamentale come gestisci la pressione. Puoi rimanere positivo, oppure ti fai prendere dal panico e inizi a fare cambiamenti inutili». Lo scopriremo solo vivendo.

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