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Al femminile

Quattro temi da Indian Wells

La sorpresa Andreescu, le trasformazioni di Naomi Osaka, lo strano cambio campo di Elina Svitolina e altro ancora sul torneo californiano

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Bianca Andreescu ed Elina Svitolina - Indian Wells 2019
 

3. Le trasformazioni tattiche di Naomi Osaka
Da Indian Wells 2018 a Indian Wells 2019. Nel giro di dodici mesi Naomi Osaka ha completamente modificato il suo status: da giovane promessa a leader del tennis femminile; da numero 44 del ranking a numero 1 del mondo. Osaka l’anno scorso aveva vinto il torneo, rivelandosi come una potenziale campionessa, confermando poi le aspettative a Flushing Meadows. Quest’anno invece è stata eliminata al quarto turno molto seccamente (6-3, 6-1) da Belinda Bencic. Ma al di là dei dati numerici, l’aspetto più interessante sono state le trasformazioni di gioco attraversate da Naomi in questo periodo. Legate ai cambi di coach.

Nel settembre scorso avevo provato a descrivere l’evoluzione tattica di Osaka durante il periodo di collaborazione con Sascha Bajin; un processo che a mio avviso si era cominciato ad apprezzare a Indian Wells 2018, e aveva avuto il punto di massima trasformazione agli US Open. Il primo Slam lo aveva infatti vinto mettendo in campo un tipo di tennis sempre più lontano da quello mostrato fino al 2017: un tennis che prevedeva scelte di gioco più prudenti, e la disponibilità ad affrontare scambi più lunghi.

Poi però c’è stato il secondo trionfo Slam, agli Australian Open 2019, arrivato con scelte tattiche un po’ differenti, attraverso un gioco che per alcuni aspetti mostrava un parziale ritorno alle origini, al periodo pre-Bajin. Avevo scritto subito dopo la vittoria a Melbourne: “La Osaka “newyorkese” a mio avviso proponeva un tennis più conservativo e meno rischioso, quasi scolastico; con la gran parte degli scambi condotti sulle diagonali, spesso conclusi in due modi affini: o dall’errore dell’avversaria o da un vincente ottenuto stringendo la stessa diagonale (peraltro dote tecnica di pochissime), senza dunque variare la geometria del palleggio. Invece la Osaka in versione australiana è tornata a cercare più spesso il vincente attraverso il cambio lungolinea: soluzione più complessa e rischiosa. Dico tornata perché questa era una caratteristica del suo gioco nel periodo da teenager, che però era stata limitata da quando aveva cominciato a collaborare con Sascha Bajin”.

E avevo anche provato a spiegare il perché di questi cambiamenti: “Di fronte a una colpitrice fenomenale come Naomi, Bajin ha proceduto per gradi. Innanzitutto c’era la necessità di dare ordine e razionalità al gioco, costruendo delle solide basi da cui partire per garantirsi uno standard sotto il quale non andare mai. Un livello medio grazie al quale si possono vincere le partite di routine, e limitare le controprestazioni. (…) Ma c’è la possibilità di andare oltre questo tipo di tennis, e Sascha Bajin lo sa, alla ricerca di picchi di gioco superiori. È il passaggio a un livello più alto. Però per fare questo occorrono ulteriori doti: tecniche, ma anche tattiche e mentali. Perché non basta saper eseguire i lungolinea, occorre anche saper scegliere quando vale la pena utilizzarli e quando no.”

Nel momento in cui avevo scritto queste parole, ancora non si sapeva che Osaka e Bajin si sarebbero separati; del resto dopo due Slam vinti consecutivamente era difficile immaginare che si stesse consumando un divorzio tecnico. Con il senno di poi, la spiegazione che avevo dato risulta del tutto sbagliata. Il cambiamento c’è stato ed è evidente: ma le cause sono altre. Direi piuttosto che si può interpretare il tutto così: la presenza di Bajin aveva impresso sul gioco di Osaka un segno sempre più profondo, raggiungendo il massimo alla fine del 2018, a New York; mentre sappiamo che già a Melbourne la loro collaborazione era meno solida, e la conseguenza di questo distacco si era percepita attraverso la differenza di impostazioni tattiche fra i due Slam vinti, con la parziale “retromarcia” australiana. Una retromarcia contenuta, che aveva permesso a Naomi di essere ancora vincente e forse più spettacolare che a New York.

E se c’era ancora qualche dubbio su questo percorso di ritorno alle origini, è stato definitivamente cancellato a Indian Wells 2019: il modo di stare in campo di Naomi (che nel frattempo ha appena cominciato a collaborare con Jermaine Jenkins) in California è apparso ancora più vicino alla Osaka “versione 2017”. Di conseguenza molta meno pazienza e disponibilità allo scambio lungo, frequente ricerca del vincente quasi immediato, spesso attraverso il lungolinea, anche in situazioni tecnicamente molto complicate.

Il problema è che questo tipo di tennis “prima maniera” per Osaka risulta efficace solo nei giorni perfetti: quando tutto funziona è travolgente, ma quando qualcosa si inceppa la sconfitta è dietro l’angolo. L’ulteriore retromarcia tattica avvenuta tra Melbourne e Indian Wells 2019 ha secondo me indicato la soglia oltre la quale non andare, per evitare che un tennis più rischioso diventi perdente.

Può darsi che Osaka percepisse come non adeguato al suo carattere (e forse anche al suo fisico) l’atteggiamento più conservativo messo in campo a New York, e abbia quindi sentito l’esigenza di tornare alle soluzioni più offensive di Melbourne. Ma dopo la sconfitta in California, mi auguro che Naomi valuti criticamente il processo pendolare seguito negli ultimi due anni, e sappia individuare quali sono i limiti tra prudenza e azzardo oltre i quali non spingersi, se non a prezzo di scendere drasticamente nel rendimento.

a pagina 4: Bianca Andreescu

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