Rublev, dalla depressione del divano alla vittoria su Cilic

Flash

Rublev, dalla depressione del divano alla vittoria su Cilic

Andrey racconta dell’infortunio che lo ha tenuto fermo tre mesi e della fiducia di tornare ai suoi livelli

Pubblicato

il

 

Aveva raggiunto il suo miglior piazzamento in classifica nel febbraio 2018, a un solo gradino dall’ingresso fra i primi 30 del mondo, risultato che Andrey Rublev era destinato a centrare a breve una mazzata di dritto dopo l’altra. La fortuna o, meglio, un infortunio si è però messo di traverso: una frattura da stress alla schiena. Il problema era comparso proprio un anno fa a Miami e, dopo tre incontri fra Coppa Davis e Monte Carlo, Rublev aveva dato forfait a Barcellona. Un suo tweet faceva sperare nel rientro per l’inizio della stagione sull’erba, poi ci si interrogava sulla partecipazione a Wimbledon, ma la lontananza dai campi sarebbe durata ben tre mesi. Un periodo, ed è questa senz’altro la parte peggiore, di inattività totale, a parte – per così dire – le tre ore giornaliere in clinica per la magnetoterapia, mangiare e starsene sul divano.

Per un atleta ventenne è un colpo durissimo, tanto più se capita in un periodo decisivo della carriera (la conferma ad alti livelli dopo l’esplosione da diciannovenne dell’anno precedente) confortato dal proprio gioco e dai risultati. Lo stesso Andrey rivela quanto sia stata dura in un’intervista pubblicata sul sito dell’ATP: Ero totalmente depresso, avvilito. Ricordo che non guardavo neanche i match perché, appena vedevo notizie di tennis o cose del genere, mi sentivo ancora più depresso per il fatto che tutti gli altri stavo giocando nel Tour e io me ne stavo sul divano senza fare nulla”. Adesso, nella speranza che non accada di nuovo, non può che dirsi felice che sia ormai trascorso un anno.

Il torneo del rientro è stato quell’ATP 250 di Umago che lo aveva visto trionfare da lucky loser l’anno precedente, dove ha sconfitto un Felix Auger-Aliassime ancora lontano dal giocatore che ammiriamo in questo giorni, per poi cedere a un ispirato Robin Haase. Ma è stato un rientro più che altro “formale” perché, pur immaginando quanto Andrey non vedesse l’ora di tornare in campo, la realtà è stata diversa. “Appena arrivato al primo torneo, ero un po’ smarrito” racconta. “Mi sentivo come se non fossi lì, come se fossi nel passato, quando giocavo bene prima dell’infortunio. Mi ci sono voluti un paio di mesi per recuperare l’aspetto mentale dell’essere qui e adesso”. Questo e la mancanza del ritmo partita hanno avuto conseguenze nefaste sui risultati: escludendo la (all’epoca) promettente semifinale al “500” di Washington, la seconda parte della stagione ha fatto registrare ben otto sconfitte all’esordio e due sole vittorie, mentre la classifica lo vedeva scivolare inesorabilmente, con il punto più basso (n. 115) toccato esattamente dodici mesi dopo il best ranking.

Nelle vesti di ex primo giocatore di Russia, il ventunenne moscovita esprime anche la sua felicità per i progressi di Karen Khachanov e Daniil Medvedev, i due connazionali che lo hanno superato entrando fra primi 15 del mondo. “Se loro vincono, significa che anch’io ho il livello per vincere quegli incontri, quei tornei. Sono felice per loro perché non siamo nemici” assicura, “siamo amici”. Il suo obiettivo non è fare meglio di loro, è “vincere i grandi tornei”.

Il nuovo anno non è cominciato all’insegna della continuità, ma qualche sporadico risultato incoraggiante è cominciato ad arrivare. Raggiunto in qualche modo il terzo turno di Indian Wells partendo dalle qualificazioni, anche a Miami ha superato il tabellone cadetto e si appresta ad affrontare Denis Shapovalov dopo il successo su Marin Cilic, una vittoria che, Andrey ne è certo, gli infonderà molta più fiducia, anche perché “da un paio di mesi ho completamente dimenticato l’infortunio e mi alleno al 100%”. E, a proposito, è rientrato anche nella top 100, ma afferma di non guardare più la classifica, dove si trova nella Race o quanti punti ha in scadenza “perché poi ti senti un po’ stressato e non mi voglio sentire così”.

Quello che gli interessa è tornare al livello che aveva dimostrato di possedere, scegliendo la via delle qualificazioni nei tornei più importanti piuttosto che essere testa di serie nel circuito minore (ha partecipato al solo Challenger di Indian Wells, giungendo in finale), perché è per questo che gioca, per competere ad alti livelli sempre. E anche perché, magari, “ti puoi trovare di fronte Jeremy Chardy in entrambi, quindi tanto vale giocarci in un grande evento”.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement